Kaki Tree Project, l’albero sopravvissuto alla bomba atomica che getta germogli di pace
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Brescia, Lombardia - Un progetto “artistico”, sviluppato tra il Giappone e l’Italia, in particolare nel territorio del bresciano, che è molto più di una semplice iniziativa: io lo definirei un atto d’amore nei confronti di tutta l’Umanità. Il suo nome è Kaki Tree Project – letteralmente progetto dell’albero di cachi – e i suoi fondatori lo definiscono “un progetto artistico attraverso il quale le persone possono apprendere l’importanza della pace e della vita”. L’idea nasce dalle cure dell’arboricoltore giapponese Masajuki Ebinuma nei confronti dell’unico albero – un caco appunto – che era sopravvissuto alla bomba atomica sganciata dagli americani, alla fine della seconda Guerra Mondiale, sulla città di Nagasaki.
Ebinuma, con le sue amorevoli attenzioni, riuscì a guarire completamente l’albero, che ricominciò a vivere e a dare i suoi frutti. Anche a Hiroshima sopravvissero alla bomba atomica alcuni alberi, chiamati hibaku-jumoku, ovvero “alberi sopravvissuti alla bomba atomica”. «Un fatto straordinario – spiega Stefano Mancuso, fisiologo vegetale e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale di Firenze – forse dovuto al fatto che alcune parti interrate degli alberi sono state protette dallo strato di terra, oppure perché sul lato non irradiato, protetto dallo spessore del tronco, qualcosa è sopravvissuto”.
Dopo la rinascita dell’albero di cachi, i suoi semi furono donati ad alcune scuole giapponesi e i bambini parteciparono alla crescita degli alberi di seconda generazione, figlie di quello “invincibile” alle radiazioni dell’atomica. Nel 1996 l’artista giapponese contemporaneo Tatsuo Miyajima ideò il vero e proprio Kaky Tree project attraverso la creazione di opere d’arte – aventi come soggetto naturalmente il famoso albero – allo scopo di diffondere le idee che sono il fondamento del programma, basate sulla rinascita: “La Coscienza della Pace”, “Il vero modo di vivere”, “La qualità dell’Arte”.
Francesco Foletti, tra i fondatori dell’associazione italiana che si occupa del progetto, mi racconta durante la nostra intervista: «Il concetto alla base del progetto è quello di passare dal negativo al positivo, quello di dare una nuova speranza a tutti e a tutto. Nel 1999 Miyajima fu invitato alla Biennale di Venezia e per la prima volta il concetto di “Revive Time Kaki Tree Project” venne esportato all’estero. Suscitò immediatamente un grandissimo successo per la filosofia che si porta dietro, in maniera così semplice, ma profonda».
Mi chiedo e chiedo a Francesco come mai lo Kaki Tree Project venga considerato un progetto artistico. «Perché a questo progetto – risponde –, a parte l’impulso dato dall’artista Miyajima, partecipano tantissime persone, ognuna a modo suo, con il suo estro e la sua immaginazione. Non esiste un canone di attività, ma queste nascono a seconda di chi se le immagina. L’importanza fondamentale della nostra attività è quella di mettere insieme più gente possibile, sono le relazioni libere di pensare ed esprimere i sentimenti che contano. Poi, anche a lungo termine, queste connessioni restano vive in modo che il progetto si auto-alimenti».
Dal Giappone a Brescia e al suo territorio dunque, dove il gruppo italiano del Kaki Tree Project è stato il primo in Europa ad importare gli alberi di seconda generazione dal Giappone per espandere l’idea che “il papà albero” stesso rappresenta. «Abbiamo iniziato intorno al 2006 con le scuole per poi creare molti altri progetti [come quello di Scampia, di cui abbiamo parlato qui, ndr]», spiega Francesco.« Nel 2016 siamo andati in Giappone in veste ufficiale e siamo diventati amici dei giapponesi. Nel 2019 abbiamo creato l’Associazione Nagasaki Brescia, tutta composta da volontari e da un direttivo».
L’associazione bresciana è l’unica referente, insieme a quella giapponese, per tutte le domande che arrivano dal mondo intero per i semi dell’albero di cachi. «Oggi, a causa delle normative europee sull’importazione delle piante, possiamo solo importarne i semi e con quelli abbiamo messo in piedi dei vivai, uno qui a Passirano e uno a Pesaro, in una scuola agricola. Riceviamo tantissime domande di alberi, fino ad oggi abbiamo fatto circa 57 piantumazioni, soprattutto nei nostri territori», aggiunge Francesco.
Qualche esempio? «Abbiamo innestato un albero nel paese del Vajont a ricordo della tragedia; ne abbiamo piantati in molte scuole, in due carceri e in due case di riposo, dove durante l’evento i nonni raccontavano ai bambini gli orrori della guerra. Abbiamo lavorato con la gente di Scampia e durante l’ultimo Festival della Pace le abbiamo invitate per spiegare come sia possibile recuperare i propri diritti anche dal basso. Lo scorso marzo il Presidente Mattarella ci ha invitati a Cassino per i sessant’anni della famosa battaglia e ci ha chiesto di piantare un albero nella residenza estiva di Castel Porziano».
Nei progetti troviamo tanti artisti. Ad esempio, il gruppo dei Nomadi ha voluto un albero durante un concerto in cui cantavano una delle loro canzoni di repertorio, scritta sul pilota che aveva sganciato la bomba atomica. «A Passirano abbiamo organizzato una mostra fotografica che si chiama “Non così”, in cui le immagini mostrano come non si debba finire una guerra. Da qualche giorno abbiamo portato un albero al Museo Ebraico di Vienna che ce l’aveva richiesta e la prossima estate organizzeremo un tour in bicicletta tra l’Italia e Vienna per sottolineare l’importanza di quest’azione», spiega Francesco.
«Persino il Tempio del Buddismo Tibetano sul Lago Maggiore ha uno dei nostri alberi di cachi, a sottolineare come l’idea dietro all’albero superi anche le differenze religiose; infine lavoriamo molto con i Comuni, che sono i soli che ci pagano qualcosa per fare le piantumazioni o degli eventi. Inoltre è stato pubblicato un libro per bambini molto bello dalla scrittrice Chiara Bazzoli dal titolo C’è un albero in Giappone. Al momento vorremmo trovare degli sponsor per produrre un documentario su tutte le attività legate al progetto per permetterci di condividere l’idea nel mondo», conclude uno dei fondatori di Kaki Tree Project.
Personalmente auguro a Francesco, a tutti i volontari dell’associazione Nagasaki Brescia e al Revive Time Kaki Tree Project di trovare gli sponsor necessari, auspicando che questa incredibile avventura possa fare il giro del mondo e stimolare la diffusione di azioni concrete per insegnare a grandi e piccini la necessità della pace e la possibilità della rinascita.
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