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Prima una lettera toccante in un momento di immenso dolore, poi le parole forti nell’intervista rilasciata da Fazio. Gino Cecchettin il padre di Giulia, Elena e Davide che ha deciso di aiutare prima di tutto noi uomini e padri a cambiare radicalmente il rapporto con le donne, lo fa con una sorprendente razionalità ma capace di dare voce al cuore. Una razionalità che, per sua stessa ammissione, eredita dall’impegno nella sfera lavorativa, ma che gli sta permettendo di elaborare il lutto provando a non rendere inutile la tempesta che ha coinvolto la sua famiglia.
L’umanità di questo uomo si comprende anche dal racconto che ha fatto della moglie e dall’ammissione di quanto la morte della sua amata compagna l’abbia trasformato in meglio. Una condizione in cui mi riconosco avendo vissuto la perdita per malattia della mia prima moglie, un lutto che mi ha insegnato ancora di più ad amare l’Altro e l’attuale mia meravigliosa famiglia.
Purtroppo fino a oggi abbiamo assistito a una sorta di elettroencefalogramma piatto nella società e nelle istituzioni perché dopo le parole e proteste di rito poi tutto rimaneva come prima. Il grido a volte rabbioso delle donne, impegnate da anni contro la violenza mentale e corporale subita anche dentro le mura domestiche, sembrava non appartenere a noi uomini “perfetti”. Questa volta sembra che il passaggio traumatico causato dalla morte di persone care stia provando a far germinare qualche frutto. Si tratta di un percorso lungo e faticoso se pensiamo che a pochi giorni dalla morte di Giulia Cecchettin altre cinque donne sono morte assassinate da uomini che forse non hanno mai conosciuto la parola amore.
Gino Cecchettin ha terminato la lunga intervista da Fazio lanciando un appello a noi uomini per chiederci di usare più spesso il “Ti Amo”, dichiararlo ogni giorno verso la persone più care. La mia lettura è che in quel Ti Amo – volutamente lo metto con iniziali maiuscole – c’è la forza dirompente che mette in un angolo la banalizzazione di quell’appellativo “amò” che spesso nasconde superficialità e stanca abitudine. Quel “Ti Amo” porta con sé la profondità del dono e allontana l’idea malsana di possesso su cui ho scritto, anche in un recente passato, sempre su Italia Che Cambia.
Qualcuno potrà obiettare che questa volta, oltre a esserci un uomo straordinario che sta decidendo di dedicare la vita al tentativo di cambiare il rapporto violento verso le donne, sostenuto da una figlia come Elena che sta dimostrando di voler con forza tramutare il dolore in lotta, c’è anche una forte esposizione mediatica. Ben venga, una volta tanto, una forte esposizione di persone positive, vista quanta pochezza o peggio ancora sub-cultura passa attraverso l’informazione editoriale, non solo quella assolutamente incontrollabile dei social. Basti pensare a quanta brutalità c’è in alcune canzoni, purtroppo molto seguite dai giovani, che incitano esplicitamente alla violenza in generale e a quella verso le donne in particolare.
Davanti a un fenomeno così drammatico che andrebbe indagato maggiormente anche dal punto di vista antropologico, nessuno può dirsi estraneo. Non basta più dire “ma io sono diverso”. Certo che la maggior parte degli uomini sono rispettosissimi verso le donne e magari hanno lo stesso atteggiamento del signor Gino, ne sono convinto anche io. È risaputo altresì che c’è una cultura tra le donne di accettazione supina del potere dominante dell’”uomo di casa”, fino al punto di arrivare a difenderlo anche davanti alla più drammatica delle evidenze.
Tutto questo è ovvio perché la cultura dominate ci ha portati a una condizione per cui la violenza, soprattutto quella più silente e subdola, è trasversale a qualsiasi categoria sociale. Viviamo in una quotidianità che nasconde, nelle pieghe di una normalità fatta di finte e illusorie sicurezze, una moltitudine di fragilità individuali e collettive.
Parafrasando De Andrè, “anche se vi credete assolti siete comunque coinvolti”. Dobbiamo sentirci tutti e tutte coinvolte/i perché il cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno si ottiene solo se il cammino necessario lo facciamo insieme. A noi uomini spetta il compito più importante, quello di togliersi l’abito del perfetto, prima di tutto perché in quanto esseri umani siamo “geneticamente” imperfetti. Non possiamo tirarci fuori dal percorso di cambiamento se nel quotidiano ci chiudiamo gli occhi e tappiamo le orecchie davanti anche al più piccolo episodio di violenza cui ci capita di assistere.
Ben venga quindi l’impegno civile promesso da Gino Cecchettin e da sua figlia Elena perché quella battaglia ci riguarda tutti e per una volta proviamo a fare la nostra parte fino in fondo. Tranquilli, non perdiamo nulla in virilità ed eros se ci spogliamo totalmente dalle sovrastrutture culturali e sociali che ci rendono schiavi del possesso e del dominio. Tornerò con altre riflessioni sul tema del rapporto tra la violenza verso la natura e quella di genere perché sono, dal mio punto di vista, fortemente correlate. Ora proviamo a fare tutto il possibile perché il cambiamento inizi davvero senza aspettare nemmeno un minuto in più.
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