Supportare la Palestina e rompere con Israele: a Cagliari il dissenso universitario non si ferma
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Cagliari - “Noi studenti e studentesse siamo profondamente allarmati dalla posizione passiva delle nostre istituzioni nei confronti del massacro in corso in Palestina”. La protesta degli studenti di Unica per la Palestina dentro l’Università degli studi di Cagliari (UniCa), è iniziata con una lettera che è un appello collettivo alla presa di posizione, all’indomani dei bombardamenti “indiscriminati” israeliani. La loro contestazione però, pone radici in un dissenso verso gli accordi accademici con le istituzioni israeliane, che dentro l’ateneo cagliaritano esiste da anni.
UniCa ha infatti da tempo stipulato accordi accademici con diverse istituzioni israeliane, alcune ritenute dagli studenti “complici delle politiche di pulizia etnica e dell’apartheid ai danni della popolazione palestinese”. Negli anni le contestazioni – sia direttamente verso tali accordi, che verso il mantenimento invece di presunti rapporti con autorità israeliane che avrebbero potuto influenzare e ostacolare il libero dissenso all’università – non sono mancate. Nel 2016 ad esempio fu la rete Studenti contro il Technion (Istituto israeliano di tecnologia accusato di collaborare nella ricerca militare e sviluppo di armi per l’esercito israeliano) a mobilitarsi contro gli accordi con l’Istituto, ma non solo.
Lo stesso anno il gruppo studentesco denunciò pubblicamente il ritiro dei permessi per gli spazi richiesti in occasione dell’Israeli Apartheid Week 2016, evento di denuncia verso il regime di apartheid attuato da Israele nei confronti dei palestinesi. In merito, secondo quanto riportato dagli studenti, alcuni docenti avevano parlato di pressioni ricevute dall’Ambasciata israeliana e del conseguente invito a ritirare la disponibilità per l’evento. L’allora rettrice Maria Del Zompo ammise sì di aver ricevuto una lettera dall’Ambasciata (definendola però una “normale comunicazione”) ma ribadì che il ritiro dei permessi fosse conseguenza di “problemi di comunicazione”.
Attualmente risulterebbe attivo solo un accordo con l’Università di Haifa che – denunciano da Unica per la Palestina – “attua politiche volte a discriminare gli studenti palestinesi”. Ma stavolta a radicare il dissenso fra gli universitari cagliaritani, sono anche i numeri della catastrofe umanitaria in corso: se – dati Openpolis – dal 2016 fino a ottobre 2023 si sono registrate 287 fatalità tra i cittadini di Gaza e 174 in Cisgiordania, nei 4 mesi successivi invece i morti sono stati più di 20mila, soltanto nella striscia di Gaza.
Perché avete scelto di costituirvi come Unica per la Palestina?
Prima di tutto per naturale moto umano di solidarietà verso una tragedia in corso. Come studenti non viviamo in compartimenti stagni, l’università è un’industria culturale e di formazione inserita nella società. Il movimento contro gli accordi non nasce adesso: per anni l’università ha tenuto diversi rapporti con Israele, è da anni che ci si muove all’interno. Nasciamo con una richiesta, quella ovvero di ribadire solidarietà nei confronti del popolo palestinese e di sospendere ogni accordo con le università israeliane.
Lo Stato ebraico è costituito da una società militarizzata in cui le università sono parte integrante di quel sistema. Haifa ha aperto il suo campus per i membri dell’esercito israeliano. Non da poco chiediamo trasparenza sui rapporti di scambio e garanzie rispetto al fatto che gli accordi che risultano sospesi, lo siano davvero. Da ottobre lo ribadiamo con insistenza.
In che cosa consiste la tipologia di accordi al momento in vigore?
Ufficialmente in vigore c’è un accordo che riguarda la mobilità di studenti e docenti per la ricerca in ambito scientifico, con l’Università di Haifa. Questo avrà naturale scadenza nell’estate di quest’anno, vedremo allora cosa accadrà: cessare i rapporti con Israele sarebbe un atto di decenza rispetto a quello che accade in Palestina. Probabilmente tra i primi in Italia, ma in virtù dei vari accordi col mondo arabo l’Università di Cagliari sarebbe stata più che titolata a prendere ufficialmente le distanze.
Se pensiamo alla celerità con cui sono state congelate le collaborazioni accademiche con istituzioni russe, ci chiediamo perché non si possa chiedere di prendere una posizione anche in questo caso. E non vogliamo confrontare i conflitti per un discorso di pari e patta, non è fattibile: possiamo – purtroppo – parlare di un conflitto ordinario tra Russia e Ucraina, ma in Palestina, a Gaza e in Cisgiordania, stiamo assistendo all’ultimo atto di annientamento di un popolo abbandonato da tanti.
L’Ateneo dopo la votazione ha ribadito con una nota la sua solidarietà, sia al popolo palestinese che al popolo israeliano.
Questo ci indigna. Quello al quale stiamo assistendo non ha precedenti per intensità e per violenza nei confronti della popolazione civile. Le università hanno pieno titolo per esprimere posizione dicendo di non voler stringere accordi accademici. Evidentemente il Senato accademico sente la necessità di immaginare due parti in lotta che si confrontano su un piano paritario, ma questo non solo non sta avvenendo ma è anche incoerente. Due anni fa abbiamo assistito a una ferma e veloce condanna unanime nei confronti della Russia, a volte senza contestualizzazioni ulteriori.
Anche la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha riconosciuto i crimini e ribadito a Israele che deve consentire l’afflusso di aiuti umanitari, evitare il genocidio dei palestinesi e l’incitazione alla pulizia etnica. Che l’ateneo di Cagliari invece si preoccupi di dipingere una situazione differente, attraverso la solita parificazione tra aggredito e aggressore, è da condannare. Non da poco, conferma il fatto che l’università non è indipendente ma supina alla linea del potere politico e del governo. Sta sostenendo l’insostenibile.
Alla notizia della mozione alcuni commenti negativi hanno ruotato attorno all’idea che le università non siano sede per il dissenso politico.
Questa è una litania che ciclicamente torna. Noi siamo studenti, siamo cittadini del futuro. L’università è formazione ma è anche sede di critica politica, spazio di autonomia e libero confronto: siamo persone che vivono nella società, le nostre università fanno parte dell’ingranaggio del mondo culturale. In virtù di questo, certi accordi fanno parte di una rete di relazioni che in questo momento ci pongono come Italia al fianco di un aggressione, di un atto di sterminio a cielo aperto di un popolo. Abbiamo portato nelle aule momenti di confronto in merito nelle ultime settimane. Non siamo una cattedrale nel deserto: l’idea che abbiamo è quella di sfruttare i nostri spazi per portare avanti il dibattito critico e il dissenso.
La discussione in Senato accademico invece come è andata? Vi aspettavate qualcosa di diverso?
C’è stato solo un voto favorevole alla mozione, ma non nutrivamo grandi speranze rispetto alla possibilità che passasse. Eravamo possibilisti rispetto anche ad alcuni confronti avuti tempo prima col Rettore, ma tutti gli esponenti del Senato – tranne una rappresentante degli studenti – hanno votato contro, in virtù del non dover erigere ulteriori muri e mantenere l’università come luogo aperto e di scambio.
Questo non ci stupisce, vediamo tutti i giorni come procede la manipolazione della narrazione su ciò che accade in Palestina. Si cerca di forzare la mano ponendo due contendenti sullo stesso piano ma ancora una volta, noi non abbiamo due eserciti che si confrontano. Si tratta dell’ultimo un atto di annientamento di un popolo che va avanti da decenni, con ondate più o meno forti. È scritta nero su bianco la volontà di cancellare l’esistenza del popolo palestinese, è rivendicato l’odio verso la Palestina. Qua è evidente l’ipocrisia di chi dice di voler restare equidistante tra le due parti: non sono sullo stesso piano, è sotto gli occhi di tutti.
Avete portato avanti una mobilitazione che ha unito una serie di rivendicazioni provenienti da studenti, dottorandi e lavoratori dell’università. La vostra rete per la Palestina continuerà nella sua azione prossimamente?
Assolutamente, continueremo a mantenere vivo il dissenso e attivo il dibattito sulla Palestina. Il tutto, anche se i presunti spazi di critica in merito dentro l’università erano stretti e si stanno restringendo sempre di più. L’ateneo di Cagliari ignora e tace sul fatto che le università palestinesi sono ora ridotte in macerie, che i rettori, il personale e gli studenti vengono sterminati o impossibilitati a svolgere la loro normale vita, accademica e non. Se questo viene volontariamente taciuto pare banale dover sottolineare come non è possibile parlare di ponti tra università dato che quella israeliana è un’istituzione legata a doppio filo con l’impegno bellico statale.
In quanto studenti e studentesse di Unica per la Palestina continueremo ad esporci e a lottare per la libertà del popolo palestinese e per un’università realmente libera dalla complicità al regime e all’apartheid sionista.
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