Andrea Loreni, parola di funambolo: “Anch’io ho sempre paura. Ma poi comincio a camminare”
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Torino - Che il proprietario di quella carta d’identità – nome Andrea cognome Loreni – non sia proprio un uomo come tutti gli altri forse lo potremmo capire già gettando un’occhiata alla foto: gli occhi azzurri e penetranti, il cranio completamente pelato, la lunga barba sale e pepe da vecchio monaco tibetano. Ma per convincerci definitivamente della sua eccezionalità dovremmo leggere la voce professione, che recita “funambolo“.
ANDREA LORENI, PROFESSIONE FUNAMBOLO
Già. Questo ragazzone torinese classe 1975 è l’unico italiano specializzato in traversate a grandi altezze: tanto per intenderci, Andrea Loreni ha camminato su un cavo sospeso nel vuoto sopra a fiumi e dighe, in cima alle montagne, sul tetto di un tempio giapponese, perfino tra i grattacieli di Milano, dal Bosco verticale alla torre Unicredit. Un mestiere decisamente fuori dal comune, a dir poco. E infatti la prima domanda che mi viene da porgli è: cosa porta un bambino, un bel giorno, a decidere che da grande vuole fare l’equilibrista, e soprattutto poi a farlo davvero? «In verità da piccolo mi divertivo a sperimentare la giocoleria, imitando i professionisti che seguivo in tv», sorride lui.
Ma fu ai tempi in cui ero uno studente di filosofia teoretica, camminando per Milano, che rimasi folgorato da uno spettacolo di teatro di strada. Mi incuriosivano la libertà e la vicinanza al pubblico, fisica ma anche emotiva, che quella forma d’arte permetteva. Così mi avvicinai al mondo del circo e all’equilibrismo: corda, scala, monociclo, fino al cavo teso. Solo una decina di anni dopo, il patron di un festival che mi aveva ingaggiato mi propose una traversata a grandi altezze. Non avevo mai fatto nulla di simile. La mia prima volta fu nel 2006 a San Sebastiano, quando attraversai il Po su un filo sospeso. Da lì in poi mi sono dedicato a tempo pieno a queste imprese».
In tredici anni di passeggiate, che lo hanno portato a stabilire un record di 300 metri di altezza e 350 di lunghezza, ne sono cambiate di cose: «Rispetto a quando facevo l’artista di strada, oggi la macchina organizzativa è molto più complessa e pesante. Gli unici veri attimi di libertà me li godo quando sono sul cavo. Sono lì, sganciato dai problemi, dalle necessità, dai pensieri sul passato e sul futuro. Ma soprattutto quello che mi motiva oggi è il percorso di ricerca personale, scoperta, esplorazione, lavoro su me stesso». Una delle sue recenti imprese lo ha visto impegnato sopra i campi di riso del vercellese per sensibilizzare sull’importanza del biodistretto locale.
COSA SI PROVA LASSÙ (E QUAGGIÙ)?
Ecco, probabilmente è questo l’aspetto che colpisce di più quando ci si ritrova davanti a un funambolo di professione. Mentre l’ambizione più grande della maggior parte di noi sembra essere una vita tranquilla e senza scossoni, Andrea Loreni invece sceglie consapevolmente di assumersi rischi enormi – seppur esibendosi sempre in sicurezza, con l’ausilio di tecnici addestrati. A prima vista sembra una follia, ma a ben guardare forse è molto più assurdo rassegnarsi a vivere passivamente sempre la stessa routine quotidiana infelice.
«La comodità ci sta fregando», riflette Andrea Loreni. «Tendiamo a metterla sempre al primo posto, ma non ci rendiamo conto del fatto che stare seduti sul divano finisce per chiuderci gli orizzonti. Dobbiamo cominciare a impegnarci, se vogliamo seguire la nostra strada, realizzare il nostro potenziale. E di potenziale ne abbiamo molto più di quello che pensiamo. Guai a confondere l’agio con la felicità. Siamo sicuri che, alla fine della nostra vita, guardandoci indietro potremo ritenerci davvero soddisfatti, se non ci siamo mai mossi da quel benedetto divano? Intendiamoci, non tutti per realizzarsi devono fare i funamboli. Non conta tanto quale sia la nostra strada, ma come la percorriamo, con quale intensità viviamo».
Una lezione preziosa anche per tutti noi che magari non saliremo su un cavo sospeso sul nulla, ma comunque gli equilibristi li facciamo lo stesso, tra le bollette da pagare, i conti che non tornano mai, le insidie del lavoro e delle relazioni, le piccole grandi difficoltà di ogni giorno: «Sul cavo, come nella vita, ci sono miliardi di variabili, di forze che possono influenzarci. Il casino è pensare di poterle controllare tutte o di raggiungere le condizioni ideali. Siccome il momento perfetto non arriva, a forza di aspettarlo troviamo solo un’ottima scusa per non provarci mai».
La strategia di Andrea Loreni invece è quella di accogliere, rimanere aperto, disponibile al dialogo con ciò che non può controllare. «Non mi illudo di chiudermi in una bolla durante la traversata: se il vento mi arriva addosso, io devo imparare a gestirlo. Dopotutto, io e le condizioni esterne siamo un po’ la stessa cosa, nel senso che contribuiamo insieme alla creazione di questo momento. Lo stesso atteggiamento posso tenerlo di fronte ai problemi della vita: posso lamentarmi, quindi tirarmi indietro lasciando invariata la realtà dei fatti, oppure stare dentro al contesto, magari non facendo esattamente quello che vorrei, ma comunque portando il mio contributo, trasformando la situazione».
Sia chiaro, se molti di noi sono bloccati davanti alla prospettiva di tirarsi su le maniche e iniziare ad agire per cambiare la propria esistenza non è per semplice pigrizia, ma piuttosto per timore. La strada vecchia sarà brutta e triste, ma almeno è rassicurante, perché la conosco. Se la abbandono per intraprenderne una nuova, come ci insegna il vecchio proverbio, so quel che lascio ma non so quel che trovo. E allora come si fa a trovare il coraggio di uscire dalla famigerata zona di comfort? Forse chi per lavoro cammina sospeso a centinaia di metri di altezza qualcosa su come si gestisce la paura ce lo può insegnare.
LA PAURA FA BENE
Andrea Loreni lo ammette con encomiabile sincerità: «Io ho sempre avuto paura e tuttora ho paura a ogni traversata. Certo, mi ci sono abituato, che non vuol dire che abbia smesso di farci caso, ma che riesco a fare il primo passo nonostante questo sentimento. Anzi, proprio quello stato mi fa alzare l’attenzione, mi mette in allerta, mi fa leggere correttamente il contesto pericoloso. Da un certo punto di vista è un’emozione fondamentale: se non ce l’avessi camminerei troppo sereno, senza consapevolezza di quello che sto facendo».
Forse non dovremmo avere paura della paura stessa, come ci ammoniva Roosevelt. Forse dovremmo cominciare a capire che chi non ha mai paura non è coraggioso, bensì incosciente, come insegnava Aristotele. Che la paura, come tutte le sensazioni umane, anche quelle più spiacevoli, ha un messaggio prezioso da comunicarci: ci mette in guardia dalle minacce sul nostro cammino. Quindi il modo migliore di viverla non è lasciandosi travolgere da essa, ma nemmeno nascondendola sotto al tappeto, bensì semplicemente attraversandola, guardandola negli occhi, magari addirittura ringraziandola per averci avvisato dei potenziali rischi.
Un filo sottile, anche questo, sul quale trovare l’equilibrio è difficile, ma cruciale. Dopotutto, a differenza dei funamboli di professione, quando noi cadiamo non dobbiamo per forza farci troppo male: «Se leghiamo il nostro valore ai nostri successi, allora il fallimento è una brutta botta. Ma se il nostro valore lo troviamo altrove, allora non ci frega poi tanto. E così siamo più disposti a provarci, a giocarcela, a esplorare le possibilità che il problema ci sta offrendo».
E lui, Andrea Loreni, a forza di inseguirlo con la testa tra le nuvole, il senso della sua vita l’ha poi raggiunto? «A tratti. Vivo momenti di felicità e serenità e molti altri di inquietudine, movimento, ricerca. Che di fatto è la stessa cosa che succede ogni volta in cui risalgo sul cavo, per andare a vedere ancora un altro orizzonte. Spesso, dopo una traversata, mi dico che non ne ho più voglia, attraverso periodi di crisi. Ma poi quel cavo teso lassù torna ad attrarmi irresistibilmente». Deve avercelo scritto nel destino: un uomo perennemente alla ricerca del suo equilibrio instabile. Come tutti noi, alla fine.
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