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Messina - Da padre Alex Zanotelli a Mimmo Lucano, dal musicista Paolo Fresu a Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso dalla mafia. Da Cecilia Strada – figlia di Gino – al divulgatore ambientale Mario Tozzi, passando per Don Ciotti, Luigi De Magistris, Nino Frassica, Moni Ovadia, Giovanni Impastato e tanti altri. Insieme a loro, migliaia e migliaia di cittadini e cittadine di Messina, della Sicilia e del resto d’Italia. Questa folla multiforme ha riempito le strade del capoluogo isolano lo scorso 2 dicembre.
L’occasione è stata al corteo no ponte dal titolo “Lo Stretto di Messina non si tocca”, il ventesimo corteo in oltre vent’anni di lotta e è stato sicuramente il più partecipato degli ultimi quindici anni. Oltre 10.000 persone provenienti non solo da Messina e dall’area dello Stretto, ma anche da altre parti d’Italia, che hanno dimostrato che la questione ponte è una questione nazionale e che le risorse previste per la costruzione dell’opera andrebbero destinate per affrontare i reali problemi del Sud e del Paese intero.
Nella puntata del 26 novembre scorso del programma Report, dal titolo L’uomo del ponte, se mai ancora servisse – e purtroppo sembra di sì – è stata ricostruita tutta la vicenda legata al ponte sullo Stretto, che ha avuto inizio circa settant’anni fa. Da allora non si è mai costruito nulla, eppure sono stati spesi centinaia di milioni di euro. Nel 2013, dopo la liquidazione definitiva della società Stretto di Messina Spa voluta dal Governo Monti, sembrava che il caso fosse stato archiviato.
E invece no. Ad aver rimesso le carte in tavola è Matteo Salvini, oggi ministro delle Infrastrutture, che nel 2016 dichiarava ai microfoni di La7: «Ci sono parecchi ingegneri che dicono che non sta in piedi. Non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare quando sia in Sicilia che in Calabria i treni non ci sono e vanno a binario unico».
A distanza di qualche anno Salvini ha cambiato idea, rimettendo in piedi la società e riavviando tutte le procedure per la costruzione della grande opera. L’operazione ponte inoltre ha “riesumato” vecchie conoscenze legate a Berlusconi, a partire da Ciucci, nominato nuovamente amministratore delegato della società Stretto di Messina. I dubbi riportati da Report – e non solo – sono davvero tanti: dall’aumento dei prezzi delle materie prime ai cambiamenti climatici non considerati, fino al rischio e alla possibilità che i cantieri possano essere delle pedine della criminalità organizzata e che il ponte non colleghi due coste ma due cosche.
È di questa idea, tra gli altri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. «Gli appetiti ci saranno e non saranno appetiti legati alle singole cosche che controllano il territorio di competenza, ma a un livello più alto. Un livello in cui le due componenti criminali, quella calabrese e quella siciliana, diventano una cosa unica».
Nella puntata di Report sono state messe in luce anche la mancanza di risposte da parte del Governo rispetto ai rilievi avanzati in Commissione da Giuseppe Busia, presidente dell’autorità anticorruzione, che ha sottolineato come l’adozione incondizionata e senza una nuova gara del vecchio progetto, realizzato nel 2011 da parte del Consorzio We Built che dovrà costruire il ponte, potrebbe generare numerosi contenziosi tra il Consorzio stesso e lo Stato. Il Consorzio, tra l’altro, è ancora in causa dopo la messa in liquidazione della società Stretto di Messina disposta dal Governo Monti nel 2013.
Nel piano del Governo non si considera l’area altamente sismica su cui andrebbe costruito il ponte. «Siamo di fronte a un grave problema: si tratta di progettare, in una delle aree a più alto rischio sismico del pianeta, la più imponente opera mai progettata», ha dichiarato il geologo Carlo Tansi durante la puntata di Report. «Siamo in una zona di collisione tra Africa e Europa queste due placche si avvicinano a una velocità geologicamente importante, circa 7 millimetri l’anno. Nel 1908 la linea di costa di Calabria e Sicilia sprofondò di un metro. Questi terreni sono formati da sabbia e argille che in caso di terremoti tendono a liquefarsi. Questo fenomeno ha generato questo sprofondamento».
Queste sono solo alcune delle voragini su cui dovrebbero sorgere i cantieri dell’opera definita da Matteo Salvini “più avveniristica e green della storia”. Secondo Renato Accorinti, in prima fila il 2 dicembre insieme a Mimmo Lucano e ad Alex Zanotelli, «basterebbe poco a bloccare il giocattolo. Dove sta l’opposizione? Noi dal basso stiamo facendo qualcosa e i partiti? Non possiamo permettere uno sperpero di denaro come questo, è un’offesa alla gente del Sud lasciata, con la complicità e l’apatia di quasi tutti i partiti, in una condizione di sottosviluppo».
«Al Sud mancano infrastrutture, le ferrovie sono a binario unico e a gasolio, con tempi di percorrenza lunghissimi. Abbiamo bisogno di strade, ferrovie, aeroporti collegati. Se fosse utile saremmo i primi a volerlo, ma l’economia si fa con altre strade». Se pensiamo che per percorrere in treno circa 310 chilometri, da Catania a Trapani, servono oltre 10 ore e quattro cambi – per citare un solo esempio – forse si comprendono meglio le priorità necessarie per la Sicilia e non solo per la Sicilia.
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