Dal disarmo alle lotte ambientali, è il momento di agire
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Si è tenuta a novembre la Conferenza degli Stati parte del TPNW, ovvero il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, a cui L’ICAN, la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari ha partecipato attivamente al grido di «le armi nucleari sono le più disumane e indiscriminate mai create. Ecco perché è ora di eliminarle, prima che siano loro a porre fine a noi». Il successo della conferenza di poche settimane fa è un grande segno di speranza in questi tempi bui, in cui si assiste a una recrudescenza dei conflitti e della violenza.
La diplomazia internazionale non ha scuse per astenersi dal proseguire l’obiettivo del disarmo, che è previsto con chiarezza anche dall’Agenda ONU 2030. In questo percorso, i giovani hanno un ruolo fondamentale. A scuola, con i loro insegnanti, possono approfondire i grandi temi da cui dipende il loro futuro: la pace, l’ambiente e la sostenibilità, la giustizia sociale e l’equa ripartizione delle ricchezze e delle risorse naturali.
L’educazione e il diritto alla pace in un contesto come quello attuale, in cui riemerge la recrudescenza della violenza, sono obiettivi da perseguire con fermezza. Ne è convinto, fra i tanti e le tante, anche Moni Ovadia, che riflette in maniera sistemica sulle responsabilità che soprattutto il mondo occidentale si deve assumere: «Ci sono paesi i cui governi, ma anche una parte considerevole dei cittadini, sono gravati – anche se la parola è impropria – dalla logica del privilegio, ossia che noi abbiamo diritto a essere come siamo […]. Ma che merito abbiamo per essere nati in un posto invece di un altro? Nessuno».
Queste riflessioni sono scaturite nel corso di un dibattito in occasione del quale Moni Ovadia si è ricollegato e ha riflettuto sull’obiettivo 16 dell’Agenda Onu 2030 – “Pace, Giustizia e Istituzioni solide” – con molteplici spunti di approfondimento, fra cui la vignetta dell’acuto vignettista Vauro che ritrae un padre e un figlio palestinesi a Gaza. «In una vignetta del mio amico Vauro – dice Ovadia – i missili israeliani piovono da tutte le parti. Il bambino dice a suo padre: “Papà ho paura” il padre risponde: “Perché hai paura? Non siamo mica a New York”».
«Noi abbiamo tolto a una parte dell’umanità persino il diritto alla paura», prosegue l’artista e attivista. «Abbiamo visto milioni di volte la ripetizione dell’efferatezza che ha portato alla distruzione delle Torri Gemelle con 2890 morti circa, ma non abbiamo visto con la stessa frequenza le immagini dei morti innocenti iracheni e afghani delle cosiddette “guerre umanitarie”». Che sia dunque giunto il tempo che l’educazione alla pace cominci a orientare a una visione di cambiamento e trasformazione della realtà, superando le vecchie barriere ideologiche, gli errori e i falsi miti della storia e della contemporaneità?
Non risulta facile concretizzare e realizzare l’obiettivo della trasformazione e dell’educazione e del diritto alla pace. C’è una cultura, la cui diffusione è favorita anche dalla politica di una certa fetta di organi d’informazione, che alimenta un clima di paura, incertezza, insicurezza e sfiducia nel cambiamento. Essere cittadini liberi, capaci di futuro, significa anche concepire la scuola, educazione comune, come una importante alternativa, come luogo di contropotere e baluardo di verità e libertà, dove gli educatori possano tornare a essere soggetti sociali che sostengono la verità e promuovano concetti, idee innovative, per concepire i contesti di pace globali e proporre la risoluzione dei conflitti armati a livello mondiale.
Il tutto senza dimenticare che quella che stiamo vivendo è una poli-crisi, ovvero una situazione in cui le criticità relative ad ambiti diversi si combinano alimentandosi a vicenda, dall’ambiente alla finanza, dalla politica ai diritti umani. Non vanno quindi dimenticati tutti quei giovani che si sono stancati di riempire piazze spesso manipolate, di firmare appelli su appelli inascoltati, come i ragazzi e le ragazze di Fridays for Future, di Ultima Generazione, di Extinction Rebellion.
Con metodo rigorosamente nonviolento, questi attivisti scuotono l’opinione pubblica assumendosi la responsabilità – spesso anche penale – di sollevare il velo dell’ipocrisia per cui tutti a parole sono d’accordo nel riconoscere che si sta andando verso una crisi sistemica del pianeta, ma nessuno – a partire dai governi fino al singolo cittadino del mondo ricco – ha il coraggio di fare scelte davvero decisive e quindi dolorose nell’immediato, ma necessarie per garantire un futuro alle prossime generazioni.
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