La questione palestinese: ecco come siamo arrivati a questa guerra
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Se consideriamo l’archetipo dei contrasti territoriali postbellici e le sue controverse premesse la rendono il più intricato e pervicace conflitto latente della storia contemporanea. Si tratta della questione palestinese – o guerra israelo-palestinese, che dir si voglia –, la faida regionale più pervasiva che il mondo abbia conosciuto dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
La questione palestinese affonda le sue origini ben prima della sua effettiva nascita. Nella seconda metà del XIX secolo l’Europa orientale assiste a una animosa stagione di pogrom antisemiti e nella popolazione europea di origine ebraica si fa strada l’ansioso desiderio di riparare in uno Stato dedicato e protettivo. Questo sentimento viene presto codificato nel concetto di sionismo – Sion è un’altura prospiciente alla città di Gerusalemme, con cui viene poi identificata la città stessa – e propugna la creazione di uno Stato degli ebrei nel territorio da loro anticamente occupato.
LE PRIME IDEE
Il territorio anelato dagli ebrei della diaspora è la Palestina, occupata però da secoli da popolazioni di origine araba e di fede islamica. Soluzioni alternative vengono dunque ispezionate: nel 1934 Stalin istituisce per la comunità ebraica un oblast dedicato, già nel 1902 Chamberlain proponeva al sionista Theodor Herzl il celebre schema Uganda, un piano di stanziamento della comunità ebraica in una florida vallata dell’Africa nord orientale facente al tempo parte dell’immenso protettorato britannico – a dispetto del nome, l’area si trovava nell’attuale Kenya. Ma il movimento d’opinione ha ormai preso una ineluttabile direzione: la terra promessa sarà la Palestina.
LA RISOLUZIONE 181
Gli eventi prendono una piega più rapida nel periodo fra le due guerre, durante il quale i sempre più numerosi insediamenti ebraici cominciano a creare qualche sporadico conflitto con le popolazioni autoctone. La Gran Bretagna è titolare del mandato di amministrazione della regione e mantiene sotto controllo la situazione. Tale mandato viene però rimesso nel 1947 – l’Aliyah, il pellegrinaggio ebraico, è divenuto nel frattempo sempre più intenso – e rilevato dall’ONU, che con la risoluzione 181 decreta la creazione di due stati, uno ebraico e uno palestinese.
La proposta viene rigettata dai leader arabi e nel 1948 la comunità ebraica reagisce dichiarando unilateralmente l’indipendenza di Israele. La questione palestinese si infiamma: alla dichiarazione infatti consegue una rapida escalation di tensioni armate, che porta al primo episodio del mai sopito conflitto. La Lega Araba prende le armi contro Israele, che si difende con tale efficacia da entrare in controllo di un territorio ben più esteso di quanto previsto dal piano di partizione ONU.
LA LUNGA SERIE DI CONFLITTI
Le parti vivono anni di tensione crescente, che passa dalla attiva partecipazione israeliana alla crisi di Suez del 1956 e culmina con l’attacco dello stesso Stato ebraico, nel 1967, ai vicini Stati arabi. Al termine della Guerra dei sei giorni Israele ha occupato la Cisgiordania, le alture del Golan, la striscia di Gaza e la penisola del Sinai, nonché Gerusalemme Est – la città, nelle intenzioni dell’ONU, era divisa fra la due comunità e sottoposta ad amministrazione internazionale. Tre anni prima la fazione palestinese si era istituzionalizzata creando l’OLP – Organizzazione per la liberazione della Palestina –, che diviene il primo interlocutore formale di parte araba.
L’episodio successivo – l’attacco a Israele da parte di Siria ed Egitto – determina la prima situazione di stallo in seno alla questione palestinese: nel 1973 i paesi arabi attuano un blocco petrolifero di disturbo. La stagnazione viene risolta con i primi storici accordi di pace, siglati a Camp David nel 1978 e che portano alla restituzione del Sinai all’Egitto, ma soprattutto al formale riconoscimento di Israele da parte egiziana, con conseguente allentamento delle tensioni.
La pace ha però vita breve: le correnti più massimaliste all’interno dello strutturato establishment israeliano prevalgono e nel 1982 lo Stato ebraico invade il Libano. La rinnovata aggressività porta ad un rapido sviluppo dell’integralismo ortodosso anche nella controparte: nascono le fazioni oltranziste di Hamas ed Hezbollah e le due intifade lanciate nel 1987 e nel 2000 ricacciano la regione in un clima di grande tensione e ostilità che tutt’ora condiziona la questione palestinese.
ACCORDI NON RISOLUTIVI
L’attacco ai territori israeliani del 7 ottobre 2023 e la conseguente repressione militare e invasione di Gaza sono però il risultato di una situazione molto più complessa, che trascende la semplice diatriba territoriale per allargare i suoi presupposti a delicati equilibri in mutamento che coinvolgono le maggiori potenze regionali. I loro rapporti vivono una storica fase di ridefinizione, attivata con la sottoscrizione degli accordi di Abramo, patti multilaterali che Israele, sotto l’entusiastico patronato del loro promotore Donald Trump, ha sottoscritto nel 2020 con Emirati Arabi Uniti e Bahrein – successivi firmatari sono stati Sudan e Marocco, più marginali nelle vicende mediorientali.
La distensione fra alcune petromonarchie del Golfo e lo Stato ebraico ha costituito le premesse per l’accordo che potrebbe aver fatto saltare il banco degli equilibri regionali, ovvero l’aggiunta dell’Arabia Saudita al novero dei firmatari. La celebratissima Vision 2030, concepita dal principe saudita Mohammed bin Salman, mette il Regno al centro di un ambizioso sistema di potere e interesse basato in Medioriente e non solo – l’entourage reale ha recentemente concluso accordi di finanziamento con alcuni Stati dell’Africa Nord-orientale.
Gli accordi con Israele hanno dunque lo scopo di normalizzare i rapporti con uno Stato determinante, soprattutto dal punto di vista securitario, visto il progressivo disimpegno degli Stati Uniti – sempre più concentrati sulla Cina e sul quadrante Pacifico – dallo scenario mediorientale. Questa prospettiva di breve termine ha sollecitato la reazione dell’Iran, storico rivale dell’Arabia Saudita e teatrale nemico dello Stato ebraico: le collusioni fra la Repubblica islamica e Hamas – stretti in una combutta che coinvolge anche Hezbollah – sono note e la mano iraniana nell’organizzazione del recente blitz militare appare evidente a molti analisti.
La soluzione di questa drammatica fase della questione palestinese rimane ancora di là da venire. La fervente attività di mediazione del Qatar e l’interesse da parte di tutti, al di là delle dichiarazioni di circostanza, a mantenere circoscritto il conflitto indicano una direzione benaugurante, ma come si è visto gli eventi si svolgono sullo sfondo di una intricata tela di vicende e interessi che trascendono l’aspetto ideologico. Le prossime elezioni americane e israeliane potrebbero spingere gli eventi verso una nuova evoluzione, ma il finale di questa drammatica e contorta vicenda è ancora lontano dall’essere scritto.
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