Ippolito Negro, il “custode del territorio” che è tornato a vivere nel borgo natio
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Alessandria - Trascorrere la stagione fredda a leggere con il camino acceso, intonare canti popolari o passeggiare per le vie del paese scambiando due chiacchiere con vecchie conoscenze, sapendo di trovarsi nell’unico posto che è casa. Quel senso di appartenenza alla propria terra è forte in Ippolito Negro, che di Cosola, piccolo paese della Val Borbera, nell’alessandrino, è uno degli appena 70 abitanti.
Per lui è chiaro: non c’è stato posto migliore al mondo dove vivere, ma soprattutto dove poter ritornare dopo le peripezie della vita. La sua terra per molti non è un luogo semplice i cui abitare: Cosola, come i piccoli paesi dell’alta valle, in passato ha vissuto lo spopolamento e qui il significato di povertà e di abbandono è una consapevolezza che fa parte delle memorie dei locali.
Quando parliamo con Ippolito siamo ospiti nella sua abitazione, nella frazione di Montaldo di Cosola. Siamo qui per un reportage sulle aree di confine del Piemonte e della Liguria, per comprendere cosa significa realmente vivere in un territorio posto “ai margini”, secondo le testimonianze dei suoi abitanti.
Siamo grati di questa visita: della la natura incontaminata, del cibo locale come quello offerto poco prima da Michele Negruzzo all’Albergo Ristorante Il Ponte, che giunge oggi alla sua sesta generazione di albergatori, e soprattutto delle conversazioni con gli abitanti del luogo, che ci raccontano storie di vita da queste terre. Siamo arrivati in punta di piedi, consapevoli delle bellezze, ma anche delle ferite che questi territori e i loro abitanti si portano dietro.
ABITARE IN UN PICCOLO PAESE DI ALTA VALLE: LA STORIA DI IPPOLITO NEGRO
Ippolito Negro è nato nel ’47 e di questi luoghi ha lunga memoria. «Io sono nato nel primo dopoguerra, ho conosciuto mio padre che avevo 5 anni perché lui era emigrato in Argentina. Quegli anni sono stati durissimi per mia mamma che ci ha fatto sia da madre che da padre, ma è stata durissima anche per noi. C’era la povertà ma c’era anche la miseria: la povertà è quando non hai da mangiare, la miseria arriva quasi nell’indigenza. Purtroppo era così, era difficile vivere qui».
La risposta a una vita difficile è in molti casi la ricerca di maggiori fortune e lo sa bene chi vive qui. Così, sulla scia dei molti che prima di lui si sono spinti verso la città, nella sua vita Ippolito Negro si è allontanato per lavorare diversi anni in Francia e poi nell’alessandrino. Ma qui, a Cosola, è sempre ritornato.
«Partivo, sì, ma da Cosola non mi sono mai allontanato davvero. Oggi, quando molti che vivono in città mi dicono: “Ma come fai a vivere lassù da solo?”. Io gli rispondo: “Scusate ma io mi domando come fate voi a stare qui!”. A Cosola è tutto un altro vivere, qui ho riscoperto le cose importanti della vita. In fondo, se uno si sente tranquillo con se stesso e ha la coscienza a posto, non vive male. Io mangio quando ho fame, dormo quando ho sonno, la vita qui non ha orari».
LA MUSICA TRADIZIONALE CHE TIENE IN VITA UNA VALLE
Parlare con Ippolito è come fare un viaggio a ritroso, percorrendo storie e racconti che uniscono la valle. Ci racconta di quando da piccolo faceva il casaro e portava le mucche al pascolo, del periodo dell’emigrazione, di quando l’intero paese, nei momenti di difficoltà, si riuniva per ripristinare le mulattiere o per la trebbiatura del grano, unito da un senso di comunità che oggi appare lontano.
Ma ci racconta soprattutto della lunga tradizione musicale che caratterizza questa zona dell’appennino, quando i canti e i balli tipici del folklore locale superavano le frontiere, cancellavano i confini di provincia rendendo il territorio delle Quattro Province di Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza, unito. «È il piffero che ancora oggi, più di qualunque altra cosa, tiene insieme la cultura, la storia e le tradizioni delle Quattro Province». Le note antiche del piffero, di questo strumento tradizionale, risuonavano nei momenti di celebrazione della vita quotidiana come ai matrimoni o alle feste di paese.
Ippolito Negro ricorda di alcuni musicisti di piffero che hanno fatto la storia di queste zone, come i suonatori che si spostavano a piedi con la fisarmonica in spalla, portando la musica di valle in valle. «Il piffero era accompagnato alla zampogna prima e alla fisarmonica dopo. Quando un paese organizzava la sua festa già a distanza di mesi c’era una grande attesa: questi eventi legati alla musica e al ballo erano momenti di aggregazione, di allegria, di conoscenza, momenti dello stare insieme».
C’è stato poi un periodo, tra anni ‘60 e ‘70, in cui sono arrivate anche le discoteche. «Una di queste era proprio a Cosola ed era frequentatissima, soprattutto dai giovani. Questo però non ha cancellato la memoria delle musiche tradizionali, anzi, ci sono stati ragazzi giovani che frequentavano le discoteche e che avevano e hanno ancora oggi una grande passione per il piffero».
Oggi in alcuni paesi del Val Borbera,m come a Carrega Ligure, i giovani si sono uniti anche attraverso la musica per recuperare un pezzo di storia e tradizione che rischiava di andare persa. Ma ciò avviene anche al di là dei confini amministrativi, come nelle province di Piacenza e Pavia, dove le giovani generazioni hanno preso in mano lo strumento e stanno organizzando eventi locali.
ESSERE CUSTODI DEL PROPRIO TERRITORIO
Ci sono persone preziose, proprio come Ippolito Negro, che nel loro piccolo sono capaci di custodire e trasmettere il valore identitario di canti e musiche che sopravvivono al corso del tempo. Domando allora a Ippolito qual è il suo rapporto con la musica, specialmente quella tradizionale, della sua terra.
«Io non suono e non so ballare, anche se mi piace ascoltare il ritmo della musica che con la sua nostalgia e malinconia inevitabilmente ti porta ai ricordi del passato. Ricordo quando mio padre nella stagione invernale suonava il piffero e quando in casa intonava canzoni vecchie a voce bassa. Quando ero più piccolo mi dava quasi fastidio. Quelle nenie le ho poi riscoperte in età adulta ed è stato molto importante. Se volete, ve ne faccio sentire una».
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