14 Dic 2023

La pratica del raccoglimento, da Santa Teresa d’Avila a Evelyn Underhill

Un viaggio attraverso il tempo, le culture e le religioni per indagare i diversi approcci alla pratica del raccoglimento, dalla Chiesa cattolica alle discipline orientali, da Evelyn Underhill a frate Francisco de Osuna. Ad accompagnarci, Daniele Gunetti, docente presso l'Università degli studi di Torino e collaboratore esterno dell’associazione Spiritualità del Creato.

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Oggigiorno il termine “raccoglimento” viene utilizzato in ambito religioso per indicare una generica disposizione interiore basata su un movimento di ritiro in sé stessi, un “fare silenzio dentro di sé” che si dovrebbe adottare per il momento della preghiera. È in effetti una definizione abbastanza vaga e nell’intero Catechismo della Chiesa cattolica la parola “raccoglimento” ricorre solo tre volte, intesa come una sorta di precondizione o caratteristica della preghiera. Ma non è sempre stato così e questo breve articolo vuole riportare alla luce il significato originale di una parola che rappresenta un aspetto fondamentale del percorso mistico.

Nel suo Misticismo, Evelyn Underhill, studiosa e mistica cristiana di inizio Novecento, osservava che in molte tradizioni occidentali e orientali le descrizioni del percorso spirituale noto come via apofatica o via negativa presentano sempre la stessa sequenza di stati: raccoglimento, quiete e contemplazione. Underhill descrive il raccoglimento come un movimento di introversione dell’attenzione: “Il mistico deve imparare a concentrare tutte le sue facoltà, il suo stesso io, sull’invisibile e l’intangibile, in modo da dimenticare tutte le cose visibili: deve metterlo così a fuoco che tutto il resto si offusca. Deve richiamare le sue facoltà disperse con un esercizio deliberato della volontà, svuotare la mente dal suo sciame di immagini, dal suo tumulto di pensieri”.

raccoglimento
Evelyn Underhill

In altre parole, il raccoglimento costituisce una sorta di semplificazione della coscienza, un fissare saldamente l’occhio dell’anima su un punto e il volgersi verso l’interno di tutti i poteri cognitivi. Questo stato è decisamente simile a quello raggiunto dalla mente nella meditazione concentrativa come intesa nei maggiori sistemi spirituali orientali, come lo shamata e lo shine buddisti e la pratica di dharana negli yoga-sutra di Patanjali. In questo stato la coscienza sembra un campo vuoto, tranne che per l’unico punto al suo centro, il soggetto della meditazione: il sé che si protende verso questo centro è ancora debolmente consapevole del ronzio del mondo esterno al di fuori dei suoi bastioni, ma rifiuta di rispondere ai suoi appelli.

È risaputo che Santa Teresa d’Avila praticava costantemente il raccoglimento e nel suo Cammino di Perfezione scrive che questo ha diversi gradi, così che all’inizio si può anche non sentire gli effetti degli sforzi fatti per imbrigliare l’attenzione e frenare il corpo e i sensi. Ma “alla fine, dopo innumerevoli esercizi di questo tipo, l’atto di raccoglimento avverrà senza alcuno sforzo o preoccupazione da parte nostra, e i sensi si riuniranno come api che tornano all’alveare”.

È significativo che quasi tutti i percorsi spirituali comprendano il passaggio da una fase attiva, sotto il nostro controllo, a una fase passiva

Il riferimento qui è a uno snodo fondamentale del percorso spirituale nella via negativa, quando il raccoglimento attivo, cioè basato sui nostri sforzi, si trasforma in raccoglimento passivo, cioè dovuto a un intervento diretto di Dio, un dono ricevuto. È il punto in cui il raccoglimento comincia a trasformarsi in quiete o “preghiera di quiete” secondo l’espressione cara a Santa Teresa. La pratica del raccoglimento è dunque la base di tutta la tradizione apofatica cristiana: uno svuotamento della coscienza per far posto a Dio.

Anche questo stato interiore passivo è previsto e descritto nelle tradizioni buddiste e induiste ed è noto come samadhi – anche se sarebbe corretto distinguere tra diversi livelli di samadhi, proprio come alla preghiera di quiete seguono altri livelli di contemplazione. È significativo che quasi tutti i percorsi spirituali comprendano il passaggio da una fase attiva, sotto il nostro controllo, a una fase passiva: dallo sforzo all’abbandono, dal controllo alla spontaneità, dalla mente discorsiva al silenzio interiore.

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È anche interessante notare che, al di là di alcuni generici consigli, Teresa non ritenne mai necessario fornire istruzioni dettagliate sul raccoglimento, dato che questa pratica era ampiamente conosciuta e diffusa sia tra i religiosi che tra i laici nella Spagna del XVI secolo. Centinaia se non migliaia sono stati i testi a contenuto religioso-spirituale pubblicati in Spagna in questo secolo, che venivano letti dal laico comune, sia esso ricco o povero, abitante della città o della campagna, nobile o borghese, operaio o artigiano, uomo o donna.

Praticato rimanendo attivi nella comunità, il recogimiento rappresentò quindi il punto cardine di un movimento spirituale che durò per duecento anni, ispirando alcuni dei più grandi capolavori della letteratura meditativa e mistica. Sicuramente, uno dei vertici di questo sforzo letterario è costituito dal Tercer Abecedario Espiritual, scritto dal frate francescano minore Francisco de Osuna e pubblicato nel 1527.

Questo libro, a suo tempo di grande diffusione e tradotto in cinque lingue, ebbe una enorme influenza su Teresa e la copia in suo possesso con le sue note a margine si è conservata fino ai giorni nostri. Il libro è interamente dedicato alla pratica del raccoglimento e in un passaggio ne troviamo la più semplice e diretta definizione attraverso il suo contrario: il contrario del raccoglimento è la distrazione, sono i pensieri che vagano; essi sono la porta e la via della perdizione.

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Santa Teresa d’Avila

Particolarmente significativo è che la pratica del raccoglimento non solo può essere esercitata nel silenzio della propria cella o nell’intimità della propria casa, ma può anche diventare un’attitudine interiore costante, fatta di attenzione e presenza mentale coltivate anche durante le attività giornaliere. Per Osuna infatti, “non esercita il raccoglimento chi per tutto il giorno, o per la maggior parte del giorno e ad ogni minima occasione, non custodisce il suo cuore e si distrae”. Al contrario, possiamo essere raccolti e alla presenza di Dio anche mentre impegnati in un lavoro manuale, non meno di quando ci inginocchiamo in solitudine.

Anche questa è una postura interiore promossa e ricercata in tante tradizioni diverse. La ritroviamo nei livelli avanzati di samadhi, nel ricordo di sé della Quarta Via di Gurdjieff, nella open awareness in cui dovrebbe sfociare la pratica vipassanā del buddismo, nell’idea di contemplazione attiva insegnata da Meister Eckhart: una stabilizzazione della coscienza in modo che non sia più in balia degli eventi che si verificano dentro e fuori di noi.

L’esercizio costante del raccoglimento, la lotta contro la miriade di distrazioni da cui la nostra mente è continuamente attratta, sono un filo conduttore che lega e accomuna fra loro le pratiche interiori di tante tradizioni spirituali, al di là di ogni credo, filosofia e visione della realtà. È ciò che Foucault ha chiamato “tecnologie del sé”: la capacità che ha la mente di trasformare sé stessa e il cui scopo ultimo è quello di raggiungere una diversa, più piena, serena e armoniosa dimensione dell’esistenza.

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