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Si sono conclusi a Dubai lo scorso 13 dicembre i negoziati sul clima della COP28. Dopo ore di attesa febbrile è stato redatto e approvato il testo finale del Global Stocktake che contiene l’impegno dei paesi nella transizione in uscita dai combustibili fossili entro il 2050. Giacomo di Capua, Asia Guerreschi, Vladislav Malashevskyy e Domenico Vito, analisti di Osservatorio Parigi di HubZine Italia – un gruppo di giovani esperti nato per seguire monitorare e commentare con un approccio divulgativo ma tecnico e competente i negoziati UNFCCC sul clima e i loro effetti sul contesto italiano ed europeo – erano presenti come osservatori alla conferenza che dal 1992 dovrebbe occuparsi di trovare accordi internazionali in ambito di cambiamento climatico.
Domenico Vito è il coordinatore dell’Osservatorio ed è stato presente ai negoziati sin dal 2015. «È andata bene ma non benissimo – osserva –, una COP fatta nella bocca del leone ha rischiato di spegnere del tutto le speranze dell’Accordo di Parigi. Nonostante si sia sicuramente mobilitata la finanza climatica con diversi pledge sul fondo “loss and damage” e su altri fondi legati al clima, il risultato ottenuto è solo un primo passo verso la strada giusta che è ancora lunga, il risultato sul Global Stocktake non giustifica questo clamore, stiamo festeggiando non perché siamo vittoriosi, ma perché abbiamo portato a casa il minimo indispensabile».
Già, perché la presidenza del sultano Ahmed Al Jaber, ministro dell’industria e delle tecnologie avanzate degli Emirati Arabi Uniti e a capo della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), ha accolto le decisioni finali con clamorosa soddisfazione. Al contrario, diversi sono i pareri degli osservatori che giudicano i risultati della COP28 come un “compromesso al ribasso”. Ad esempio secondo Tom Evans, policy advisor di E3G, «i sostenitori di una rapida eliminazione dei combustibili fossili – sia i piccoli stati insulari che le grandi economie – hanno spinto il resto del mondo a rendersi conto che questa transizione non può essere fermata. Ma questo è solo un piccolo primo passo».
«Non si può certo parlare, in termini assoluti, di un successo», rincara la dose Giacomo Di Capua, econometrista e Giovane Delegato d’Italia all’ONU. «A COP28 si registra uno dei numeri più alti di elementi in agenda la cui considerazione è stata posposta data l’impossibilità di raggiungere un accordo, invocando la Regola 16 del progetto del regolamento interno della COP», un elemento procedurale che rimanda le decisioni finali in merito a degli elementi negoziali alle prossime sessioni degli organi sussidiari e delle conferenze sul clima.
Altro inviato di HubZine a Dubai è stato Vladislav Malaskeskyy, esperto di mercati del carbonio e osservatore sull’Articolo 6 degli Accordi di Parigi. Secondo lui, «la COP28 aveva il compito cruciale di delineare alcuni dettagli sui meccanismi bilaterali, specialmente considerando che diversi Paesi hanno già firmato accordi, avviato progetti e in alcuni casi ottenuto risultati tangibili. Era inoltre attesa l’approvazione di linee guida sulle metodologie per il meccanismo centralizzato e indicazioni sui progetti di rimozione, oltre a fornire direttive su come i vari organi dovessero agire nell’anno in vista della prossima COP per rendere operativo il meccanismo centralizzato».
«Purtroppo – prosegue Vladislav tirando le conclusioni – i negoziati hanno completamente fallito, mancando persino di un accordo generale. Questo esito, sebbene non del tutto inaspettato, manda un forte segnale di incertezza ai neo-mercati emergenti dell’Articolo 6. Un aspetto particolarmente negativo è che l’organo incaricato di lavorare per tutto l’anno successivo, per delineare ulteriori indicazioni sul meccanismo centralizzato, è rimasto senza un mandato definito. Questa mancanza lascia le parti a libera interpretazione su come procedere, mettendo seriamente a rischio l’intero programma del 2024».
Ragionando sul clima è importante parlare anche di economia circolare, di cui si occupa Asia Guerreschi, fondatrice di Rethinking Climate. Il tema non è esplicito all’interno dei negoziati, ma ricorre spesso quando si parla di uso delle risorse, energia rinnovabile o revisione dei processi produttivi. Tuttavia, forse per la prima volta si è visto presso i padiglioni laterali, come quelli della Svezia e Germania, eventi che hanno accolto la discussione su questo tema nel settore privato e pubblico.
Quali somme tirare dunque in conclusione? È stata una COP dolceamara, molto frenetica, ma dinamica, nella quale il rischio di totale fallimento è stata una costante. E che alla fine, all’ultimo respiro, ha dato ancora la speranza per un futuro di decarbonizzazione. La strada però è tutto tranne che ben intrapresa: servirà un forte sostegno della società civile e dell’azione climatica a dare sostanza alle decisioni di questi negoziati.
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