Conversazione con una “strega sarda”: alla ricerca delle origini, della spiritualità e dell’essenza di questa terra
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E poi ti trovi a intervistare una strega sarda…
Giovane, assennata, antropologa, attivista politica e studiosa di esoterismo, simbolismo, tradizioni e pratiche sarde. Prima di presentarvi Marta Jana Serra e parlarvi di lei, faccio un passo indietro. Sono affascinato ormai da molti anni dall’archeologia e dalla spiritualità sarda.
Tutto ebbe inizio – per me – con un romanzo che lessi nel 2008 e che raccontava i pozzi sacri sardi, le fonti, le cascate, il rapporto col cibo e la guarigione. Pochi mesi dopo aver letto il libro andai a visitare i luoghi in cui era ambientato – da San Salvatore a Santa Cristina, da Su Tempiesu a Siete Fuentes, solo per citarne alcuni – e rimasi folgorato dalla potenza di questi luoghi arcaici e anche dall’assoluta ignoranza che da cittadino italiano avevo della storia, dall’archeologia, delle tradizioni sarde.
Da allora cominciai a studiare e vivere questi luoghi quasi ogni anno e poi tornai nella “mia” isola per Italia che Cambia. Intervistai protagonisti di monete complementari, bioedilizia, permacultura, outdoor education e sempre – alla fine dell’intervista – scoprivo un rapporto (da me) imprevisto tra queste persone e le tradizioni e la spiritualità locale. Anche quando parlavo con attivisti politici o uomini in giacca e cravatta. Compresi quindi che dietro a silenzi e sguardi intensi la tradizione e la spiritualità sarda non erano solo un affascinante fenomeno del passato, ma un percorso ancora vivo e possente.
Ed eccoci arrivati a pochi mesi fa. Sono a Serri, in Sardegna, con Franco Contu per una serie di incontri di lavoro e conosco Marta Jana Serra, amica di Franco, attivista politica, giornalista. Con Marta iniziamo a parlare, passeggiando nel sito archeologico locale e tra un cerchio degli anziani e un pozzo sacro, immediatamente decidiamo che avremmo collaborato. Qualche settimana dopo realizzo via zoom l’intervista che qui vi propongo e dalla prossima settimana, una volta al mese, ospiteremo un articolo scritto proprio da Marta che ci porterà ad esplorare questi mondi.
A TU PER TU CON UNA STREGA?!
Torniamo quindi all’inizio del pezzo. Eccomi qui, seduto al mio PC, che mi trovo a intervistare una “strega sarda”. In che senso una strega? Tranquilli, non è un epiteto che ho deciso di affibbiarle deluso dall’intervista. È proprio lei – Marta – che si presenta così: «Sono Marta Serra, in arte Jana sa Koga, e da anni mi occupo di studiare antropologicamente la mia cultura», inizia.
Jana sa Koga è un nickname che usa per dare una forma al suo tipo di percorso esoterico e di vita. «Jana nella cultura sarda rappresenta la fata», spiega Marta Serra. Il termine Jana ha un’assonanza con Janua latino, che indica la porta, la porta dell’ultrasensibile, un nodo che ci permette di aprire l’orizzonte verso altri luoghi non luoghi. L’assonanza è anche con Diana, la Dea legata al selvaggio ancestrale, al bosco e alla natura».
«Sa Koga significa la strega: nella cultura sarda, in realtà, il termine strega non esiste. Quando mi definisco strega lo faccio per dare un nome riconoscibile a chiunque non faccia parte della mia cultura. Per noi l’assonanza strega, striges, è il barbagianni, l’essere della notte che con il suo colorito chiaro e il suono caratteristico va a contrastare la paura della mancanza di luce. Jana sa Koga quindi rappresenta i miei due aspetti, quello razionale e quello più intuitivo, spontaneo, rituale, di sapienza ancestrale».
Nella nostra cultura, il termine strega ha assunto un valore molto negativo. Quando lo si pronuncia si pensa subito a una donna “vecchia e brutta”, a Biancaneve o ai roghi dell’inquisizione. «Dopo il medioevo – in cui l’interiorità, l’intuito e la parte più femminile e interiore avevano uno spazio – e dopo i roghi “delle streghe”, abbiamo vissuto l’egemonia della razionalità nel sistema occidentale, con una rivalsa della parte razionale che ha fatto tabula rasa di tutto il resto. Oggi per me essere strega significa essere colei che utilizza la sua oscurità, il suo intuito, per creare fuori da sé. In questa visione, l’oscurità non va vista come putrefazione, ma come quel silenzio necessario alla creazione».
FEMMINILE E OSCURITÀ: PARLIAMONE!
Se sdoganare il termine strega non mi sorprende – da tempo infatti la nostra cultura ha fatto luce sulla follia di quell’epoca storica –, associare la parola oscurità al femminile in un’accezione positiva mi fa strano. Oscurità, di solito, è una cosa brutta. O mi sbaglio? «Negli studi orientalistici si evidenzia come il maschile, e quindi la luce, sia qualcosa di attivo, che interviene e si manifesta, mentre il femminile e quindi l’oscurità sia al contrario qualcosa di passivo, occulto ma non per questo con meno importanza. Il dominio del maschile e della razionalità in occidente ha finito col demonizzare questi ambiti».
«Non è un caso – prosegue Marta Serra – che si faccia sempre riferimento al cielo, maschile, e poco alla terra, femminile. E non a caso viviamo ancora un’epoca di femminicidio, scontri, opposizioni. Come civiltà occidentale non abbiamo fatto sintesi. In effetti, essere “passivi”, non è una cosa negativa. L’oscurità non è negativa. Quando una donna è in gravidanza è in uno stato passivo di concepimento, di crescita. Per poter crescere bisogna stare fermi, è la luce che deve muoversi e deve andare a fare pulizia».
«Ovviamente, non è una passività in termini di inesistenza, di subalternità. Noi leghiamo la passività a qualcosa di negativo e subalterno. Io invece faccio riferimento all’accettazione femminile del proprio ruolo di oscurità e creazione e della vita con calma, fermezza. Per questo, ci tengo molto a fare un lavoro di divulgazione anche nella sapienza e conoscenza femminile interiore». Definire maschile e femminile in questo modo, comunque, non significa definire ruoli e modi di essere uomini o donne. Si parla di archetipi e di energie presenti in qualsiasi essere umano in modo più o meno sviluppato. Ognuna e ognuno di noi poi farà il suo percorso.
«Femminile e maschile in Sardegna danzano in una danza sacra antica e lunga tutto l’anno. Per quello dico sempre si deve parlare di matrilinearità e non di matriarcale e di complementarietà, dell’unione degli opposti. Che poi è quello che ci si è sempre proposto nell’esoterismo funzionale: un matrimonio sacro. In certi momenti una parte tende a essere più aggressiva facendo emergere – ad esempio – della carnalità, della territorialità. Come la sessualità. Se la vediamo come qualcosa di meccanico, non ha nulla di armonico, è una lotta quasi, così come il parto, che non è qualcosa di carino, ma una parte molto cruda, “violenta”, dell’esistere».
Già: in un’epoca di violenze e soprusi, un corretto rapporto con “la violenza” diventa fondamentale. Se l’argomento resta tabù infatti, non fa altro che sfociare poi in pratiche drammatiche. «L’accettazione delle parti più violente dell’esistenza è il primo passo. Esistono, sono fisiologiche, se le accettiamo come parte di un tutto e le viviamo in modo funzionale per la crescita della consapevolezza e la crescita dell’abbondanza fisica, tutto assume un significato, un senso e un ruolo più universale». E accettandola e affrontandola si può canalizzare in pratiche sane e non dannose.
QUINDI, DI COSA PARLEREMO IN QUESTA RUBRICA?
Oggi abbiamo affrontato alcuni degli aspetti fondamentali del lavoro di Marta. Nei prossimi mesi affronteremo con lei diversi aspetti che ci aiuteranno a comprendere che la Sardegna ha un’identità molto specifica in termini di conoscenza del sacro, al di là delle influenze dei secoli e dei millenni, con tutte sue sfumature, anche moderne, con il sincretismo con la chiesa cattolica e con la new age moderna. Cercheremo anche di canalizzare la ricerca spirituale verso percorsi sani e non “massificati”.
Nell’epoca della new age e dei social parlare di queste tematiche in modo complesso e approfondito e viverle è infatti una sfida non banale: «Così come nell’esoterismo si cerca di superare la dualità, io ho cercato di superare la polarizzazione di questa epoca, particolarmente esasperata dai media e di trovare la mia via. Faccio la debunker dell’esoterismo, dell’antropologia e soprattutto delle tradizioni spirituali della mia terra».
«Oggi c’è una “fame di sacro”, queste tematiche vengono ricercate ma spesso senza troppa cura e si rischia di finire in percorsi sbagliati con conseguenze nefaste. Bisogna fare le cose per tappe. Anche i luoghi sacri di questa terra vanno “protetti”. Spesso infatti ci troviamo davanti a un abuso energetico di questi siti, in cui si fanno riti senza radicamento. Allo stesso tempo, è molto interessante questo grande interesse verso questi luoghi e va indirizzato in modo corretto», conclude Marta. Raccontare la Sardegna che Cambia non può prescindere dal raccontare la sua anima, il suo passato, la sua storia, il suo presente e la sua essenza. Benvenuta quindi Marta Jana sa Koga Serra e buon lavoro!
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