Daniela Ducato e il Terzo Paesaggio: valorizzare le zone marginali per riscoprire la vita che pulsa – Dove eravamo rimasti #26
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Medio Campidano - Per chi segue da tempo Italia che Cambia, Daniela Ducato è un nome mitologico. Fu già nel mio primo viaggio in camper alla scoperta delle storie di cambiamento concreto positivo in atto nel Paese, che ebbi la fortuna di incontrare la nota “IMprenditrice”. Ho scritto IM in maiuscolo perché lei ci tenne subito a precisare che le piaceva promuovere gli IMprenditori invece dei “prenditori” che prendono fondi pubblici per arricchirsi.
Incontrai quindi Daniela tra il 2012 e il 2013 in Sardegna, nella sua Guspini, e subito mi parlò di arte, cultura, relazioni, blue economy: «Basta con la green economy», mi diceva già all’epoca. «Ci vuole l’economia circolare, la blue economy!» E mi spiegava che fare “bioedilizia” utilizzando materie prime per costruire non aveva senso. L’unica vera edilizia ecologica era quella che usava gli scarti o le eccedenze, come ama chiamarle Daniela Ducato, per rigenerare le abitazioni. Qui trovate la video-intervista che realizzai con lei al nostro secondo incontro. Dieci anni dopo sono tornato a intervistarla per Non funzionerà mai, il nostro podcast che esplora “come sono andate a finire” alcune delle nostre storie più emblematiche. Lo potete ascoltare qui sotto.
Ma prima di farmi raccontare da Daniela cosa sia successo nella sua vita e nei suoi progetti in questi dieci anni, sono stato positivamente travolto dal racconto della sua “ultima” passione: il terzo paesaggio. Fresca di specializzazione in medicina forestale con una tesi dedicata al suolo come risorsa sanitaria per una urbanistica della salute infatti, Daniela mi fa notare che quando si parla di cementificazione si pensa subito alla deforestazione o ai campi agricoli che cambiano destinazione d’uso, ma raramente si pensa ai “prati” abbandonati, alle periferie verdi delle città, alle zone non cementificate delle aree industriali.
DANIELA DUCATO E LA RISCOPERTA DEL TERZO PAESAGGIO
Tutte queste aree sono definite dall’agronomo francese Gilles Clément “terzo paesaggio”: questa locuzione si riferisce a tutti quei luoghi in abbandono, nelle città, nelle periferie, nelle aree industriali, che vengono percepiti come improduttivi e degradati, considerati come inutili e privi di identità. Luoghi “maltrattati” anche dal linguaggio che di solito si usa per definirli. Il terzo paesaggio è il primo a essere sacrificato, cementificato, asfaltato o trasformato in discarica, privato quindi della sua fertilità e della sua biodiversità.
«L’Italia ha un triste record per il consumo di suolo, tra i primi paesi in Europa. Si parla di 2,4 metri quadri al secondo, un dato allarmante come il nostro silenzio. L’uccisione di un orso o il disboscamento di una foresta smuovono le nostre coscienze, ma se si uccide il terzo paesaggio, poiché non esiste nel nostro immaginario, restiamo inermi. Il suolo è una risorsa non rinnovabile, se lo perdiamo ne va della nostra salute. Pensiamo agli alberi come stoccatori di CO2: certo lo sono, ma è uno stoccaggio temporaneo che riguarda il 30% dell’anidride carbonica, il 70% viene stoccato dal suolo e lì rimane per migliaia di anni», racconta Daniela Ducato.
In controtendenza rispetto ai dati al livello nazionale, il terzo paesaggio di Guspini, il paese in cui vive Daniela, è stato salvaguardato e protetto, ricevendo anche una certificazione speciale pesticidi-free. È la prima zona industriale al mondo a riceverla. Un risultato collettivo dopo anni di impegno personale e di tante altre persone del posto che cominciano a guardare gli spazi con occhi nuovi ed evoluti.
Ha forse aiutato anche la tradizione che lega questo luogo alla produzione del miele. Fino a pochi anni fa Guspini era il Comune italiano con più apicoltori/trici hobbisti. Si è sempre guardato al paesaggio non con gli occhi delle persone, ma con quello delle api. «Mi occupo del terzo paesaggio da quando sono venuta a vivere a Guspini, per me è sempre stato un mondo fantastico. Qui è nata la banca del tempo che ha permesso uno scambio di sapere e competenze importanti. Abbiamo recuperato oltre trenta spazi, abbiamo realizzato un’immensa pinacoteca a cielo aperto dove i bambini portavano i loro disegni».
RIPENSARE LA TOPONOMASTICA
Avete mai notato che gran parte delle vie e delle piazze italiane – e non solo – ha nomi maschili? Daniela mi svela un dato sorprendente: solo il 3% della toponomastica italiana è al femminile. Appena me lo dice mi diventa evidente, come in quei disegni nascosti, che quando scovi il gatto in mezzo ai puntini neri, improvvisamente lo vedi con chiarezza. Il sessismo è nei dettagli ed è talmente pervasivo che diventa prassi, “normalità”.
E proprio per cambiare questa normalità Daniela & C. hanno deciso di invertire la tendenza intitolando strade e laboratori a figure femminili: «Quando si parla degli obiettivi ONU per il 2030 spesso si dimentica l’obiettivo 5 che recita: “Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”. Con il terzo paesaggio curiamo l’identità e l’obiettivo 5 c’è sempre e viene sviluppato insieme a tutti gli altri obiettivi dell’agenda 2030».
Spesso nelle zone industriali ci sono spazi senza nome, senza identità e «questo fenomeno genera di per sé abuso e svalorizzazione. Quando lavoriamo in questi paesaggi restituiamo cura e gratitudine per quello che producono e contestualmente promuoviamo un’identità urbanistica nelle nostre memorie, con nomi di donne che hanno aperto nuove strade nella nostra società, storie di donne del mondo, alcune anche sconosciute. Ridisegniamo l’immaginario del terzo paesaggio e restituiamo alle donne strade e percorsi».
L’attenzione ai termini usati va oltre la toponomastica. Le parole che usiamo normalmente nel terzo paesaggio sono maltrattanti – erbacce, zone da ripulire o altri termini che fanno pensare al degrado, alla bruttezza –, ma in realtà spesso si tratta di fiori, piante, vita che pulsa e che viene “distrutta” dalle pulizie arbitrarie, dall’ossessione per l’erba tagliata corta stile prato inglese, dalla necessità umana di governare e gestire ogni aspetto dell’esistenza.
RIGENERARE I PAESAGGI, PER RIGENERARE LE NOSTRE VITE
In chiusura Daniela Ducato mi fa notare che viviamo con un “deficit di natura” e ci ammaliamo a causa di questo deficit. Siamo immersi in paesaggi sonori di automobili, di persone che hanno fretta, di odori terrificanti. Non possiamo negare il mondo in cui viviamo e dobbiamo imparare a stare bene anche nel cuore di una città. Non tutti infatti possono andare ogni giorno in una foresta o in un bosco. A maggior ragione però, trovare dentro la propria città uno spazio dove la Natura la fa davvero da padrona, significa recuperare spazi dentro di sé, spazi di relazione, di creatività, di non spreco.
Occorre quindi proteggere e tutelare gli spazi verdi “abbandonati” anziché sostituirli con asfalto e costruzioni. Le piante “selvatiche” crescono ovunque e non hanno bisogno di acqua e concimi. L’approvvigionamento selvatico anche solo parziale delle risorse necessarie alla nostra alimentazione sarebbe fondamentale e ci emanciperebbe dalla dipendenza totale dalle coltivazioni. La Natura offre tutto in abbondanza. Sta a noi tornare a scoprirla, conoscerla e tutelarla. Come diceva il grande Troisi, “ricominciamo da tre”. Ricominciamo dal terzo paesaggio.
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