Terra e radici: la simbologia occulta nel popolo sardo secondo Marta “Jana Sa Koga” Serra
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La cultura sarda, come la maggior parte delle culture a società circolare del pianeta, ha una struttura di continuità prevalentemente orale. Non credo proprio sia casuale infatti la profonda importanza che i sardi radicati danno alla poesia e alle meccaniche letterarie della cultura musicale isolana. Attraverso le varie strutture di poesia improvvisata e di canto tradizionale si rende manifesta la memoria storica interna ed esterna alla nostra terra, in modi strutturati e strutturanti ma sempre, per citare Placido Cherchi, “problematizzando la realtà”. La poesia quindi, crogiolo di tecniche e armonie simboliche, è strumento interiore dell’identità sarda.
Ne siamo convinti io e molti altri adoratori di Calliope, tra cui anche il poeta improvvisatore Dionigi Bitti che, in una discussione nel merito, mi ha detto in limba, sorridendo: «Ho sempre pensato e detto che i sardi sono un popolo di poeti, non solo grazie al fatto che abbiamo scrittori e improvvisatori, ma perché i sardi hanno la capacità di comprendere la poesia perché ce l’hanno nel cuore. Questa non è una caratteristica che possiede ogni popolo». Trovo sia un’analisi molto interessante perché imparare a “giocare” con la lingua, qualunque essa sia; allena a lavorare coi simboli e la simbologia e quindi a compenetrare la realtà attraverso cerchi concentrici di profondità fondamentali per la crescita interiore ed esteriore.
ICONOGRAFIA E SIMBOLOGIA
Un popolo che possiede la capacità di danzare con le armonie della lingua, dei suoni e dei simbolismi retorici, è un popolo con spiccata antropopoiesi, ovvero capacità di creare se stesso sia in termini di cultura immateriale – come abbiamo visto nel caso dell’oralità – sia in termini di cultura materiale, come per il caso dell’artigianato legato alla quotidianità e alle ritualità di precisi momenti dell’anno. Non torneremo sulla questione della computazione del tempo tradizionale in Sardegna, ma è necessario considerare questo elemento nell’anticipare che vi è una tendenza all’occultamento delle caratteristiche di sacralità con relative simbologia e ritualità nella creazione culturale sarda.
Occultamento che è pudore, timore reverenziale e umiltà verso il femminile primordiale legato alla terra. Possedendo e allenando occhi capaci di disvelare gli strati della realtà culturale isolana, è possibile notare molte chiavi di lettura che riconducono a una forte radice dell’energia femminile ancestrale. L’iconografia della magica arte della tessitura, della verde arte del legno o dell’alchemica arte del rame ne sono un esempio eclatante. Lo sono anche le sacre coreografie rituali delle varie declinazioni della zona chiaroscura tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera che i mondani chiamano Carnevale.
IL LABIRINTO
Quando pensiamo alla simbologia tipica della sarda cultura ce ne sovvengono alla visualizzazione alcuni molto immediati. Senza dubbio i quattro mori, ma anche la protome taurina, le varie declinazioni di Dee madri, i giganti di Monti Prama, i petroglifi di pietre fitte e Domus de is Janas. Così, lanciamo la parata di ciò che per noi sardi è identitario e per gli altri ha un gusto affascinante ed esotico. In mezzo a tutta questa simbologia, troviamo anche il labirinto. Fortemente presente nel mito greco, tenta di mantenere la memoria storica della civiltà cretese e racconta come, il costruttore di labirinti, Dedalo abbia lasciato Creta dopo la disfatta per recarsi in Sicilia e in Sardegna.
Il labirinto lo troviamo istoriato in una Domu de is Janas a Benetutti, ma lo troviamo anche simbolicamente rappresentato nella struttura di costruzioni ed edifici nuragici in vari luoghi dell’isola. Nello specifico sto considerando il labirinto unicursale a sette cerchi con entrata a sinistra, che è un simbolo geometricamente semplice ma sacralmente impegnativo. Rappresenta il percorso personale di ogni individuo sulla terra, il destino nell’incarnazione, la mappa sensoriale dell’entroterra spirituale.
Come viene definita ne I racconti della Nuraghelogia di Raimondo De Muro, è la porta dell’ultrasensibile, la Jana a sette cerchi. Questo simbolo ci parla soprattutto di legno, esso è trasformazione attraverso l’andamento costante tra il dentro e il fuori. Nella numerologia si passa dal quattro della struttura iniziale, come i mori della bandiera, al sette del percorso finale, come le braccia della menorah ebraica o dell’albero a radici esposte tanto caro alla nostra ava Eleonora d’Arborea.
IL CAPOVOLTO
Abbiamo visto che il labirinto è un simbolo occulto, muto in quanto percorso personale, destino e mappa sensoriale da sviluppare. Si tratta di un simbolo universale che va oltre il macro e il micro. Procedendo invece con uno sguardo più ravvicinato ancora, è interessante analizzare il petroglifo delle pietre fitte di Laconi denominato Capovolto. Senza dubbio esoterico alcuno, il nome ricorda in modo molto affascinante L’Appeso o L’Impiccato, che è la dodicesima carta degli arcani maggiori o trionfi dei tarocchi. Assume in sé una simbologia davvero molto specifica anche se universalmente presente in tantissime mitologie del pianeta, esprime gioiosa resa, sacrificio cosciente, la messa a disposizione del proprio essere strumento universalmente riconosciuto.
Si tratta di una simbologia assiale che esprime la legge del macro e del micro, del “come sopra così sotto” ma al contrario. Esattamente come il più famoso tra gli appesi. Mi riferisco al grande padre dei Norreni, il dio dai molti nomi: Odino. Colui che ha sacrificato l’occhio sinistro, appendersi all’albero cosmico e insieme ai suoi splendidi corvi Memoria e Pensiero diventa il primo maestro del linguaggio simbolico delle rune. La discesa è una ritualità fondante anche nella cultura sarda, è il tre che si fa uno e che diventa riferimento per la società, proprio come in qualunque cultura animista di stampo sciamanico.
IL SEME DELLA VITA
Considerando la simbologia del labirinto unicursale a sette cerchi e il petroglifo chiamato Capovolto sulla base dello studio della geometria sacra, è presto automatico considerarli come simboli che è possibile estrapolare dalla mappa sacra. Possiamo osservare come sia di grande moda sul pianeta, attraverso la grande nave da crociera chiamata New Age, il simbolo definito Il fiore della vita. Lo sguardo è quello di un Capovolto sopra un Labirinto, quindi andiamo a dare un’occhiata più attenta. Ed è così che al suo interno notiamo come il fiore della vita sia composto da numerosi piccoli fiori a sei petali, stelle a sei punte o meglio chiamate in geometria sacra, semi della vita.
In Sardegna il Seme della vita è sigillo di creazione di tutti i costruttori. Non cercate fonti su questo, non le troverete: si tratta della base di tutto l’esoterismo, il segreto. Sta di fatto che il Seme della vita lo ritroviamo martellato nel rame di Isili, istoriato in architravi di pietra di antiche case padronali, inciso nelle cassapanche, nei caminetti, nelle madie e persino nell’intraciglio della maschera del Boe di Ottana. Cosa significa? Ci sono mille teorie. Sulla sua simbologia c’è chi dice che il DNA umano visto di sezione abbiamo proprio quella geometria, chi che sia il sigillo del sesto giorno della Genesi e chi che sia l’elemento più semplice da fare con un compasso.
Personalmente penso che la simbologia sia complessa proprio per la sua semplicità formale. Anche la stella della Sartiglia ha esattamente quella forma. Il rito della Sartiglia non è ovviamente solo l’atto di infilare la spada in una stella d’argento grazie all’abilità e la fortuna del rapporto tra cavaliere e cavalcatura, è molto di più, ma le connessioni tra questo atto in sé e il simbolo come chiave per costruire la realtà si sprecherebbero. Il seme della vita è la chiave che apre la porta del labirinto a sette cerchi attraverso cui il capovolto va e vede oltre. Oltre le maschere e oltre il Carnevale, oltre l’artigianato da souvenir, oltre il turismo di massa incosciente e oltre la subalternità.
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