6 Dic 2023

Autogestione, socialità, sapere: è il DAM, cuore pulsante dell’Università della Calabria

Scritto da: Tiziana Barillà

Benvenuti al DAM, il dipartimento autogestito dell’Università della Calabria che come un “centro storico” del Campus ne custodisce memoria e socialità. Una storia lunga trent’anni di movimento, lotta e resistenza lo rende un luogo speciale, un bene comune da sostenere e mantenere vivo per le generazioni future. Ce la racconta Daniela Ielasi, una delle fondatrici dello spazio e dell’associazione Entropia, che oggi lo gestisce.

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Cosenza - Da quasi trent’anni, nel cuore del Campus di Arcavata – sede dell’Università della Calabria – il Polifunzionale ha preso la forma di uno spazio collettivo e autogestito. Il DAM – che sta per Dipartimento Autogestito Multimediale – è un luogo di incontro, studio, socialità e cultura aperto a studenti e docenti, nonché ad artisti, cittadini, associazioni ed enti no-profit. La difficoltà a raccontare questo spazio è parte della sua bellezza, perché dovuta alla complessità dello spazio e del suo vissuto.

È una storia di movimento, lotta e resistenza, che rende il DAM un luogo speciale, un bene comune da sostenere e mantenere vivo per le generazioni future. Qui viene inaugurato il primo anno accademico nel 1972, qui – il 14 dicembre del 1995 – il movimento studentesco dell’epoca occupa lo spazio chiamandolo Filorosso, il centro sociale universitario che sarà protagonista dal 1995 al 2011 di molte battaglie sociali dentro e fuori l’ateneo. E ancora qui dal 2004 lo spazio ha assunto la forma e il nome di DAM. Di fatto, il “centro storico” del Campus che ne custodisce memoria e socialità

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Quasi 200 metri quadrati gestiti dall’associazione Entropia, fondata due anni dopo quella occupazione e che ne ottiene l’assegnazione solo con l’arrivo del nuovo millennio. Il DAM è il luogo in cui si traducono i principi dell’associazione: una sala studio, una sala informatica, una sala stampa, una sala prove di teatro, danza e musica, una sala attrezzata per eventi socio-culturali, la postazione per una radio, un ufficio che è una sorta di centrale operativa, uno spazio di lavoro condiviso per volontari e tirocinanti, che grazie ai progetti passano da qui. Poi c’è un ingresso-bar, lo spazio dell’accoglienza, che da un paio di anni è anche un circolo Arci. 

«È una sorta di galleria che racconta una storia parallela dell’Università della Calabria», dice Daniela Ielasi, collega giornalista tra i fondatori dello spazio e dell’associazione che oggi presiede. Una lunga, intensa e movimentata storia che Daniela ha raccontato in un libro intitolato Filo rosso. Diario di un’autogestione: «Parallela perché l’Unical ha cinquant’anni e noi stiamo per compierne trenta. Una storia lunga e importante, che rappresenta un’anomalia non solo nel panorama nazionale ma anche europeo. A volte è complicato raccontare questa storia, farla capire a chi non è qui tante sono state le evoluzioni in questi trent’anni». 

L’Unical è una specie di oasi di resistenza e gioventù nella Calabria dei brutti record, tra il deserto umano e quello della terra. Qui in provincia di Cosenza, in una piccola frazione di Rende, c’è il campus universitario più grande d’Italia, una città abitata da oltre 30.000 persone, quasi tutti sotto i 35 anni. Numeri da capogiro in Calabria, se si escludono le città capoluogo. Un’enorme cattedrale nel deserto calabrese dove non mancano le contraddizioni. L’Unical non è certo avulsa dalle carenze dei sistemi regionale e nazionale che da tempo – molto tempo – camminano in direzione ostinatamente contraria a socialità e accoglienza. In qualche modo, il DAM compensa queste carenze. 

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«Il tentativo dell’epoca rimane lo stesso ancora oggi», prosegue Daniela. «Siamo nati negli anni ’90 sull’onda dei movimenti dell’epoca, come la Pantera, e sulla scia lasciata dal ’77. L’Unical ha avuto una storia di movimenti molto importante, sia per la stessa nascita e creazione dell’università ma anche successivamente con i sommovimenti italiani. Abbiamo avuto figure notevoli in quegli anni. Ma soprattutto siamo nati in un periodo in cui si cominciavano a costruire il grande Ponte Bucci e i Cubi dove spostare dipartimenti, attività e servizi. Il polifunzionale veniva progressivamente abbandonato, così noi siamo rimasti qui ad agire, segnalare criticità, suggerire soluzioni economiche e sostenibili. E per essere quel luogo di incontro e confronto, aggregazione e socialità, che mancava». 

Il polifunzionale è il primo nucleo costruito della grande città universitaria. Qui al DAM lo chiamano il “centro storico” del Campus, un po’ perché è immerso nel verse e un po’ per la sua struttura circolare che esprimeva la concezione originaria: fare incontrare le persone. Dovete sapere che lo statuto dell’Università della Calabria prevede il diritto alla socialità e all’autogestione da parte degli studenti. Perché nasce sulla scia del 1968, è una carta rivoluzionaria alla quale non ci rifacevamo in quegli anni: come a dire “ok fate cubi su cubi, aule ma la socialità degli studenti dov’è?”.

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Con l’arrivo del grande Ponte e dei Cubi invece la concezione stessa della socialità vira da tutt’altra parte. Sul ponte lineare e chilometrico le persone vanno avanti e indietro senza mai incontrarsi, nei Cubi giacciono i dipartimenti a compartimenti stagni, contribuendo a parcellizzare, separare, isolare anche il sapere. «E invece nella nostra concezione il sapere deve inglobare tutti i saperi, dev’essere la formazione globale che ci si aspetta da un’università, così nasce il pensiero critico che ti consente di essere un cittadino degno di questo nome», spiega Daniela Ielasi.

Dai primi anni duemila questo spazio è stato riconosciuto e assegnato all’associazione tramite decreto rettorale, ma non per questo si può dormire sugli allori. «È una vittoria notevole ma che non è data per sempre», sottolinea Daniela. «Va difesa ogni giorno, perché i retori cambiano e ognuno rimette in discussione questa assegnazione». 

L’Unical è una specie di oasi di resistenza e gioventù nella Calabria dei brutti record, tra il deserto umano e quello della terra

E non c’è miglior difesa dell’azione. Il DAM è aperto ogni giorno con un calendario fittissimo: attività, progettazione, servizio civile nazionale e universale, iniziative culturali, la redazione del giornale indipendente universitario Fatti Al Cubo, i palinsesti di Radio No Borders. E tante collaborazioni, come quelle con Libero Teatro di Max Mazzotta e Rosso Simona di Lindo Nudo, due esperienze che hanno preso qui le prime mosse e adesso sono due importanti compagnie teatrali.

C’è ancora un punto dirimente all’Unical: gli studenti internazionali. Un migliaio di giovani che arriva da ogni parte del mondo per studiare in Calabria, specie Informatica ed Economia. E vivono dentro il “paese-campus”, dove non hanno nessun servizio. Chi più di loro conosce la solitudine di vivere in spazi privi di luoghi di socialità? Oggi entrando al DAM senti parlare di presente e futuro perlopiù in inglese. Ogni mercoledì, con il “babel tea”, puoi godere di una tazza di the e scegliere tra i tavoli di conversazione in diverse lingue. Trent’anni dopo l’occupazione c’è uno spazio internazionale in cui si parla di presente e futuro in inglese. Daniela sorride: «Siamo indecisi se chiamarlo multiculturale, oltre che multimediale».

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