Andrea Cabassi: “Prima non decidevo nulla della mia vita, ora mi sono riappropriato del mio tempo”
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Desiderare di cambiare, spesso non basta. Ci sono paure, qualche incertezza e la convinzione di non farcela. Lo sa bene Andrea Cabassi, life coach e viaggiatore, che nel 2017 si è dimesso dal suo incarico di project manager in un’azienda di Dubai per partire con in tasca un biglietto di sola andata verso il Sudamerica. Dopo dieci mesi si è spostato in Sicilia, dove ha studiato per diventare life coach e ha scritto il suo secondo libro.
Qualche mese più tardi, nel 2019, Andrea è ripartito alla volta del Sud-Est asiatico, dove ha conosciuto la sua attuale compagna, anche lei in viaggio dopo aver lasciato il suo paese – il Portogallo – e il suo lavoro in ospedale come infermiera. Da quel momento non hanno più smesso di viaggiare e aiutare altre persone che desiderano dare una svolta alla propria vita ma continuano a rimandare. L’ho raggiunto al telefono per scoprire qualcosa in più del suo lavoro e soprattutto di cosa l’abbia spinto a mollare tutto e partire.
Quando parli di te, racconti della tua precedente carriera da project manager, a quella di oggi come life project manager. Cosa ti ha portato a cambiare tutto?
Diciamo che a un certo punto mi sono accorto che c’era qualcosa nella mia vita che non tornava. Avevo tutto ciò che mi avevano insegnato di dover desiderare: un buon lavoro, un ottimo stipendio, un bel po’ di amici, una vita sentimentale appagante. Però c’era qualcosa che mi mancava e a cui non riuscivo a dare un nome. Oggi so che quello che in assoluto mi mancava, era la libertà di disporre del mio tempo, molto più di quanto non fosse possibile lavorando in azienda. E così prima ho lasciato l’Italia per un nuovo lavoro a Dubai e dopo due anni, mi sono licenziato e sono partito per l’America Latina.
Il viaggio è diventato col tempo parte integrante della tua vita. Cosa rappresenta per te?
Il viaggio è scoperta, conoscenza: io lo definisco un acceleratore di vita. Parliamo chiaramente di un viaggio a lungo termine, quello che ti permette di arrivare in profondità, di scoprirti al punto da abbassare le difese, le resistenze personali e il rumore di fondo che ci accompagna normalmente. Così tutto ad un tratto non pensi più alla frenesia lavorativa, alla routine casa-lavoro-casa, agli appuntamenti con gli amici, ai pranzi della domenica a casa dei genitori.
Ecco, quando si abbassa questo rumore di fondo per un tempo sufficientemente lungo, a quel punto le problematiche che devi gestire sono tutte nuove e gli inconvenienti diventano a loro volta delle opportunità. In viaggio si cambia molto più velocemente di quanto non possa accadere rimanendo. Senza nulla togliere a chi decide di restare, purché ne sia sinceramente appagato. Io ho capito che non lo ero e che dovevo andare.
Ti definiresti un nomade digitale?
In realtà non mi sono mai considerato un nomade digitale. Mi piace definirmi “location independent”, quindi posso lavorare da qualunque posto, senza alcun vincolo. Di fatto negli ultimi due anni io e la mia compagna ci siamo mossi molto lentamente, trascorrendo lunghi periodi di stanzialità in giro per il mondo, dalle Azzorre al Messico, alla Colombia. Quest’anno invece vorremmo partire in camper. Vedremo come andrà.
Ritorniamo per un attimo alla tua vita di prima. A quarant’anni parti dall’Italia e ti butti in un’avventura come manager di un’azienda a Dubai. Com’è stato?
Quello per me è stato il vero grande cambiamento. Al contrario di quanto si potrebbe credere, è stato molto più difficile andare via dall’Italia piuttosto che dimettermi due anni dopo e partire con un biglietto di sola andata. Partendo per Dubai avevo in qualche modo già abbandonato la “via maestra” per qualcosa di nuovo e incerto.
Quando hai capito che vivere lì non faceva più al caso tuo?
Nel 2017 mio cognato è finito in coma a trentacinque anni a causa di un incidente in montagna. Mi sono crollate tutte le certezze e ho capito che non avrei potuto rimandare ciò che più desideravo. Mi sono guardato allo specchio e mi sono reso conto che non c’era nulla che mi legasse davvero a quella città. A livello decisionale, non è stato andare via da un luogo, ma verso posti nuovi, nuove esperienze.
Cambiare spesso intimorisce molto. Come si gestisce la paura di fare un salto nel vuoto?
Ho sempre cercato di essere emotivamente intelligente, inizialmente in modo inconsapevole, perché sull’importanza dell’intelligenza emotiva mi sono formato in un secondo momento, ovvero su come utilizzare pensieri ed emozioni in modo funzionale a fare delle scelte di cui non pentirsi. Scommettendo, naturalmente. Ogni volta che si prende una decisione si scommette, quindi ho sempre cercato di decidere accettando il fatto che in qualunque caso ci sarebbero stati dei momenti emotivamente difficili da superare. Oggi gestisco questi cambiamenti con la consapevolezza che le soluzioni si trovano in ogni caso. Non sempre è facile, ma è sempre possibile. E questo, il viaggio, me l’ha confermato.
A poco più di vent’anni scopri di soffrire di una malattia autoimmune cronica intestinale, che ti costringe a una cura farmacologia e a visite frequenti. Quanto la malattia ha condizionato le tue scelte?
Forse mi ha dato più spregiudicatezza nel buttarmi in determinate scelte. Mi ha permesso di non fermarmi davanti ai primi ostacoli, di ridimensionare molti problemi e di acuire la consapevolezza che qualunque cosa da un momento all’altro potrebbe impedirci di fare ciò che desideriamo. Ecco perché non dovremmo fermarci per il timore di cambiare.
Oggi Andrea Cabassi ha capito qual è la sua strada?
In realtà non lo so ancora, anche perché è molto raro capirlo. Con il tempo si cambia: siamo in continua evoluzione, cambiano le esigenze e le priorità che ci stanno più a cuore. Ad oggi posso dirti che sono molto felice del lavoro che faccio con la mia compagna per aiutare chi vorrebbe prendersi un periodo sabbatico, cioè una pausa dal lavoro per fare un viaggio a lungo termin, più lungo delle classiche 2-3 settimane di ferie, senza preoccuparsi di soldi e lavoro.
Come le aiuti con il tuo lavoro?
Il percorso sichiama “sabbatico per visionari” e ha l’obiettivo di portare le persone a diventare visionarie, cioè a ragionare out of the box, e a pianificare il futuro nella direzione dei propri desideri, con immaginazione e saggezza. È fondamentale partire con gli strumenti mentali, emotivi e pratici necessari per trovare il coraggio di prendere una decisione. Occorre anche valutare le condizioni finanziare e lavorative per farlo. Tenendo sempre a mente ciò che c’è dopo il viaggio: un periodo sabbatico non finisce mai quando si ritorna da un viaggio, ma quando ci si inserisce nuovamente nel mondo del lavoro.
Perché un periodo di stacco dal lavoro o dalla vita quotidiana possono aiutarci a cambiare?
Cambiare vita è un mestiere. Chiunque voglia cambiare in modo significativo – non solo lavoro o casa per intenderci – spesso non ci riesce perché non ha tempo di farlo, perché gli impegni della quotidianità sono così incalzanti da non lasciare il tempo per riflettere. Per farlo c’è bisogno di tempo, di energia, di idee, di mettersi seduti con davanti un foglio bianco da cui partire. E per esperienza personale, non credo esista un modo migliore per farlo se non durante o dopo un periodo di stacco.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Sicuramente poter decidere della mia vita, che non vuol dire non avere orari e lavorare meno di quando ero impiegato in azienda, anzi. In altre parole, essermi riappropriato del mio tempo. Ma la cosa che mi gratifica di più è vedere la gioia di chi trova la forza di prender in mano la propria vita e cambiarla come non aveva ancora avuto il coraggio di fare. La loro storia è un po’ anche la mia e la loro testimonianza mi permette di dimostrare quanto cambiare sia realmente possibile per tutti coloro che lo desiderano davvero.
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