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«Si sente molto la mancanza di una narrazione priva di retorica nella disabilità. Il problema è che i media sembrano essere sordi, a loro serve l’effetto che una storia produce e per ottenerlo spesso spingono sui tasti sbagliati». Ci aveva risposto così Francesco Cannadoro quando, quasi due anni fa, l’abbiamo sentito per la prima volta per farci raccontare la sua storia. Che è anche quella di Valentina e del loro Tommi, un bambino dal sorriso sereno e disarmante, che convive dalla nascita con un drago – come la chiama suo padre in uno dei suoi libri titolato Io e il drago, di cui ci ha parlato in occasione del primo incontro –, ovvero una disabilità neurodegenerativa rara.
La sua è una narrazione che suscita emozioni, risate, autentici spunti di riflessione e una capacità comunicativa, ironica, leggera e, allo stesso tempo, chiara e semplice, che arriva a tutti. Ho rivolto qualche domanda a Francesco per conoscere, un po’ più da vicino, il punto di vista di un caregiver e riflettere insieme su questa figura, spesso marginalizzata e sottovalutata, e su tutto ciò che le ruota attorno: welfare, scuola, percezione sociale, riconoscimento professionale e tanto altro. Francesco è un talentuoso scrittore e un seguitissimo blogger, attività che gli permettono di potersi occupare a tempo pieno di Tommi e del suo benessere.
Francesco, cosa vuol dire essere un caregiver ?
Essere un caregiver, ieri, oggi e domani è stato, è e sarà sempre una questione di sfide. Con i limiti della società tutta e con i propri. Fisici, psicologici, emotivi e attitudinali. Queste prove alle quali siamo sottoposti senza esserci iscritti a nessuna gara vengono spesso banalizzate con termini tipo “genitori guerrieri”, come se fossimo discendenti di una stirpe da secoli dedita a questo tipo di cose e quindi abituati e performanti.
Invece siamo solo poveri cristi che si sono trovati ad affrontare qualcosa più grande di loro. Qualcuno prende le misure, qualcuno no. Ma il lato positivo della retorica, per chi se ne serve, è che pulisce la coscienza. Pensare che qualcuno sia la persona giusta nel posto giusto ci deresponsabilizza. Per chi la subisce invece non restano che un sacco di attestati di stima, magari anche immeritati, e solitudine.
Di cosa ha bisogno un caregiver?
Sul primo gradino del podio metto il supporto psicologico, poi la possibilità di maturare i contributi ai fini pensionistici nonostante l’impossibilità fattuale di trovarsi un lavoro e – ma qui so che chiedo troppo a un paese come il nostro da sempre governato da fanfaroni e straccivendoli – uniformità nazionale e chiarezza di informazioni su iniziative, beni e servizi che lo stato mette a disposizione. Insomma, un welfare inclusivo e accessibile. È un controsenso in termini, che non lo sia.
Si parla spesso di abbattere le barriere architettoniche, ma pochi parlano di quelle culturali. Cosa ne pensi alla luce della tua esperienza?
Sulla retorica ho già detto la mia nella prima risposta, il politicamente corretto è di per sé l’ennesimo strumento che, portato all’estremo, come siamo bravissimi a fare con tutto, in questo paese, finisce per creare ancora più disagio di quanto ne sia servito per ritenerlo necessario.
Il pietismo invece credo sia una sorta di virus ormai endemico che tocca portarci dietro per sempre. Va a braccetto con la retorica. Creano un muro invalicabile, dietro al quale si svolgono le cose come stanno davvero. Solo che dietro al muro non si vedono, e la società resta nell’ignoranza. Si fa talmente fatica a sfondare quel muro, che sto cominciando a pensare che sia ciò che la società, anche inconsapevolmente, voglia per sentirsi più leggera.
Ci sono corsi di formazione mirati per operatori e insegnanti, ma anche tu hai la sensazione che qualcosa sembri ancora non funzionare?
Purtroppo in alcuni casi molto di quel che nomini è o è stato creato da persone che si sono formate quando ancora la retorica era venduta come l’unico binocolo dal quale guardare – da lontanissimo – la disabilità. Le cose stanno cambiando piano piano, ma il concetto è talmente radicato che sradicarlo sarà un lavorone. Resto cautamente ottimista, anche perché senza conoscenza non si va da nessuna parte. O meglio, per andare si va, ma la destinazione piace solo ad alcuni. E non sono i diretti interessati.
A tal proposito, cosa pensi del legame tra scuola e formazione di operatori e insegnanti di sostegno?
Non sono esperto in materia, ma ho un figlio in età scolare e conosco altri genitori caregiver nella stessa situazione. Per onestà intellettuale non mi addentro nei meandri del “cosa dovrebbero fare”, ma per lo stesso motivo non posso esimermi dal constatare quanto siamo messi maluccio sull’argomento. Manca personale, formazione e motivazione. Non sempre e non dappertutto, ma la scuola non può andare a fortuna.
Nei tuoi video racconti che la disabilità è inclusiva, che non discrimina nessuno ma viene discriminata. Cosa vuoi dire?
È una sorta di battuta che ho fatto in un video in cui rispondevo ad un commento che mi chiedeva quale fosse il motivo che mi spingesse a condividere cose anche molto personali sui social. Laddove per “molto personale”, nello specifico, si intendeva un video in cui ho mostrato come cambiare la peg. E la mia risposta è stata che pubblico proprio per far capire che non c’è nulla di così strettamente personale.
A chiunque un giorno potrebbe capitare di diventare caregiver o disabile, per un qualunque motivo. In questo senso la disabilità non discrimina, le vanno bene tutti. Quindi tutti dovrebbero fare più attenzione alle cose della disabilità, perché è un attimo che ti pensi al di sopra di tutto e invece… zac! Severo ma giusto, secondo me.
Perché pensi che non debba esistere un Ministero della disabilità?
Ogni ministero dovrebbe tener conto che ci sono cittadini con caratteristiche diverse. Tutto qui. Non dovrebbe servire un ministero specifico per la disabilità così come non dovrebbe esisterne uno per l’obesità e infatti non esiste. Poi in realtà sono anche abbastanza propositivo e possibilista. Ora che c’è, spero serva davvero a qualcosa e che non sia lì solo per bellezza. Ma lo scopriremo solo vivendo.
Social, società più consapevole e condivisione di know how. Quanto tutto ciò è importante per la rete dei caregivers e di chi naviga online?
È fondamentale, perché in Italia non si capisce nulla e non c’è niente di fattuale e assoluto. Tutto è interpretato e raramente raccontato dai diretti interessati. E il risultato sono la retorica e il pietismo da un lato, e il disorientamento dei diretti interessati con meno competenze, dall’altra.
Una tua riflessione a conclusione di questa intervista?
Il mio consiglio, nel merito del discorso, per chi non ha a che fare direttamente con la disabilità è quello di aprire occhi e orecchie e chiudere la bocca. Chi invece ci ha a che fare direttamente, dovrebbe fare l’esatto contrario. C’è quanto mai bisogno di una narrazione realistica e allo stesso tempo di qualcuno che vuole ascoltarla.
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