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Campania - Associazione Regionale Protezione Animale Domestico – ovvero ARPAD. È questo il nome dell’associazione che gestisce l’omonimo rifugio che si trova a Licola Mare, una piccola frazione della città metropolitana di Napoli. È una casa pronta ad accogliere tutti i cani dell’area flegrea che hanno perso la loro famiglia o che ancora non l’hanno incontrata e che, mentre aspettano di essere adottati, qui possono godere dell’amore, delle attenzioni e delle premure di veterinari e volontari che se ne prendono cura quotidianamente.
ARPAD, UNA STORIA CHE INIZIA NEL 1984
Quest’anno il rifugio compie quarant’anni. La firma davanti al notaio per sottoscrivere lo statuto fu posta nell’aprile del 1984 da una professoressa della zona, Giovanna de Vita, che riuscì a ottenere in concessione dalla Regione un piccolo appezzamento di terra in una zona molto periferica per mettere in salvo tanti animali che vagavano per le strade abbandonati a causa del bradisismo.
«A quei tempi, ma spesso è ancora così, era diffusa la mentalità che se si verificava un problema familiare, il cane rappresentava un impedimento di cui bisognava sbarazzarsi. Durante il bradisismo di quegli anni molte case furono giudicate inagibili e le persone costrette a lasciarle ma, nel farlo, non considerarono l’animale parte della famiglia. Erano tempi in cui non esistevano neanche i microchip, per cui era impossibile risalire al proprietario».
Fortunatamente oggi la situazione è migliorata, quantomeno in termini di sensibilizzazione: «Si parla del problema dell’abbandono in televisione e nelle scuole, mentre in quegli anni la questione non veniva neanche affrontata», mi ha spiegato Anna Digilio, volontaria del rifugio ARPAD da circa diciott’anni.
L’idea di Giovanna de Vita era quella di creare uno spazio dove salvare questi cani che, secondo la legislazione dell’epoca, sarebbero stati prima catturati e poi uccisi. Questa legge cambiò a partire dal 1991, ma avere salva la vita non significava comunque per i randagi poter vivere un’esistenza serena. I canili erano spesso strutture piccole e i randagi venivano tenuti chiusi nelle gabbie giorno dopo giorno, senza la possibilità di correre in giro o di socializzare.
Giovanna voleva qualcosa di diverso. Uno spazio in cui gli animali potessero vivere sani e, soprattutto, sereni. «Adesso non è difficile sentir parlare di canili “virtuosi”, ma nel 1984 la sola idea di canile come luogo di accoglienza non era concepibile. È incredibile pensare alla lungimiranza di questa donna che è riuscita ad essere già quarant’anni fa così attenta ai bisogni degli animali».
IL LAVORO DEI VOLONTARI DI ARPAD
ARPAD accoglie cani in difficoltà, randagi, abbandonati o tolti a famiglie maltrattanti. «Di solito sono gli stessi volontari che recuperano gli animali sul territorio o se li fanno dare in affido dalle ASL da cui sono stati prelevati o ricoverati perché feriti. I volontari li portano da noi e contribuiscono al loro mantenimento», ha continuato Anna. «Altri ingressi sono rinunce di proprietà, ovvero di persone che non vogliono più tenere il loro cane e che lo lasciano in affido a noi».
Tutti i cani che arrivano da ARPAD trovano un ricovero accogliente in cui sentirsi al sicuro e nel quale vengono assicurati cibo, cure mediche e non solo. «Il direttore sanitario è un medico veterinario che si occupa di prendersi cura della loro salute, con visite o con la somministrazione di farmaci laddove ce ne sia bisogno. Ci sono poi operatori formati per occuparsi dei bisogni primari del cane, come il cibo e la pulizia».
Ma i cani sono animali sociali e hanno bisogno di relazionarsi con gli altri per stare veramente bene. «Tutte quelle attività che non sono secondarie in termine di benessere – sottolinea Anna – ma che non necessitano di una formazione specifica, come il gioco, le passeggiate, le relazioni tra i cani e tra uomo e cane, sono demandate ai volontari. I volontari fissi sono una ventina, ma sono molto importanti anche quelli occasionali, perché in strutture come queste ogni piccola goccia può fare la differenza».
L’obiettivo che ARPAD si propone è quello di aiutare i cani nel momento di necessità e di traghettarli poi verso una vita migliore. Per questo, appena un nuovo cane arriva al rifugio, si fa partire subito l’iter per l’adozione, alla ricerca di una famiglia adatta ad accogliere un nuovo membro.
OGNI AIUTO È IMPORTANTE
ARPAD è un enorme luogo di speranza per gli amici pelosi e meno fortunati, ma deve comunque fare i conti con molte difficoltà. Il limite più amaro è la capacità economica, poiché ARPAD è finanziato solo da donazioni di privati e dal 5×1000, ma spesso non basta a far fronte a tutte le necessità. Ai volontari di ARPAD non manca la volontà per trovare soluzioni sempre nuove alla mancanza di fondi. È nato così il progetto “Adotta un cane a distanza”, per cui anche chi non ha la possibilità di accogliere un cane in casa, può comunque aiutare un trovatello, che avrà cure e cibo assicurati.
IL LAVORO DI SENSIBILIZZAZIONE CON LE SCUOLE
ARPAD crede molto nell’importanza di sensibilizzare al rispetto e alla cura per gli animali. «Un bambino che cresce in una casa in cui si pensa che un cane è solo un cane, ma viene educato da un’insegnante al fatto che il cane può ammalarsi, esattamente come noi, o che ha bisogni simili ai nostri, può fare la differenza. Quel bambino inizierà a guardare gli animali con occhi nuovi».
Allo stesso modo, l’associazione cerca di diffondere un modello di società che sia rispettoso dei diritti degli animali, perché una società civile non può che essere attenta ai bisogni dei più deboli. «Sono innamorata dell’ARPAD perché credo fortemente nel sogno che porta avanti da anni, quello di aiutare chi è senza difese. Il volontariato è impegnativo e quando si dà la propria parola bisogna tenerne fede. Talvolta può essere frustrante e stancante ma sempre, per me, ne vale la pena».
Anna, e tanti altri come lei, ha sempre amato la vita e crede che vada rispettata sempre, sia quella di una pianta o di un animale. «Sono cresciuta tra i cani e i gatti dei miei nonni e da piccolina amavo accudire gli uccellini che trovavo in giro, caduti dagli alberi o feriti. Prendermi cura degli animali mi fa star bene e per questo da quando sono entrata nel rifugio, non sono più andata via. Tornavo a casa e pensavo ai cani che avevo lasciato in quei box, a come poter portare loro sollievo. Alla fine è diventata una parte importantissima della mia vita, un’enorme famiglia di cui prendermi cura».
«Auguro a tutti di provare le emozioni che il volontariato regala. Vedere un cane che inizia a stare meglio, prendere fiducia, iniziare finalmente a giocare spensierato, trovare loro una casa e una famiglia, dà una gioia immensa. Certo, non è sempre così. Ci sono cani che si ammalano, che non riescono a guarire, ma bisogna imparare ad accettarlo e godersi il bello che questo impegno può regalare», conclude infine Anna, con la voce incrinata dall’emozione.
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