Alessandra Todde, matriarcato, femminismo e Michela Murgia: sull’urgenza di etichettare l’Isola
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«Dopo 75 anni siamo riusciti a rompere questo tetto di cristallo». L’elezione di Alessandra Todde come Presidente della Regione Sardegna segna l’inizio della fine. Dal 1949, anno della prima legislatura dell’Assemblea regionale sarda con Luigi Crespellani Presidente, nessuna donna aveva ricoperto il ruolo di governatrice nell’Isola. “Se vogliamo affermare la democrazia in Sardegna – scriveva Claudia Corona Loddo, tra le (uniche) tre donne elette nel 1949 nel primo Consiglio Regionale sardo – non trascuriamo le donne, in quanto rappresentano il 50% degli abitanti della nostra terra”.
La democrazia e l’intenzione quindi di garantire – direttamente o indirettamente – la sovranità del popolo, resta però ad oggi un concetto complesso da concretizzare nella quotidianità, anche politica. Le quote e la doppia preferenza di genere, ad esempio, non sortiscono l’effetto desiderato: quest’ultimo Consiglio – se i dati verranno confermati – vedrà non solo una candidata eletta in meno rispetto alla precedente legislatura, ma anche un’assemblea composta solo da dieci donne su sessanta. Non di meno, lo stesso sistema elettorale sardo continua a rivelarsi escludente verso le minoranze, di conseguenza quindi anche verso la piena – o perlomeno non troppo parziale – rappresentatività democratica, di tutti ma anche di tutte.
Eppure, fra le tante narrazioni post risultato elettorale, vox populi sceglie anche quella di una Sardegna che con l’elezione di Alessandra Todde si confermerebbe terra femminista e matriarcale. Galeotta è probabilmente l’euforia della vittoria e di una nomina come governatrice che – come doverosamente evidenzia anche Paola Casula, sindaca di Guasila e prossima consigliera Regionale – «sarà esempio e motore anche per il futuro». Ma l’oggi è differente. Fare il punto sulla quotidianità sarda a partire dalle parole in questi giorni utilizzate per descriverla serve a rendere dignità a un’Isola in lotta per un cambiamento che c’è, ma non è ancora realtà. E le lotte di persone e territori contro le disuguaglianze sociali, non svaniscono allo spoglio dei seggi.
MATRIARCATO E FEMMINISMO DOP
Quello della società matriarcale sarda è un mito che torna spesso. Si tratta però di una narrazione fuorviante che, come sottolineato dal Collettivo femminista barbaricino AvvoLotadoras, «opprime due volte le donne». Definire una terra come matriarcale significa parlare di un luogo in cui vige il predominio della donna; una società in cui quest’ultima ha supremazia e potere. Ma nell’Isola – fra le tante disparità – meno della metà delle donne svolge un lavoro retribuito. La duplice oppressione sta in una realtà in cui quel predominio non esiste – non che venga rivendicato – e la narrazione del “matriarcato sardo” contribuisce a sminuire tutta una serie di disuguaglianze sociali e violenze di genere che ad oggi opprimono anche le donne, e che esistono.
Dire che la Sardegna è matriarcale, tra le tante cose, delegittima le piazze che domani animeranno anche la nostra Isola. Perché lottare contro il patriarcato, se in Sardegna vige il matriarcato? Ritornando sul piano della realtà, anche la narrazione dell’elezione di Alessandra Todde, che definisce l’Isola come terra femminista, è dissonante. A oggi una società in cui vige equità sociale, culturale ed economica o in cui le rivendicazioni femministe sono condivise anche dalle istituzioni, non c’è.
Lo scorso 28 novembre una notizia sul cartaceo dell’Unione Sarda annunciava un’inchiesta della Procura di Lanusei che ipotizza il reato di oltraggio a corpo politico o amministrativo contro ignoti, rei di aver appeso uno striscione rosa con su scritto “chi ci protegge dalla violenza di Stato?”. Il tutto all’indomani del 25 novembre e legato alle proteste in seguito all’ennesimo femminicidio, quello di Giulia Cecchettin. Certo, si può parlare di volontà di prospettiva femminista alla politica: alcune tematiche erano presenti nel programma elettorale di Alessandra Todde, dal supporto ai Centri Anti Violenza alla lotta alle discriminazioni, passando anche per il commento in difesa al diritto all’aborto fatto poche ore dopo l’elezione; ma di nuovo, la realtà è un’altra.
UNA LEGGE ELETTORALE ESCLUDENTE
Se si parla di femminismo intersezionale, che guarda quindi alla rete di oppressioni presenti nella nostra società, la Sardegna è una terra lacerata dalle disuguaglianze. Un’Isola che chiede a chi la abita di percorrere nel pieno del caro benzina più di 100 chilometri per avere accesso a un reparto di pediatria o a un punto nascite. Un’Isola occupata da basi militari, minacciata dalla sostituzione economica e identitaria dell’assalto eolico, in cui la lingua e la storia non sono valorizzate nel sistema scolastico, in cui il binomio marginalità-montagna cancella le piccole comunità, dove si guarda più al turismo, al benessere di chi arriva a discapito di chi abita; questa è una terra in lotta, ma non è ancora femminista.
L’intersezionalità poi non volta le spalle alle minoranze, l’attuale legge elettorale invece non tiene conto delle posizioni cosiddette minoritarie. “Cosiddette” perché dietro quei numeri ci sono in realtà non poche persone, intenzioni e volontà invisibilizzate. Se si guarda ad esempio all’8,6% della coalizione sarda con Renato Soru, corrispondente a 63.100 voti, viene spontaneo paragonare il risultato a territori come l’Ogliastra, abitati da 56.362 persone. Ѐ come se l’esclusione della coalizione sarda, corrispondesse alla completa omissione della volontà di un territorio intero. E una legge elettorale così escludente, non può generare risultati in grado di etichettare il sentimento di un’Isola intera – con un’ affluenza tra l’altro di un sardo su due, ma questa è un’altra storia.
Oltretutto, il risultato elettorale che pare cristallizzato in una differenza di 1600 voti tra Alessandra Todde e Paolo Truzzu, mostra come la convinzione dell’elettorato non sia tale da determinare una maggioranza bulgara. La prospettiva femminista quindi che può aver guidato la campagna e le prossime politiche della coalizione di centro sinistra, ahinoi non è stata la scelta del popolo sardo. Ѐ la decisione della metà, della metà, degli aventi diritto al voto. E una prospettiva che non contempli da subito la messa in discussione di un sistema elettorale antidemocratico, unita a una riflessione critica verso i risultati parziali e le volontà inascoltate che ne conseguono, ha poco a che vedere con l’inclusione e l’intersezionalità del femminismo.
SULLA FELICITÀ DI MICHELA MURGIA PER L’ELEZIONE DI ALESSANDRA TODDE
Più volte è stata nominata, altrettante si è supposto che il risultato elettorale sarebbe stato di suo gradimento. Michela Murgia in questa terra ha lasciato un solco, una nuova meridiana a cui si volge lo sguardo per cercare la misura dei fatti sociali. Supporre la gioia di chi tali emozioni non può confermarle è rischioso, la tracotanza è dietro l’angolo, ma con buone probabilità si può sostenere che dell’elezione di Alessandra Todde, la quale rivendica l’essere la prima donna presidente della Sardegna, Michela Murgia sarebbe stata felice. Per la rottura di una consuetudine che ha escluso le donne per troppo tempo e per la nomina di una governatrice libera dal giudizio patriarcale interiorizzato che guarda al maschile con più autorevolezza.
Ma la felicità presupposta, dimentica il fatto che l’attuale sistema elettorale è lo stesso che nel 2014 – la legge venne approvata nel 2013 – escluse Michela Murgia, candidata con la coalizione Sardegna Possibile alla presidenza della Regione Sardegna. Ottenne 75.981 voti, il 10,3%, ma restò fuori dal Consiglio regionale. «Ci hanno scelto 70mila sardi e solo una legge liberticida e antidemocratica impedirà a queste persone di avere una rappresentanza in Consiglio regionale», disse.
La felicità è un sentimento complesso, quasi mai univoco. Lo sono anche i risultati elettorali. Che la Sardegna possa un giorno diventare terra di femminismo, intersezionalità e equità economica, sociale e culturale, è tra le prospettive migliori si possano porre alla base delle politiche nell’Isola. La vittoria di Alessandra Todde sotto più punti di vista può essere letta come un piccolo passo verso quella prospettiva di cambiamento, ma non basta. Servono partecipazione, ascolto che non lasci indietro nessuno, lettura critica e propositiva del reale in ottica rivoluzionaria. Servono comunità e cura verso i territori e chi li attraversa. Conserviamo le etichette per quando il futuro diventerà tangibile.
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