Social media, adolescenti e disturbi alimentari. Dalla Sicilia un modello virtuoso basato su una rete di assistenza
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«Sono stata malata. È successo più di trent’anni fa. All’epoca non c’era internet, i social media non esistevano. […] I miei familiari, gli amici mi sono stati accanto, mi hanno aiutata e alla fine sono guarita. Vivevo in mezzo alla gente, non mi confinavo dietro lo schermo di un computer o di un telefonino. E questo mi ha consentito di rimanere aggrappata alla realtà senza farmi sprofondare in un’esistenza virtuale».
Sono le parole della giornalista Fiorenza Sarzanini nella prefazione del libro Social Fame, a cura di Laura Dalla Ragione e Raffaela Vanzetta. Un’occasione per riflettere su un fenomeno drammatico e in aumento che riguarda soprattutto gli adolescenti per i quali le diagnosi correlate ai Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione (DAN) rappresentano in Italia la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Secondo i dati del Ministero della Salute nel 2023 sono stati tre milioni gli italiani affetti da Disturbi del Comportamento Alimentare, a fronte dei 300mila casi segnalati appena tre anni fa.
Eppure, nonostante dati così allarmanti, il Governo ha deciso di tagliare i finanziamenti senza rinnovare il Fondo per il contrasto dei disturbi alimentari istituito nel 2021, che sta contribuendo a sostenere le risorse per i livelli base di assistenza in tutta Italia attraverso programmi di prevenzione e di cura e a implementare i centri già esistenti. Una scelta incomprensibile se si pensa che a causare la morte di chi soffre di questi disturbi è proprio la mancanza di cure e trattamenti.
COSA SI INTENDE PER DISTURBI ALIMENTARI?
I disturbi alimentari più noti, che troviamo descritti nei manuali diagnostici, sono l’anoressia – che di solito compare con l’età puberale e si manifesta almeno esteriormente con restrizione alimentare e in alcuni casi con il vomito – e la bulimia nervosa che, al contrario, si manifesta con abbuffate seguite da metodi di compenso, prevalentemente vomito, sport eccessivo, uso di diuretici e lassativi. Rispetto all’anoressia, si tratta di un disturbo spesso nascosto, più frequente e che tende ad avere un esordio più tardivo.
Il mondo interno di chi soffre è ossessionato dal peso e dalle forme corporee con un progressivo congelamento affettivo, soprattutto nell’anoressia. Non vanno sottovalutate le complicanze fisiche, prima di tutto quelle cardiache e/o le gravi alterazioni degli elettroliti come il potassio. Quali sono le cause? Difficile dare un’unica risposta. Il disturbo svela una sensibilità di base, una vulnerabilità che ha origini profonde e che piò essere rintracciata in come si è sviluppata la personalità. Cause psicologiche, biologiche e ambientali concorrono allo sviluppo della patologia.
Il martellamento sui social di video e immagini di fisici pompati, perfetti, modelli di bellezza inarrivabili, non aiuta. Visi e corpi privi di imperfezioni, senza nessuna smagliatura, ruga o occhiaia, che dietro ai filtri nascondono un’altra verità. Questa finta perfezione, che è l’obiettivo a cui tendere, può diventare un vero inferno da tollerare quotidianamente, nonostante la consapevolezza di una rappresentazione spesso illusoria e irreale. «Oggi, rispetto al passato, si è abbassata molto la fascia di età di esordio dei disturbi, sono anticipate e accelerate anche le tappe della crescita fisica, mentre quella reale, profonda ed emozionale, è ritardata».
«La forte pressione rispetto all’ideale di magrezza, l’arrivo della fase puberale, l’angoscia della trasformazione corporea e le problematiche di disistima verso sé stessi, trovano nel dimagrimento il tentativo estremo di poter controllare una parte di rappresentazione di sé e quindi il desiderio di essere accettati, desiderati. Si pensa così che il disturbo restrittivo possa rallentare questa trasformazione o negarla fino ad avere un corpo etereo. Alla base ci sono delle fragilità importanti», commenta Massimo Alagna, psichiatra e neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza.
I DISTURBI ALIMENTARI, LA PANDEMIA E I SOCIAL
La pandemia non ha aiutato, provocando un’impennata di casi gravi. Senza possibilità di uscire di casa, i social sono diventati lo specchio distorto del mondo. Come scrivono Laura Dalla Ragione e Raffaela Vanzetta, «Social Fame letteralmente rimanda all’essere riconosciuti come degni di nota a livello sociale e diventa in questo periodo una sorta di emblema: tutti abbiamo fame di essere riconosciuti e i social media non fanno che alimentarla».
Anche Massimo Alagna ribadisce l’importanza dell’essere riconosciuti riscontrata nel corso della sua esperienza: «Abbiamo trattato persone con disabilità intellettive appagate nel sentirsi come gli altri, con problemi di anoressia, appartenere a un mondo che è visto, con il rischio di rendere la patologia come qualcosa di attraente. In un processo in cui la cosa più importante è diventare sé stessi c’è un desiderio di omologarsi, di rinforzo rispetto alla propria identità, sempre più fragile, meno creativa e oggi estremamente impoverita anche dagli stessi social media».
I DISTURBI ALIMENTARI IN SICILIA: I DATI DEL MINISTERO
Nel 2022 in Sicilia le persone affette da Disturbi dell’Alimentazione sono aumentate del 30% rispetto al 2018. Secondo i dati del Ministero della Salute ad ammalarsi sono persone di entrambi i sessi in una fascia d’età compresa tra i 12 e i 45 anni con un abbassamento dell’età d’insorgenza e con una maggiore diffusione nella popolazione maschile rispetto al passato. Dal 2019 al 2022, circa 37 mila persone si sono rivolte al SSN per patologie legate ai Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).
In Sicilia la rete di assistenza suggerita dal Ministero della Salute – che comprende quattro livelli: ambulatorio, ospedale, centro diurno, residenza – è debole: sono presenti sette centri dedicati ai DCA – Enna, Messina, Catania, Palermo, Agrigento, Caltanissetta e Trapani – e tre Day hospital, ma non esiste alcuna residenza. Nonostante una scarsa offerta assistenziale, nelle province di Palermo e di Catania i dati relativi alle cure e ai ricoveri per i minori sono in controtendenza rispetto al resto dell’isola e ad altre regioni, grazie a un lavoro interdisciplinare che vede impegnato anche Massimo Alagna.
«A parte qualche caso sporadico, non mandiamo fuori regione i minori con disturbi alimentari, non abbiamo neanche bisogno di curarli in strutture riabilitative, fatta eccezione per la riabilitazione nei reparti di neuropsichiatria infantile. È un dato dimostrabile. Per gli adulti è più complesso, soprattutto per chi ha una cronicizzazione della patologia. Non avere strutture residenziali o semi-resindenziali non aiuta. L’esperienza di questi ultimi anni e la possibilità di individuare precocemente i casi in modo interdisciplinare ha permesso più dell’80% di remissioni dei casi, per alcuni anche spontanea. Il 25% tende a cronicizzarsi,ma non così tanto da richiedere il ricovero in ospedale o terapie complesse».
COME SONO STATI RAGGIUNTI QUESTI RISULTATI?
Durante il primo lockdown, Alagna era già responsabile come medico specialista in psichiatria e in neuropsichiatria infantile dell’ambulatorio per i disturbi alimentari in età evolutiva dell’ASP di Palermo. Grazie alla telemedicina ha promosso lo sviluppo di una rete assistenziale collegata con due strutture ospedaliere, la neuropsichiatria infantile dell’ospedale Di Cristina di Palermo e la Neuropsichiatria infantile dell’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale.
L’obiettivo? Evitare che i minori con gravi dimagrimenti dovuti all’insorgenza, sempre più frequente in quel periodo, dei disturbi alimentari potessero transitare in aree di emergenza senza una valutazione preliminare. Molti minori con perdite di peso importanti, gravi bradicardie e condizioni di salute spesso allarmanti, intensi sensi di colpa legati all’alimentazione, con genitori stremati e impauriti sono stati supportati grazie a un lavoro di cooperazione per una cura centrata sulla persona.
Dal novembre 2021 questa piccola realtà è confluita in un servizio più grande, un’unità operativa complessa che si chiama Cedial e che ha adesso in sé un Modulo evolutivo per i minori dai 10 ai 18 anni e un Modulo Adulti – una formazione intersettoriale con un’azione di messa in rete e di collegamento, ambito che la pandemia ha svelato come criticità, e che il piano della prevenzione vuole trasformare.
«Alcune sfide ci attendono per il 2024: garantire adeguati percorsi per i minori e per gli adulti promuovendo modelli efficaci e sostenibili di prevenzione selettiva centrati sulla sensibilizzazione rivolta ai genitori e agli insegnanti delle scuole; allargare l’azione all’intero territorio, anche extra urbano; far conoscere agli adulti di riferimento come si manifestano i disturbi all’esordio e come si accede in modo diretto e semplice ai servizi della rete assistenziale, senza sollecitare l’idea di malattia nei ragazzi».
«Dobbiamo cercare di cambiare i nostri modelli di lavoro e i paradigmi, valorizzare e promuovere quelli sani. Se esiste una buona rete di ospedale e territorio che evita ricoveri in strutture riabilitative perché non incentivare questi sistemi? Bisogna abbandonare certe logiche, lottare ed essere coraggiosi. Sono ottimista grazie ai tanti operatori motivati con cui mi confronto e con cui stiamo portando avanti un modello di cura umano e presente. Sento la direzione della mia azienda sanitaria attenta e sento supportati gli sforzi messi in campo. Speriamo che il Governo riveda la possibilità di continuare a erogare i fondi per consolidare gli sforzi assistenziali messi in atto in diverse realtà italiane, per cure più appropriate ed eque», conclude Massimo Alagna.
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