La Tuscia si mobilita per dire “no” al deposito nazionale di scorie radioattive
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Viterbo, Lazio - Domenica 25 febbraio una vera marea umana, tra cui anche alcuni meravigliosi asinelli, ha calcato le strade della Tuscia per dire no al possibile deposito nazionale delle scorie radioattive di varia intensità. Nemmeno gli organizzatori avevano immaginato che si potesse arrivare a una partecipazione così cospicua. Per la prima volta le strade tra Corchiano, Gallese, Vignanello e gli altri centri interessati al deposito di rifiuti radioattivi e nucleari hanno visto sfilare, in modo composto e pacifico, oltre 2000 persone decise a metterci la faccia per amore della propria terra.
IL RUOLO DEL BIODISTRETTO E DELLE ASSOCIAZIONI DEL TERRITORIO
Una marcia intergenerazionale e super partes dal punto di vista politico, in una giornata quasi primaverile che ha accompagnato con il suo tepore, i colori vivaci di bandiere al vento in un paesaggio che non ha più bisogno di altri inutili e pericolosi impatti. Se la marcia ha assunto una dimensione al di sopra di qualsiasi più ottimistica previsione, lo si deve al lavoro straordinario di informazione, sensibilizzazione e ascolto portato avanti negli ultimi mesi da sindaci, Biodistretto della Via Amerina e comitati locali.
Quello del lavoro di sensibilizzazione che si è riusciti a portare anche nelle scuole è uno degli aspetti più interessanti della mobilitazione popolare che si sta sviluppando nella Tuscia intorno al tema del deposito radioattivo. Ci tiene a sottolinearlo Famiano Crucianelli, l’attivissimo presidente del Biodistretto della Via Amerina, che è riuscito a diventare punto di riferimento fondamentale per molti sindaci del territorio. Quello che è accaduto domenica potrebbe non essere un caso isolato, dipenderà da come si riuscirà a tenere alta l’attenzione su una vertenza lunga e difficile.
Nei prossimi mesi il Ministero e gli organi tecnici di riferimento dovranno valutare le autocandidature a ospitare il deposito nazionale e quindi la partita è aperta. L’attenzione non può scemare e nel frattempo la grande coesione, che ha fatto saltare ogni possibile campanilismo, sta determinando un aumento di consapevolezza collettiva rispetto ad altre criticità territoriali – ne abbiamo parlato in questa panoramica.
L’IMPORTANZA SIMBOLICA DELLA MARCIA IN TUSCIA
La prossima grande mobilitazione potrebbe esserci nella zona di Montalto di Castro, dove l’amministrazione comunale – presente in forza alla marcia di domenica 25 febbraio – è intenzionata a non lasciare che l’immenso territorio agricolo venga ricoperto da una distesa infinita di pannelli fotovoltaici. Sì alle fonti rinnovabili, no alla devastazione di paesaggi intonsi e unici che hanno altre vocazioni molto più sostenibili. È sempre l’ottimo Famiano Crucianelli a sottolineare come il territorio della Tuscia sta diventando una sorta di laboratorio territoriale in cui la centralità della difesa del bene comune, rappresentato da un paesaggio agrario e storico-culturale straordinario, può sprigionare inedite energie aggregative.
Quello che di solito non riesce in territori più vasti della Tuscia è la creazione di un progetto unitario che sappia mettere a fuoco la prospettiva di un futuro condiviso. Il momento di mobilitazione storico vissuto il 25 febbraio ha lasciato un’ottima semina per superare divisioni e barriere di ogni tipo e puntare dritti alla concretezza della partita in gioco.
PROSSIMI PASSI
Il passaggio successivo sarà quello di far crescere nuovi saperi intorno al discorso urgente e necessario della sostenibilità che intreccia il tema del deposito nazionale con la diffusione delle monoculture a danno degli oliveti secolari, fino alla diffusione massiccia e incontrollata degli impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili. Il terreno è pronto, anche se la strada da fare è lunga e per nulla scontata, per portare le persone a innamorarsi nuovamente di una terra unica che negli ultimi anni a caso ha visto nascere ben cinque biodistretti.
Mi è capitato di partecipare a vari momenti di confronto in preparazione della Marcia nella Tuscia e sono rimasto positivamente colpito dalla conoscenza approfondita della delicata questione relativa all’ipotesi del deposito nazionale. Ci sono persone che si sono messe a studiare in ogni dettaglio i documenti elaborati dalle istituzioni centrali, confrontandosi con il mondo scientifico.
È proprio questa la ragione per cui ritengo che sia irrispettoso liquidare questa grande mobilitazione trasversale e popolare come l’ennesimo episodio da sindrome Nimby. Non si può chiudere la porta in faccia in via pregiudiziale a 60 sindaci sui 60 presenti nella Tuscia e a 200 associazioni locali che si sono mossi dopo aver studiato fino in fondo la questione. Se la partecipazione democratica ha ancora un senso, in questo caso possiamo dire che è stata calpestata.
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