Erika Di Martino: “Ecco perché non ho mandato a scuola i miei figli” – Io Faccio Così #396
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«Tu sei pazza! Ma cosa stai facendo? Tu devi fare l’unità 7, non puoi fare la canzone dei Queen!». Sbottavano così i presidi delle scuole private in cui insegnava Erika Di Martino quando scoprivano che questa docente un po’ fuori dalle (loro) righe faceva ascoltare ai ragazzi e alle ragazze le canzoni della band di Freddy Mercury per aiutarli a imparare l’inglese.
Recentemente abbiamo incontrato e intervistato Erika, scrittrice e divulgatrice fra le massime esperte di educazione parentale in Italia. E non è stata la prima volta, giacché è una vecchia conoscenza di Italia che Cambia: la incontrammo cinque anni fa a Panta Rei e allora pubblicammo un lungo articolo in due parti sulla sua esperienza – qui la trovate la prima. Italoamericana trasferitasi in Italia dall’età di 5 anni, Erika è una delle principali divulgatrici dell’homeschooling nel nostro Paese, autrice del libro Homeschooling, l’Educazione Parentale in Italia e fondatrice di EduPar.
Come ci raccontava già cinque anni fa, la scelta dell’educazione parentale era dovuta a una triplice brutta esperienza scolastica, prima da alunna, successivamente da insegnante, infine da mamma. Come studentessa – ci spiega – la sensazione provata era che «le mie ali venissero tarpate. Già lì avevo un sentore del fatto che non me la raccontassero giusta, c’era qualcosa che non andava».
Quella stessa sensazione, più avanti nel suo percorso di vita, di studio e di lavoro, viene confermata anche nel ruolo di insegnante: «Stando dall’altra parte vedevo che il sistema non funzionava», racconta Erika Di Martino. «Mi sono resa conto che anche dalla parte dell’insegnante il sistema era fallato. Cercavo di portare innovazione nella classe, facendo cose divertenti e moderne, che potessero portare interesse a questi ragazzi».
Qualcosa però sembra non funzionare, tanto erano radicate determinate dinamiche didattiche non solo negli studenti ma anche nei dirigenti scolastici: «Eppure i ragazzi erano stufi, stanchi, abituati al bastone e carota che io non volevo usare, quindi mi prendevano anche un po’ in giro, ne avevo alcuni che seguivano ma la maggior parte era intenta a disegnarsi sulle mani, sui diari, sui banchi. E poi avevo i vari direttori delle scuole che mi prendevano per pazza».
Il punto di svolta per Erika arriva nel momento in cui diventa mamma e si rende conto che non molto è cambiato: «Trovavo sempre strutture molto fredde, magari anche con insegnanti fantastiche, ma tutte col cappio alla gola del tempo, dell’apertura e chiusura, dell’accoglienza che non c’era. Mi sono vista strappare di dosso mio figlio: io avevo 25 anni, con la maestra che mi diceva “signora va bene così, deve piangere, deve soffrire, dovete staccarvi” e lo portavano via. Chiudevano la porta e sentivo urlare, ma non solo mio figlio, urlavano tutti».
Da qui la scelta di esplorare, sperimentare e raccontare in maniera pionieristica il campo dell’educazione parentale, formalmente riconosciuta dalla Costituzione ma molto poco attuata nel nostro paese. Come ci ha raccontato, l’educazione parentale consiste, come spiega il nome nel garantire ai propri figli un’educazione al di fuori dell’istituzione scolastica. Tuttavia, si deve rispettare una serie di standard nazionali: «A rigore di legge siamo tenuti a fare un esame annuale, novità introdotta dalla Buona Scuola [la riforma scolastica approvata dal governo Renzi con la legge 107/2015, ndr]».
L’homeschooling è anche uno di quegli argomenti che solleva molte critiche e obiezioni, che riguardano spesso la socialità dei bambini, la mancanza di controlli sui programmi e sui metodi educativi, la rinuncia a una rivendicazione di cambiare collettivamente la scuola pubblica. Per approfondire ulteriormente questi aspetti, leggete la precedente intervista a Erika Di Martino e guardate la video intervista che trovate in questo articolo. Al di là delle opinioni personali, conoscere anche metodi educativi non convenzionali non può che fare bene all’innovazione di un sistema scolastico che si è dimostrato obsoleto e inadeguato.
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