Barbara Musu e la sua vita con il disturbo ossessivo compulsivo: “Non fate l’errore di isolarvi”
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Sud Sardegna - «Col passare del tempo per me la condivisione è diventata terapeutica e ho iniziato a conoscere tante persone con una storia simile alla mia. Mi sono resa conto che condividere faceva bene non solo a me, ma anche a tutte le persone che mi seguivano e che, in questo modo, trovavano il coraggio di parlare dei propri disturbi».
Oggi vi racconto una storia che nasce da un momento buio e difficile, ma trova il coraggio di sbocciare attraverso la condivisione con le altre persone, senza paura, proprio come quei fiori che sbocciano tra le crepe dell’asfalto. La storia è quella di Barbara Musu, in arte Fiore da Parete, un’attivista sarda che racconta attraverso i social la sua vita con il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Tutto incominciò durante la pandemia quando, presa da un forte senso di rabbia e ingiustizia per il periodo difficile che stavamo vivendo, Barbara iniziò a sfogare i suoi pensieri sul suo profilo Instagram, un po’ come si farebbe con un diario, con la sostanziale differenza che le sue confidenze potevano essere condivise e lette da molte persone e non rimanere soltanto sue.
Quando hai incominciato a raccontarti sui social?
Ho iniziato a parlare di me su Instagram nel 2020 durante la pandemia e non ho più smesso. Quella situazione è stata il giusto input per iniziare a parlare della mia salute mentale anche se in anonimo perché non avevo ancora quella sicurezza tale da metterci la faccia. Ho iniziato a raccontare sempre meglio ciò che ho vissuto sin da bambina, quando non sapevo di avere il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), fino ai miei ventun’anni, quando grazie alla psicoterapia ho avuto la mia diagnosi. Inizialmente ho dovuto fare tutto da sola, perché nessuno capiva, ma alla fine sono riuscita a rialzarmi.
Che cos’è il DOC e perché è ancora così nascosto?
Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo del quale si parla troppo poco perché viene sottovalutato. Sono delle ossessioni, pensieri costanti e ripetitivi che, per essere combattuti, portano a mettere in atto delle azioni concrete o mentali, come dei ricatti che la mente ti pone per alleviare l’ansia. Spesso diventa invalidante perché ti porta a perdere tempo dietro a queste azioni appunto. Si pensa che chi ha il DOC passi il tempo a lavarsi le mani per paure dei germi, ma non è così. Esiste un’infinità di ossessioni, pensieri che mettono paura e dubbi sulla propria persona.
Qual è stato il riscontro che hai avuto fino ad ora del tuo attivismo sui social?
Le persone hanno bisogno di qualcuno che faccia il primo passo e ne parli. Parlarne rompe il silenzio, prima di tutto perché non ci si sente più soli e si supera la vergogna nel ammettere che si ha un certo problema.
Puoi parlarci di Progetto Itaca?
Progetto Itaca è una onlus fatta di volontari e attivisti che sensibilizzano e divulgano temi riguardanti la salute mentale. Collaboro con loro da quando sono riuscita a parlarne con i miei e a intraprendere il percorso di guarigione al quale avevo diritto e che ho sempre cercato sin da piccola. Dopo una vita di solitudine, vergogna e incomprensione, finalmente ho capito come potevo convivere con il disturbo ossessivo compulsivo e rinascere, recuperando ciò che avevo perduto negli anni. Ad oggi continuo la mia divulgazione perché promisi a me stessa che tutto quel dolore sarebbe servito a qualcosa e avrebbe portato una mano a qualcuno.
Che cosa consiglieresti a chi si rivede nella tua storia ma ha paura di uscire allo scoperto?
Quello che consiglio è di non fare l’errore di isolarsi perché parlarne è il primo passo verso la cura. La psicoterapia è fondamentale e consiglio sempre di iniziare anche rivolgendosi al pubblico se non si ha la possibilità di andare a curarsi in privato. L’unico errore che si possa fare è quello di rimanere fermi e far peggiorare le cose.
Che progetti ti auguri per il futuro?
Io spero di poter allargare la mia divulgazione e poter fruttare la mia laurea in pedagogia in ambito della salute mentale soprattutto tra i giovani. Credo che la mia storia possa essere veramente d’aiuto e d’ispirazione per chi non riesce a parlare e anche per chi sta vicino a qualcuno che soffre.
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