Viaggio nella sanità territoriale, dove i consultori chiudono e le donne vengono lasciate sole – Dove eravamo rimasti #28
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Pisa, Toscana - Un opprimente senso di sconforto mi assale appena termino la telefonata con Pina – la dottoressa Pina Salinitro, cofondatrice e presidente di AIED Pisa, consultorio del privato sociale –, la quale mi ha appena dipinto un quadro a tinte fosche ma tremendamente realistico della sanità pubblica italiana. Il Covid ha assestato una batosta memorabile, ma la crisi è destinata a perdurare e, anzi, ad accentuarsi ben oltre l’onda pandemica.
L’ORIGINE DEL PROBLEMA
Secondo Pina, ha tutto inizio nel 1983, con l’aziendalizzazione della sanità pubblica: «La sanità territoriale – soprattutto con il Covid l’abbiamo visto – non è mai stata in grado di soddisfare pienamente i bisogni della gente e questo è già qualcosa che ci dice che non funziona», sostiene. «La situazione attuale è l’apice di un processo che dura da anni: la sanità pubblica e quella territoriale sono sempre state in crisi, compresi i consultori».
La politica di gestione e finanziamento dei centri di sanità pubblica è incoerente e inefficace: «Con il PNRR sono state finanziate strutture per la medicina di prossimità, ma non ci sono fondi per il personale quindi adesso mancano medici, infermieri, ostetriche. Cito un caso emblematico verificatosi qui in Toscana, a Cecina, dove il consultorio ha dovuto chiudere perché non c’erano figure per sostituire la ginecologa che è andata in pensione».
UNA CRISI NELLA CRISI: I CONSULTORI
Col Covid, come sappiamo, è tutto peggiorato. Molti percorsi nascita sono stati sospesi, alcuni consultori sono stati chiusi e mai più riaperti. «Le facoltà di medicina sono a numero chiuso – osserva Pina – ma al tempo spesso c’è una drammatica penuria di medici. Perché?». Come fa notare la presidente dell’AIED, con l’aziendalizzazione si sono ridotti tantissimo i consultori: le legge prevede una struttura per ogni 20000 abitanti, oggi ce n’è una ogni 35000. «All’inizio inoltre esistevano addirittura i comitati di gestione – ricorda –, con le donne del quartiere che partecipavano alle decisioni. Oggi un consultorio è a tutti gli effetti un poliambulatorio».
Il primo ambito a farne le spese è quello che si occupa di prevenzione: «Per ogni appuntamento che riguarda consulenza, informazione e prevenzione bisogna passare attraverso il CUP, con tempi lunghissimi a causa di carenza di personale e servizi. Chi può quindi si rivolge al privato e chi non può rinuncia. Questo però comporta un aggravio sulla spesa sanitaria pubblica, perché curare una malattia costa molto più che prevenirla».
Ancora una volta ci troviamo di fronte al paradosso dell’aziendalizzazione: «Oggi i primari degli ospedali sono dei dirigenti, si occupano di amministrazione», osserva Pina. «Prima allungavano le degenze, oggi cercano di dimettere le persone ricoverate il prima possibile. C’è stata una grande involuzione, la prevenzione è scomparsa e chiaramente i consultori sono fra i primi a farne le spese. Le strutture sono diminuite e le ore dei professionisti all’interno dei consultori sono pochissime».
LE CONQUISTE DEL PASSATO? VANIFICATE O QUASI
Pina rivendica un ruolo attivo nella lotta che ha visto protagoniste, quasi cinquant’anni fa, tantissime donne: «Io ho partecipato alla nascita dei consultori, abbiamo combattuto e lottato per la legge 405 del 1978 e di fatto queste strutture erano state immaginate per affrontare quelli che erano i bisogni di ragazzi e ragazze, donne, anziani, per parlare di sessualità e maternità responsabili, anche in previsione della legge 194». E oggi? La dottoressa Salinitro fa un esempio scoraggiante: «Alcune regioni, fra cui la Toscana, hanno garantito la contraccezione gratuita nei consultori, ma non ci sono i finanziamenti per applicare il provvedimento».
Eppure è vivo e attivo un ampio movimento in difesa dei consultori, «a partire da Non una di meno, fino a molti altri gruppi di donne, le dirette interessate. Le principali rivendicazioni mirano a riconquistare tutta la parte sull’educazione alla sessualità, sull’informazione, sulla contraccezione… si sta piano piano diluendo tutto. Ma noi stiamo sempre allerta come movimenti di donne e consultori laici», assicura Pina.
DOVE INTERVENIRE?
Chiedo a Pina quali sono le impellenze su cui è prioritario intervenire. «La cosa più urgente – mi risponde – è ripristinare una medicina territoriale, far ritornare i consultori com’erano e con i numeri previsti dalla legge. Ci vogliono strutture per la medicina di prossimità, bisogna dare la possibilità alle persone di curarsi e di prevenire malattie che ormai conosciamo».
Il problema più grosso è che questa mancanza è amplificata nelle aree interne, nelle campagne, nelle montagne, nelle periferie delle grandi città: «Chi abita nei territori marginali non ha i mezzi, la possibilità, né la consapevolezza. Ma c’è un errore di fondo: è la sanità che deve andare verso l’utenza e non il contrario».
L’ATTIVITÀ DI AIED
In questa tempesta perfetta che sta investendo la sanità pubblica italiana, AIED cerca di mantenere la rotta e continuare ad assicurare – anzi, implementare – i servizi fondamentali: «Col Covid abbiamo subito un rallentamento, ma per esempio abbiamo assunto nuove operatrici e stiamo puntando molto sul discorso delle malattie invisibili – alcune ancora non riconosciute, che per le donne sono una piaga molto grossa».
Non solo. Oggi AIED sta cercando di ampliare anche i servizi di prevenzione in ambito ginecologico, oltre ad allargare molto i servizi alla genitorialità, partendo dal percorso nascita e seguendo i genitori anche nei primi anni di vita del bambino, perché “educare” i genitori aiuta tantissimo le nuove generazioni ad avere una consapevolezza di tipo diverso. E questo approccio – anche culturale – è fondamentale per contrastare alla radice l’insorgere di piaghe come quella della violenza sulle donne.
La formazione tuttavia è ancora, purtroppo, una argomento spinoso: «Facciamo parte di Non una di meno e della rete di Educare alle differenze, quindi quando ci è possibile andiamo nelle scuole a parlare di genere, di sessualità, di consapevolezza. Ultimamente tuttavia questo è diventato un problema a causa dei movimento pro-vita. I dirigenti hanno paura perché i genitori protestano, si ribellano, cambiano scuola. Noi facciamo progetti sull’identità e contro gli stereotipi di genere, per la prevenzione dell’omotransofobia. In questo ambito lavoriamo anche molto con Casa delle donne, Pink riot, Nuovo maschile, arcigay e altre associazioni territoriali», conclude la dottore Salinitro.
A proposito di Educare alle Differenze, sabato 20 gennaio si è svolto un incontro di grande rilevanza orchestrato da Una Città in Comune a Pisa, dal titolo “Che fare? Tutto quello che avreste voluto sapere per contrastare le violenze di/del genere”, in occasione del quale Monica Pasquino, Presidente della Rete Educare alle Differenze e Diana Lenzi, insegnante di Indici Paritari, hanno introdotto le nuove linee guida. “Tutt3 a vario titolo – spiega l’organizzazione – hanno evidenziato la necessità, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, di una formazione appropriata sui temi della prevenzione e del contrasto di tutte le forme di bullismo e discriminazione, della violenza di genere e di stampo omolesbotransbifobico, per la quale spesso mancano fondi e risorse”.
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