È vero che le navi da crociera inquinano? E se sì, quanto?
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Quanto inquinano – se lo fanno – le navi da crociera? Continua la nostra inchiesta di approfondimento su questi luoghi “magici” in cui lusso, divertimento, abbondanza e comfort sono a disposizione di ogni persona per l’intero viaggio. Valutando quanto incide il singolo passeggero tutto sembra gestibile, ma considerando il numero complessivo delle persone a bordo – a volte possono superare le 4000 –), la stazza della nave – tra le 100 e le 200mila tonnellate – e quanto necessario per poterla spostare, l’impatto e il relativo inquinamento assumono dimensioni importanti.
VI PRESENTO FEDERICO
Ho provato dunque, insieme al chimico ambientale Federico Valerio, a comprendere quali sono le informazioni conosciute sul reale inquinamento di queste navi, come viene calcolato e a chi spetta il compito di monitorare che i limiti stabiliti vengano rispettati. Federico, dopo essersi dedicato per molti anni al lavoro di ricerca e analisi dati per comprendere la correlazione fra inquinamento e tumori, oggi mette a disposizione le sue conoscenze come divulgatore scientifico.
«Sono un chimico – mi racconta Federico – e ho iniziato a fine degli anni ‘70 a lavorare nell’ambito della chimica ambientale, per l’Istituto Scientifico Tumori di Genova, dove dopo qualche anno sono diventato il responsabile laboratorio. Il mio lavoro era incentrato sull’approfondire con i colleghi la presenza di sostanze cancerogene nell’ambiente, partendo da tecniche di misurazione e monitoraggio sulla qualità dell’aria».
Dopo essere andato in pensione, circa dieci anni fa, Federico si è dedicato alla divulgazione scientifica, in particolare con l’Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova, di cui è membro del direttivo. Si tratta di un’associazione che raccoglie al suo interno una serie di competenze multidisciplinari di salvaguardia dell’ambiente e le mette a sua volta a disposizione attraverso strumenti di divulgazione a supporto – anche – di comitati territoriali nati intorno a tematiche di tutela del territorio.
IL PROBLEMA C’È? DAI COMITATI IN POI
«Siamo stati contattati da un comitato contro i fumi delle navi di Genova e da alcuni comitati spezzini con problemi analoghi. Mi sono dunque occupato di approfondire il problema e mettere a disposizione tutte le informazioni scientifiche necessarie per comprenderne l’entità e capire come sollecitare le varie amministrazioni coinvolte nel risolverlo», mi racconta Federico Valerio.
«Mentre approfondivo il tema – prosegue – ho scoperto che l’Europa si stava interessando a questo argomento da tempo e che aveva finanziato dei laboratori per portare avanti studi specifici in diverse località, tra cui Genova. Conoscendo uno dei fisici che ci lavora, quando abbiamo ricevuto la segnalazione, ho contattato il collega chiedendogli di esporre pubblicamente i risultati dell’indagine condotta fino a quel punto».
Ed è con questa collaborazione che l’attività di monitoraggio, stima e divulgazione dell’Ecoistituto inizia: «Il lavoro portato avanti fino a quel punto è stato molto prezioso, in quanto avevano iniziato a verificare che il problema esisteva davvero ed era quantificabile. Inoltre avevano iniziato a creare dei modelli diffusionali per la ricaduta degli ossidi azoto sulla città, con risultati preoccupanti: avevano stimato infatti che c’era una parte della popolazione di Genova, che stimavano intorno alle 40mila persone, esposte a livelli troppo elevati di ossidi azoto attribuibili alla sola emissione portuale. Ma non solo: avevano anche compreso che se questa emissione fosse stata controllata, il rischio sarebbe stato azzerabile».
Il porto ligure che ad oggi dispone dei dati più dettagliati e precisi è quello di La Spezia, in quanto la centralina Arpal è stata installata proprio a fianco del molo dove attraccano le navi da passeggeri, riuscendo così a registrare i dati precisi di inquinamento dell’aria ad ogni arrivo e partenza delle navi e dimostrando così che a ogni passaggio delle imbarcazioni presso il porto le emissioni aumentano fino a superare i limiti di legge previsti di una percentuale significativa.
IL MONITORAGGIO: CONOSCERE PER AGIRE
Dal 2020 l’Europa ha invitato tutti i Paesi a utilizzare uno strumento tanto semplice quanto efficace per verificare i tassi di inquinamento, ovvero l’inventario delle emissioni, che prevede una raccolta di dati effettuata in modo capillare sui territori per comprendere quali sono i livelli di inquinanti nelle differenti aree monitorate, oltre a raccogliere le informazioni necessarie per la loro stima e disaggregazione
Si tratta di un supporto fondamentale per la pianificazione e gestione della qualità dell’aria, che fin dal suo esordio a La Spezia ha evidenziato con chiarezza come le emissioni portuali sono di gran lunga superiori a quelle di tutte le auto che circolano in città. Tuttavia questo dato è stato totalmente ignorato in quanto si è ritenuto necessario allestire una rete di monitoraggio dedicata prima di fare specifiche valutazioni.
«Invece a Genova – mi spiega Federico – le reti di monitoraggio sono state dedicate al traffico o più raramente alle emissioni industriali più impattanti, ma nella maggior parte dei casi non era prevista la loro presenza nei porti, quindi non si avevano informazioni su quanto impattasse il traffico marittimo e nessuno aveva monitorato fino a quel punto le possibili conseguenze sulla salute delle persone».
E le conferme arrivano anche da ricerche internazionali: “Il settore costituisce solo il 3% del trasporto navale, ma produce un quarto dei suoi rifiuti. Un pernottamento su una nave da crociera consuma 12 volte l’energia di uno in hotel e l’impronta carbonica di questi viaggi è ancora più alta di quelli in aereo. Inoltre, la concentrazione di PM10 e PM2.5 sui ponti di queste navi è comparabile a quella registrata in alcune delle città più inquinate al mondo, come Pechino. Questi dati sono stati riportati dallo studio “Environmental and human health impacts of cruise tourism: a review” pubblicato sul Marine pollution bulletin a settembre 2021″1.
OBBLIGHI, CONTROLLO E NON SOLO
Ma chi dovrebbe monitorare che i livelli imposti dall’Europa non vengano superati? La capitaneria di porto ha degli obblighi specifici, come misurare la quantità di zolfo presente sulle navi, oltre a verificare – una volta salita a bordo – se tutta la documentazione di manutenzione ordinaria e straordinaria dei motori è stata effettuata rispettando le normative vigenti. Ma non solo: a loro spetta anche verificare che le navi prima di entrare in porto effettuino un cambio di combustibile, utilizzando quello con la minor quantità di zolfo possibile. «Ciò è un problema, anche se meno diffuso di altri, perché gli sforamenti sono di ossidi di azoto che sono presenti indipendentemente dal tenore di zolfo presente nel gasolio».
La questione dunque è questa: quanti ossidi di azoto e polveri sottili emettono i motori? I modelli più moderni ad oggi utilizzati vanno a gas naturale, quindi senza l’utilizzo di zolfo, riuscendo quindi a non emettere anidride solforosa. Ma nonostante abbiano un basso livello di emissioni di polvere sottili, hanno un buon tenore di ossidi di azoto, che impattano lo stesso sull’aria creando conseguenze spiacevoli a chiunque la respiri.
INQUINAMENTO SEMPRE, NON SOLO PER NOI
Le sostanze inquinanti prodotte dalle navi sono un problema non solo per le persone che lavorano e vivono nel raggio di qualche chilometro dal porto ma anche per altri organismi, dai vegetali agli altri animali, al plancton. «È indubbio che le dinamiche e gli impatti sono diversi, in quanto gli organismi sono diversi, ma è stato ampiamente accertato che l’acidificazione del mare ai solfati acidi solforici emessi dalle navi ha un impatto su tutti gli organismi viventi».
Una delle soluzioni ad oggi adottate per ridurre l’inquinamento dell’aria è l’abbattimento dei fumi, ovvero dei “lavaggi” effettuati ai fumi prodotti dalle navi prima di essere rilasciati nell’aria. Ciò permette di ridurre tutta una serie di inquinanti, come polveri sottili, ossidi azoto e anidride solforosa: queste sostanze vengono però rilasciate nell’acqua, che deve quindi essere conservata in opportuni serbatoi e scaricata a terra per poter essere adeguatamente trattata.
Buttare tali acque in mare aperto è vietato, ma chi controlla che ciò non venga fatto? «Bisognerebbe seguire le singoli navi e accertarsi che non rilascino sostanze non dovute in mare, ma ciò oggi in Italia non viene fatto, anche se avremmo già sia la tecnologia necessaria che esempi concreti da imitare, come quello della Francia che verifica ciò che le navi rilasciano attraverso droni installati in coda ai pennacchi i quali, con sensori adeguati, verificano la presenza di alcune sostanze, tra cui lo zolfo, e da ciò possono dedurre informazioni utili».
NORMATIVE PASSATE E FUTURE
Forse non tutti sanno che i limiti previsti dalla legge non tutelano la nostra salute. L’OMS alla luce di dati epidemiologici raccolti a livello mondiale sta evidenziando che gli attuali limiti previsti a livello europeo sono sì un miglioramento rispetto al passato, ma non sono sufficienti per garantire la salute e, in alcuni casi, la salvaguardia della vita, vedendo diminuire l’aspettativa di vita delle popolazioni più esposte. I nuovi parametri di riferimento suggeriti quindi dall’OMS, che l’Europa sta valutando, segnalano che per poter garantire la salute della popolazione – in particolare di quella più fragile – dobbiamo diminuire drasticamente i valori dell’inquinamento.
Il limite previsto fino ad oggi viene calcolato su una media annuale, ma le ultime ricerche epidemiologiche dimostrano che esistono danni anche a seguito di esposizioni brevi, di un solo giorno. «Una delle novità quindi sarà l’inserimento di un limite giornaliero, prevedendo così che sulle 24 ore non debba essere superato il limite 25 microgrammi. A Genova abbiamo portato avanti un monitoraggio costante, comprendendo che tale limite viene spesso superato, in particolare nel periodo estivo quando sono presenti venti».
Note:
1 https://altreconomia.it/limpatto-delle-navi-da-crociera-sugli-ecosistemi-e-sulla-salute/
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