Abbiamo vissuto (ed esplorato) in cohousing a Berlino. Ecco come è andata! [FOTO]
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“A Berlino ci son stato con Bonetti, era un po’ triste e molto grande”, cantava Lucio Dalla. Non è del tutto esatto: Bonetti c’era – la nostra amica e collaboratrice Brunella –, Berlino è effettivamente molto grande, ma non è affatto triste. Pur con le punte dei piedi congelate dall’inverno tedesco, ne abbiamo apprezzato la vitalità, l’essere fuori dalle righe, lo stile elegante e composto con cui dà alla luce e nutre progetti virtuosi, etici e a loro modo rivoluzionari.
SI PARTE!
Tutto questo è avvenuto la prima settimana di dicembre, quando buona parte dello staff di Italia Che Cambia si è data appuntamento a Potsdam – città a pochi chilometri dalla capitale tedesca – per partecipare al progetto europeo Learning for the future 3. Un’occasione perfetta per ritrovarci e riabbracciarci – per chi non lo sapesse, il nostro gruppo è sparso in tutta Italia, dalla Calabria alla Liguria, dall’Emilia Romagna al Lazio –, ma anche per sederci attorno a un tavolo e fare il punto sulle tante novità che bollono in pentola per questo 2024 in arrivo.
Ad accoglierci Natalia, Petar e gli amici ormai di vecchia data di Inwole, progetto di cohousing e abitare collaborativo con sede a Potsdam con cui abbiamo avuto modo di condividere un lungo percorso alla scoperta dei progetti virtuosi del nostro continente in occasione di diversi viaggi, l’ultimo dei quali si è tenuto a giugno 2023 – ve ne abbiamo parlato qui.
Solo alcune di noi avevano già visitato Projekthaus, la culla di Inwole, e avuto la possibilità di scoprire le numerose attività che si svolgono nell’ambito di questo progetto. La prima mattina del nostro soggiorno dunque è stata dedicata a questo: Natalia ci ha raccontato la storia e gli obiettivi di Inwole, accompagnandoci attraverso gli alloggi, gli uffici, i laboratori e gli spazi all’aperto del cohousing. In fondo all’articolo trovate alcune foto, mentre qui la descrizione dettagliata delle attività.
PROGETTI VIRTUOSI
Spostandoci verso Berlino, abbiamo poi avuto modo di conoscere altri tre progetti, molto diversi fra loro ma ugualmente rappresentativi del fervore sociale e culturale che anima la città. Anzitutto il primo cohousing di Berlino – uno stabile occupato più di quarant’anni fa – a essere regolarizzato. Partito come un vero e proprio squat, le persone che hanno lanciato l’iniziativa hanno deciso di darle un inquadramento legale per salvare l’immobile e i suoi residenti dal rischio di una speculazione immobiliare.
Mentre uno degli storici occupanti ci raccontava questa storia, il nostro gruppo si godeva un ottimo e corroborante pranzo vegano in uno degli spazi comuni del cohousing, a cui ha fatto seguito una visita allo stabile. Che dire? In puro stile teutonico, tutti gli aspetti virtuosi e innovativi dell’esperienza erano celati da una maschera di normalità, come se per queste persone cambiare il mondo sia una regolare prassi quotidiana. Un’altra occasione per mettere in discussione il nostro immaginario!
Ci siamo poi spostati allo ZK/U, uno spazio industriale in via di riqualificazione che ospita un mix esplosivo di arte e apicoltura, brillantemente impersonato dalla nostra cicerona, Bärbel Rothhaar, che ci ha guidato attraverso gli orti urbani, gli esperimenti abitativi innovativi come la Silo House, gli spazi collettivi realizzati con scarti – come un’aula le cui pareti sono composte da lavagne riciclate – e le opere di street art che colorano i muri circostanti, dipinti da studenti e loro insegnanti inglobando elementi costruttivi provenienti dai restauri.
Conclusa la visita, ci siamo fatti rapire da Berlino. Dalla sua architettura che ti mette alla prova, mostrandosi fredda e austera ma serbando, per chi ha voglia di entrare nelle sue viscere, un lato accogliente, ricco di contaminazioni e di joy de vivre. E gioioso è stato anche trovarsi fianco a fianco con colleghi e colleghe, spesso mai incontrate dal vivo e conosciute solo da dietro la schermata di zoom, a vagare per allen e straßen sconosciuti esplorando una dimensione parallela e trasversale all’amicizia, alla condivisione di valori, a una comune visione del mondo.
“Condividere emozioni, tempo, visioni, idee e quotidianità è sempre una grande opportunità per permettere ad un progetto di crescere e guardare al futuro”, scrive Elisa Cutuli, caporedattrice di Sicilia Che Cambia. “Per permettere di sognare insieme. L’esperienza di Berlino è stata determinante in tal senso. Incontrare progetti innovativi in un contesto apparentemente distante da quello italiano, ma allo stesso tempo molto simili a quelli che raccontiamo ogni giorno sul nostro territorio, è la dimostrazione non solo di un’Italia che Cambia, ma anche di una parte di mondo che cambia e aspira a una società scevra da certe logiche, più giusta e in equilibrio“.
Il penultimo giorno, prima di concederci una licenza consumistica ai mercatini di Natale di Potsdamer Platz, abbiamo avuto modo di visitare la Water Roof Farm, un interessante e visionario progetto nato nella seconda metà degli anni 80 che, nell’immaginare una Berlino che stava timidamente uscendo dalla Guerra Fredda, ha saputo trovare spazio nel tessuto metropolitano per soluzioni innovative di fitodepurazione urbana, rigenerazione, creazione di spazi cittadini verdi e a misura di persona. Oggi giovani tecnici – e sognatori – come Andreas, che ci ha mostrato e spiegato la Water Roof Farm, portano avanti quell’eredità e la missione di costruire modelli urbani sostenibili, finalizzati alla riduzione dell’impronta ecologica e tecnologicamente all’avanguardia.
COSA CI PORTIAMO A CASA?
“Da questo viaggio sicuramente mi porterò a casa questa consapevolezza maggiore e mi attiverò affinché non solo chi vive con una disabilità in prima persona s’interessi nella quotidianità a questi aspetti. Grazie Berlino, perché per un’Italia Che Cambia ci volevi un po’ anche tu”, ha scritto la nostra Elena Rasia in un articolo sull’accessibilità dell’esperienza berlinese.
E io cosa mi porto a casa? Nell’ultimo cerchio prima di chiudere ufficialmente la serie di riunioni e prepararci a lasciare Projekthaus è stato chiesto a ogni persona di riassumere in una parola l’esperienza berlinese. Tralasciando l’immancabile “gluhwein” e “foche” – chi non c’era non potrà mai capire –, minimo comune denominatore sono stati i concetti di condivisione, comunità – umana e d’intenti –, addirittura famiglia. Perché il cambiamento è tanto competenze, progettualità e visione quanto mani che si stringono, occhi che si inumidiscono e corpi che si abbracciano.
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