29 Gen 2024

La storia di Rebecca Sechi: “I disturbi alimentari riguardano tutti, serve educare alla sensibilità”

Scritto da: Lisa Ferreli

Si stima che in Sardegna i disturbi alimentari interessino decine di migliaia di uomini e donne. La storia di Rebecca Sechi è simile a quella di tante altre persone che come lei nell'Isola affrontano o hanno affrontato dei disturbi alimentari. Abbiamo scelto di intervistarla, di parlare con lei delle politiche dell'attuale Governo in materia, ma anche di raccontare l'esperienza che ha vissuto. La sua è una testimonianza che passa anche per momenti dolorosi: attenzione, potrebbero urtare la tua sensibilità.

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Cagliari - Prima il mancato rinnovo in legge di Bilancio del Fondo da 25 milioni per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, poi l’annuncio da parte del ministro della Salute Orazio Schillaci – dopo le polemiche – di un Fondo straordinario da 10 milioni e trentadue prestazioni gratuite per i pazienti. Nel mezzo, in testa alle proteste di chi in tutta Italia nei giorni scorsi ha chiesto ascolto e politiche strutturali, ci sono famiglie, amici, persone che hanno o hanno avuto dei disturbi alimentari e testimonianze di esperienze di vita in lotta. Nel percorso di cura, o in una società dove spesso «curarsi è un privilegio».

A Cagliari tra le persone scese in piazza c’era anche Rebecca Sechi. 22 anni, studentessa in Criminologia e Sociologia. La sua esperienza in quanto persona che ha affrontato dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) è un racconto che passa per il dolore, la liberazione e la rabbia. Il suo corpo è testimonianza in divenire di un percorso di cura dove le parole gentili, fanno da scheletro all’anima: i suoi tatuaggi sono tappe di un itinerario fatto di ascolto, comprensione, amore e perdono. Quella che allo stesso tempo è traguardo e punto di partenza, è la sua rinascita.

disturbi alimentari rebecca sechi
Uno dei tatuaggi di Rebecca Sechi
Qual è stata la tua reazione alla prima notizia dei tagli al Fondo per i disturbi alimentari?

Mi ha provata nel profondo. Ha toccato la radice di ciò che io penso siano i disturbi alimentari: ti senti invisibile. Se soffri o hai sofferto di disturbi alimentari, la prima cosa che spesso percepisci di te è di essere inutile, non considerata. Leggere una notizia così allora ti fa pensare “okay, di me non gliene frega niente neanche a loro”. Questa è purtroppo una delle radici più grandi dei disturbi alimentari, il sentirsi non validi, non importanti per gli altri. Se a farci sentire così poi è il Governo, la situazione diventa ancora più complessa.

Spesso si sottovaluta quanto un contesto di mancato ascolto possa influire negativamente sulla vita delle persone.

Sì. I disturbi alimentari è vero, sono dentro di noi, ma dentro di noi sono nati da un seme che potenzialmente tutti abbiamo, il sentirci non validi. Ed è il mondo esterno spesso a innaffiarlo e farlo crescere. Quella dei disturbi alimentari è una problematica che riguarda tutti, non solo il singolo che se lo deve risolvere. Certo, ogni storia è diversa, però posso dire che le radici della mia storia con i miei disturbi alimentari stanno nel sentirmi non valida ed è un sentimento che mi ha attraversato tante volte nella mia vita.

Mi è successo a scuola con professori e compagni, mi è capitato di sentirlo a casa, facendo attività fisica o nella vita sociale. In tanti contesti che non riguardano solo me, ma in luoghi in cui certo, io ci sono, insieme anche a tutti gli altri. La situazione è utopica ma per curare le radici dei disturbi alimentari, bisognerebbe fare un intervento sociale. Insegnare tanto a tutte le persone, in primis sul fatto che tutti posso avere un’influenza negativa sugli altri.

I disturbi alimentari possono nascere anche dove sembra sia tutto a posto

In che modo la società alimenta questo “seme”?

Il primo esempio che mi viene in mente è quando si fanno paragoni sui corpi, arrivando anche all’estrema esaltazione di una certa fisicità. Tu sei magrissima? Allora sei fantastica, vai super bene. Viceversa, il contrario. In questi momenti fatti di giudizi – a volte verbalizzati, a volte espressi coi fatti – io mi sono sempre sentita tagliata fuori, esclusa e invisibile. A scuola, nelle ore di ginnastica, quando nessuno mi sceglieva per giocare a pallavolo. Mi vergognavo di esistere, quelle ore erano un inferno. Mi dicevo che non sarei stata mai accettata per quello che sono.

Raccontare il proprio vissuto è una scelta libera e non obbligatoria, anche quando si decide di lottare per un diritto che anche nella propria esperienza di vita ci si è visto negare. Spesso sui social tu parli del tuo percorso, dell’amor proprio rivendicato ma anche delle difficoltà incontrate nella quotidianità. Cosa pensi sia importante raccontare del tuo vissuto?

Quello che penso sia importante sottolineare innanzitutto è che io non ho avuto un’infanzia terrificante. I disturbi alimentari possono nascere anche dove sembra sia tutto a posto. Io sono cresciuta in una famiglia fatta di persone che mi hanno sempre voluto bene, però c’era qualcosa in me che mi addolorava, sin da piccola. Soffrivo di solitudine, sentivo che il mondo ce l’aveva con di me, sempre di troppo, brutta e fuori posto. Sono cresciuta non andando mai al mare, vergognandomi del mio corpo, uscendo d’estate vestita come fosse inverno e avendo sempre un pensiero non troppo sano nei confronti del cibo. Per un bel po’ il disturbo è rimasto latente.

disturbi alimentari
Cartelloni esposto a Cagliari alla manifestazione contro il mancato rinnovo del Fondo per i disturbi alimentari
C’è un momento in cui il disturbo è diventato palese?

Nel 2020, alla prima quarantena, ho smesso completamente di mangiare. D’estate rivedendo le mie amiche mi sono resa conto del fatto che mi vietavo quello che loro mangiavano; inizio a dirmi che forse c’era un qualcosa che non andava. Poi a settembre sono partita per l’università; era la prima volta che andavo via di casa e lì tutto è precipitato. I miei pensieri più latenti si sono fatti molto forti, ho iniziato a dirmi che non ero abbastanza, non ero degna neanche di entrare in cucina quando c’erano i miei coinquilini. Il mio rifugio è stato il cibo: dal non mangiare niente sono passata al binge eating [Disturbo da alimentazione incontrollata, ndr].

Sono tornata a Cagliari per le vacanze di natale e le persone intorno a me hanno iniziato a fare commenti sul mio corpo. Sono esplosa. Ho capito lì di avere un disturbo alimentare, l’ho detto ai miei genitori e sono andata subito da una psicologa. È stata lei un giorno a dirmi che dovevo essere indirizzata a persone più competenti in materia di disturbi alimentari. Il primo centro al quale mi sono rivolta è stata una struttura privata, lì è iniziata la mia risalita. Ho continuato per un paio di mesi finché purtroppo a luglio 2021 i miei genitori mi dicono che non potevano più pagarmi il centro. Ho avuto paura di dover provare quel dolore per tutta la vita.

Senza il percorso di supporto privato, hai proseguito nel pubblico?

Sì, ma ho avuto un’esperienza terrificante. Le cure private sono costose, ci sono tante persone che non possono permetterselo e pensare che il servizio pubblico possa essere così scadente è terrificante. Ho avuto un peggioramento, da binge eating sono passata a anoressia. Era estate, c’era caldo, non mangiavo e non avevo le forze per reggermi in piedi. A fine settembre disperata ho urlato in faccia a mia madre che avevo paura di morire, che mi sarei ammazzata se non mi avessero trovato dei medici privati competenti.

disturbi alimentari rebecca sechi
Uno dei tatuaggi di Rebecca Sechi

Questo è quello che possono fare i disturbi alimentari: ti porta allo stremo, ti senti così tanto invisibile che per me in quel momento l’unica cosa che pensavo fosse utile era minacciare di ammazzarmi. I miei genitori si sono molto allarmati, ci siamo rivolti a una psicoterapeuta e una nutrizionista che insieme mi hanno rimessa in piedi.

Oggi come stai?

Il seme c’è ancora dentro me. Quando mi sento attaccata o criticata per il mio corpo o per come sono, quando sento frasi sui corpi altrui, su come le persone mangiano, la pianta carnivora che ho dentro tenta di morsicarmi. È un percorso lungo ma la mia psicologa tuttora mi aiuta a imparare come volermi bene, come amarmi, come dirmi che io valgo, che merito di mangiare, che non sono più sola.

In virtù anche della tua personale esperienza col servizio pubblico, come leggi la seconda notizia, quella dei 10 milioni stanziati?

Quello che io voglio e che in tanti vogliamo da parte del Governo, è rispetto. Mesi fa Giorgia Meloni ha parlato dell’anoressia come “devianza giovanile”, quindi serve anche informazione. Non sarà qualche milione di euro a farci stare zitti e dire “grazie mille”: non sono abbastanza, sono briciole. Serve che il Governo a livello sociale si impegni affinché le persone con disturbi alimentari vengano seriamente aiutate. E serve educare alla sensibilità.

disturbi alimentari rebecca sechi
Rebecca Sechi
In conclusione, hai un consiglio da dare a chi legge?

Se pensi di dover chiedere aiuto, fallo. Di disturbi alimentari si muore, siamo tutti meritevoli di aiuto, di salvarci, migliorare, ascoltare il dolore che abbiamo dentro e trovare una chiave per risolverlo. Non demonizzo il servizio pubblico perché è pur sempre un qualcosa. Ognuno poi ha sempre la sua esperienza personale, per altre persone può essere efficace e chiedere aiuto è sempre importante. Che sia un genitore, un parente, una fidanzata, una persona in generale, non siamo soli.

In questi giorni di dibattiti sui DCA e piazze piene, vedendo che questo argomento sta a cuore a tante persone ho avuto la conferma che non sono sola. Nella mia storia, se penso ai momenti di dolore, penso spesso alle parole delle persone. Ciò che vorrei dire è di fermarsi sempre un attimo prima di aprire la bocca. Non tutto è fondamentale da dire: fermiamoci, sensibilizziamoci, impariamo a essere ciò che vogliamo dire.

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