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Piacenza, Emilia-Romagna - Oltre ai prodotti che siete soliti mettere nel carrello mentre fate la spesa, vi siete mai accorti della grande varietà di cibi vegetali che ormai è possibile trovare in tutti i supermercati? Ad esempio, accanto al latte fresco o a lunga conservazione, troverete molte alternative vegetali come formaggi vegani, bevande di soia, di mandorle, d’avena, di riso. Lo stesso vale per lo yogurt.
Fino a qualche anno fa sarebbe stato davvero difficile immaginare questa evoluzione, eppure… Secondo Martina Macellari di Laboratorio Prodor, una categoria di prodotti che a breve sarà sempre più al centro di questo fenomeno è quella dei formaggi. Avendo vissuto in Svizzera per tanti anni, sa come si è evoluto il mercato Oltralpe anche rispetto a quello italiano e per questo pensa sia necessario non farsi trovare impreparati e mettere in campo le giuste competenze.
«Oggi in Italia, i formaggi vegani, ovvero le alternative vegetali al formaggio, che si trovano nei supermercati sono piene di addensanti, aromi artificiali e coloranti. Nella forma e nei colori imitano il formaggio tradizionale, ma il consumatore non può apprezzarlo. E poi non sono per nulla salutari, lo si capisce leggendo l’etichetta. Non si possono paragonare ai formaggi perché non sono realizzati con tecniche di coagulazione, fermentazione e stagionatura tradizionali. La produzione di una valida alternativa vegetale al formaggio infatti ha bisogno di tempo e studio, aspetti non sempre compatibili con la voglia di fare profitto nel breve termine. In Italia, purtroppo, siamo ancora indietro nella ricerca e nello sviluppo di questa tipologia di alimenti», commenta Martina.
LABORATORIO PRODOR, UN’AZIENDA IN TRANSIZIONE
Ed è anche per questo che, all’interno del portafoglio prodotti del Laboratorio Prodor, ha deciso di introdurre la produzione di una linea di fermenti vegani. Il Laboratorio Prodor è presente nel mondo caseario dal 1934, negli anni ‘90 Tullio, il padre di Martina, ha depositato il brevetto per il caglio vegetale ricavato dal cardo selvatico. Ancora oggi Prodor è l’unico produttore in Italia di questo tipo di coagulante che ha ottime proprietà e consente di produrre formaggi 100% vegetariani.
Ma Martina è rientrata dalla Svizzera con nuovi obiettivi. È riuscita a unire le conoscenze e l’esperienza dell’azienda a tecniche innovative e all’avanguardia per ottenere una linea di fermenti e muffe vegane per preparati alimentari fermentati che risultano simili nel gusto e nella struttura ai tipici formaggi italiani.
Dietro la scelta di Martina c’è anche un motivo etico. Da dieci anni infatti segue un’alimentazione consapevole e meno impattante per la sua salute, per quella degli animali e dell’ambiente. Un modo per essere parte della soluzione e non del problema. Del resto ormai, solo chi non “vuole sentire” non sa che un consumo più limitato di carne e derivati dei latticini, soprattutto in alcune parti del mondo, potrebbe mitigare l’inquinamento globale.
«Sfamiamo 60 miliardi di polli al giorno per poi farli consumare agli esseri umani e milioni di bimbi muoiono di fame. Al di là di questo paradosso inaccettabile, il progresso di un’azienda non può più prevedere lo sfruttamento degli animali. In tanti non vogliono ammettere l’esistenza di un problema reale perché sono impauriti dal cambiamento oppure perché sono vittime di pregiudizi, disinformazione, ignoranza nel senso di mancanza di educazione. Ma prima o poi ci scontreremo con la realtà e a quel punto sarà difficile tornare indietro».
«Le giovani generazioni per fortuna non accettano più certe pratiche di sfruttamento che gli adulti continuano ad adottare», aggiunge Martina. «Cosa stiamo insegnando ai nostri figli? Per il profitto si può decidere di “non guardare in faccia nessuno” e sfruttare tutto quanto possibile? È necessario un cambio di mentalità e prospettiva, ma temo che in tanti non siano ancora pronti perché impauriti. Del resto ogni cambiamento richiede il proprio tempo. Io invece voglio essere pronta perché so che accadrà».
CIBO INDUSTRIALE E IMPATTO AMBIENTALE, SOCIALE E SANITARIO
Spesso nelle campagne pubblicitarie e nei packaging, molti prodotti vegetali riportano il nome o la forma del prodotto tradizionale a cui si ispirano o che dovrebbero sostituire. L’acquirente è così tratto in inganno, assaggiandolo rimarrà deluso da un gusto che non è paragonabile a quello solito. Lo stesso vale per i formaggi vegani.
Secondo Martina, se sul packaging ci fosse scritto davvero cosa comporta la produzione del prodotto così come viene presentato, in tanti non lo comprerebbero. Per fortuna, anche se lentamente, le regolamentazioni dei governi stanno andando verso questa direzione. Il benessere di un popolo e quindi anche la sua salute – che non si limita solo alla non assunzione di farmaci – coinvolge tanti aspetti della vita quotidiana, a partire dall’alimentazione. Il cibo industriale manca di valori nutrizionali e sempre più spesso si prescrivono integratori perché gli alimenti che mangiamo non bastano. Senza considerare i costi ambientali, sociali e sanitari altissimi.
Per Martina è diventata una vera e propria missione quella di convincere gli onnivori che i formaggi vegani, fatti con i tempi e la stagionatura giusta, sono più buoni di quelli tradizionali per l’impatto che hanno sulla salute, sul pianeta e sugli animali. Questo non vuol dire eliminare i formaggi tradizionali dalle nostre tavole: alcune produzioni sono delle vere e proprie eccellenze, ma è importante dare la giusta alternativa così che anche una persona onnivora possa acquistare insieme alla carne e al formaggio anche alternative vegetali.
FORMAGGI VEGANI, CRESCE LA DOMANDA MANCA ANCORA L’OFFERTA
«L’errore di molti vegani è essere assolutisti e poco inclusivi verso il resto il mondo. Bisogna aprirsi. Sempre più aziende agricole, nonostante abbiano mucche e producano latte, stanno cercando di convertirsi per rispondere alla domanda di mercato che continua ad aumentare. Ma siamo solo agli inizi. Non si diventa casari in un giorno. Bisogna studiare, sperimentare e ricercare per creare un’offerta degna di nota».
«Io riesco a fare queste piccole produzioni più che altro per fare esperimenti, ma non sono un produttore di formaggi, servono leggi, ricerche e fondi che aiutino le aziende tradizionali ad avviarsi verso questa transizione. Il giorno in cui un casaro, un produttore di formaggi tradizionali, sperimenterà formaggi a partire dalla soia, ad esempio, sono sicura che realizzerà un prodotto buonissimo», sottolinea Martina.
La sua esperienza all’estero ha contribuito molto ad avviare una transizione anche all’interno dell’azienda di famiglia, ma non è per tutti così. Affinché questo processo possa diffondersi serve maggiore consapevolezza dell’impatto ambientale e sociale, dell’involuzione di certe politiche attuali, serve essere educati a questo tipo di informazioni per avere cittadini più attenti e impegnati. «Solo un’educazione a partire dalla scuola che tenga conto di tutto questo, che guardi al benessere globale, che valorizzi un’economia locale con i produttori, le materie prime e l’unicità di un paese straordinario come nel nostro caso è l’Italia, può essere la svolta decisiva per realizzare questo cambiamento culturale ormai sempre più indispensabile», conclude Martina.
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