L’economia circolare di Relicta: pellicole biodegradabili che si sciolgono in acqua – Io Faccio Così #397
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Sassari - “L’unico rifiuto buono è quello che non viene prodotto”. Non mi stancherò mai di ripetere quanto ho appreso quasi vent’anni fa, quando mi sono avvicinato al mondo dei cicli produttivi, della raccolta differenziata, dell’economia circolare, del vuoto a rendere e della strategia rifiuti zero. Ma c’è anche un altro insegnamento fondamentale: “In Natura non esistono rifiuti, li abbiamo inventati noi”. E i rifiuti, intesi come qualcosa che crea problema anziché nutrire il terreno – come fanno gli scarti organici –, si affermano con l’affermarsi del petrolio e dei suoi derivati.
Da lì nasce “il problema della plastica”, che in realtà è un materiale straordinario, ma diventa criticità quando viene applicato per l’“usa e getta”. Ogni anno vengono prodotte 450 milioni di tonnellate di plastica, otto dei quali finiscono negli oceani; circa 700 specie sono interessate da fenomeni di inquinamento di materie plastiche. E di conseguenza, sostituire la plastica usa e getta con altri materiali usa e getta non è una vera soluzione, ma sposta solo il problema. Seguendo questa premessa, come direttore responsabile di Italia che Cambia, non dovrei quindi voler raccontare una realtà come quella di Relicta. E invece… E invece per una volta sono rimasto affascinato da un materiale alternativo alla plastica.
Per tre motivi:
- è un materiale solubile nell’acqua del rubinetto. Quindi scompare e non lascia letteralmente rifiuti
- è fatto con gli scarti della lavorazione del pesce
- è utilizzabile solo per materiali non esposti all’acqua, di conseguenza non mira a sostituire la plastica usa e getta nei suoi usi dannosi
Intendiamoci, nel mio mondo ideale non esisterà alcun tipo di materiale “usa e getta”, ma è innegabile che alcuni utilizzi – come ad esempio la velina che copre determinati cibi – non è sostituibile nel breve periodo con materiali riusabili e allora, per quei rari casi in cui non c’è alternativa, ben venga la proposta di Relicta.
RELICTA: A SASSARI, L’IDEA PRENDE FORMA
Relicta – dal latino “abbandonato, in disuso” – è il nome della startup nata formalmente nel 2020, ma che si è costituita nel 2017 all’interno del Contamination lab dell’Università di Sassari. Recuperando gli scarti della lavorazione del pesce attraverso una miscela, Relicta è capace di ottenere una pellicola plastica e trasparente, ma soprattutto biodegradabile e solubile in acqua. Una soluzione che può rappresentare una valida alternativa per ridurre l’inquinamento ambientale e in particolar modo quello oceanico.
L’idea è venuta a Davide Sanna durante il dottorato di ricerca: si è occupato di trovare modi innovativi e utili per riutilizzare materiali di scarto. Grazie a Contamination lab ha incontrato il resto della squadra – Andrea Farina, Giovanni Conti, Mariangela Melino e Matteo Sanni – con cui ha intrapreso il progetto.
«Gli scarti del pesce trovano mercato nel campo del petfood, ma non hanno una valorizzazione dal punto di vista di utilità nella vita di tutti i giorni. Sono davvero tante le prospettive che un materiale di scarto può avere, lo dimostra anche la letteratura scientifica, ma spesso l’idea rimane confinata alla ricerca senza uno sviluppo reale delle tante possibilità di uso», racconta Davide Senna, AD e cofondatore di Relicta. Dal 2017 a oggi, dopo diversi premi vinti, percorsi di formazione e accelerazione, difficoltà, successi e finanziamenti, Relicta ha potuto sviluppare il prototipo di laboratorio e cominciare l’avventura come una società vera e propria.
Nell’anno appena concluso hanno iniziato a testare la bioplastica per il confezionamento di alimenti e altri prodotti e conoscere le potenzialità del materiale. Nel frattempo, non avendo ancora una produzione propria, sono in contatto con aziende interessate all’uso di questa bioplastica per la produzione di prototipi che rispondano alle proprie esigenze. Stanno di fatto esternalizzando la produzione delle bobine per creare un packaging personalizzato con l’azienda interessata. Nella fase successiva è prevista la costruzione di un impianto pilota che permetta di produrre una certa quantità di bobine da vendere direttamente alle realtà con cui sono in contatto.
TRA SARDEGNA E ABRUZZO, LA SPERIMENTAZIONE SI FA PROGETTO
Relicta ha due laboratori, uno in Sardegna e l’altro in Abruzzo; in entrambi si lavora all’estrazione della materia prima dagli scarti del pesce e alla trasformazione in un film/pellicola di questo materiale. «Raccogliamo la pelle del pesce da vari fornitori che collaborano con noi e la trattiamo attraverso un processo chimico per poi ottenere il materiale grezzo della bioplastica che viene modificato per ottenere la miscela che abbiamo brevettato. Stiamo studiando anche un processo di tipo fermentativo che ci consentirà di usare microorganismi al posto di agenti chimici, e di abbattere in toto le emissioni di CO2. Non avremmo necessità di usare né reagenti chimici né corrente elettrica».
Accanto al lavoro estrattivo c’è anche un lavoro di concetto che permette l’industrializzazione del materiale: «Il macchinario che abbiamo scelto per la produzione, in linea con i principi dell’economia circolare, si chiama solving casting e funziona in modo molto semplice. Si deposita il materiale che estraiamo su un piatto che viene riscaldato e che permette l’evaporazione dell’acqua contenuta nel materiale per ottenere poi il prodotto finale», continua il cofondatore di Relicta.
POLVERE ERAVAMO E POLVERE TORNEREMO… BASTA UN PO’ D’ACQUA!
«La bioplastica prodotta da Relicta si scioglie istantaneamente in acqua calda, anche in quella usata per lavare i piatti, o all’interno della lavastoviglie e non è inquinante per l’acqua di rete in base ai test effettuati. Il consumatore la può smaltire in autonomia all’interno delle mura domestiche. In acqua fredda, dolce o salata, impiegherà venti giorni a dissolversi», sottolinea Andrea Farina, CTO e cofondatrice di Relicta.
L’uso di questa bioplastica potrebbe contribuire a mitigare i danni dell’usa e getta ed essere in linea con le direttive dello smaltimento della plastica. Come tutti i materiali alternativi alla plastica ha un costo maggiore, aspetto che non sempre invoglia le aziende a convertirsi verso nuove produzioni più ecocompatibili.
Eppure le normative europee richiedono una diminuzione della produzione e della distribuzione di plastica monouso; si spera quindi che questa nuova domanda possa generare un cambio di mentalità. Inoltre, al contrario delle altre bioplastiche già in uso, non ha bisogno del processo di compostaggio classico per essere smaltita e anche il processo di filmatura è meno energivoro dei processi di produzione della classica plastica. È possibile recuperare l’acqua che viene fatta evaporare, per solubilizzare la plastica, per riutilizzarla in un ciclo infinito.
«Contiamo molto sul principio dell’economia circolare anche per la tecnologia del solvent casting. Si basa su una tecnica di produzione che non è nota a molti ma veniva usata per fare i rullini e permette di riutilizzare gli scarti senza dover consumare ulteriore energia. Nel nostro caso specifico, rispetto alla plastica normale non dobbiamo produrre né la materia prima né abbiamo grosse lavorazioni», puntualizza Davide.
«Possiamo anche raccogliere gli scarti delle aziende che non fanno parte di questo commercio – aggiunge – e riusarli per metterli noi sul mercato come la nostra bioplastica». «L’obiettivo a stretto giro – conclude Andrea Farina – è raccogliere il prossimo round di finanziamento a metà 2024 per la costruzione dell’impianto produttivo che pensiamo possa essere costruito alla fine di quest’anno e cominciare a produrre nel 2025».
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