Concessioni balneari a prezzi stracciati: così lo Stato continua a svendere il territorio
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Nel 2020, per onorare gli impegni con lo Stato e assicurarsi un po’ di serenità scansando le ingiunzioni di pagamento, sarebbe stato sufficiente servire un centinaio di cocktail. A 7 € l’uno. In un anno. Poi è arrivata la “mazzata” e già nel 2021 i gestori dei chioschetti del Poetto a Cagliari, avevano di fronte una nuova sfida: per saldare i canoni sulle concessioni demaniali avrebbero dovuto servire 350 rum&Cola. Sempre in un anno. Un incremento di non poco conto, ma i capitani coraggiosi che da oltre trent’anni stanno saldamente piantati coi baretti sulla sabbia a furia di proroghe e rinvii – bandi per l’assegnazione delle aree pubbliche: mai sia – hanno accettato la sfida senza timori.
Quando si fatturano centinaia di migliaia di euro non pare proprio un’impresa impossibile pagare allo Stato un canone annuale di 726 € l’anno nel 2020 – 60 € al mese – “schizzato” a 2.500 nel 2021, fino a toccare quota 2.698 nell’anno appena trascorso. E infatti tutti (o quasi, come si vedrà) hanno disposto i bonifici verso le casse dell’erario senza batter ciglio. Qualche mugugno in più si è avuto il 30 dicembre scorso, quando il Ministero delle Infrastrutture ha disposto un ulteriore incremento del 25% a valere sui canoni del 2023, giudicato dai sindacati di categoria come «ingiustificato e ingiusto». Per la maggior parte dei concessionari cagliaritani, si passerebbe da 2.698 a circa 3.400 € l’anno. Insomma, non proprio una grande rivoluzione.
CAGLIARI PUNTA DELL’ICEBERG
L’esempio del capoluogo è giusto la classica punta dell’iceberg, posto che i parametri per il calcolo dei canoni sulle concessioni sono i medesimi per l’intero territorio nazionale. E sono, come si è visto, semplicemente ridicoli. Un esempio: per le attività turistico-ricreative, il costo delle concessioni è compreso tra 1,3 € (aree scoperte) e 3,9 € (aree con impianti di difficile rimozione) al metro quadro. Giusto una piccola anticipazione: per piazzare lettini e ombrelloni – uso esclusivo – in una delle più belle spiagge della zona, nel 2020 un albergo 4 stelle superior di Alghero ha versato al demanio la bellezza di 626 €. Annui. Tre clienti ai primi di luglio, per una sola notte, e il debito è saldato.
Ma com’è possibile che per decenni lo Stato abbia svenduto (e continui a svendere) un patrimonio pubblico che a livello nazionale genera introiti miliardari a favore dei privati ma che alle casse pubbliche, secondo un report della Corte dei conti, frutta appena un centinaio di milioni di euro l’anno? E manco riscossi per intero? «Semplice: manca la volontà politica – dice Stefano Deliperi, dell’associazione ambientalista Gruppo di intervento giuridico -. Nel frattempo, si continua a rapinare il patrimonio pubblico».
UN TEMA SEMPLICE SPACCIATO PER COMPLICATO
Il tema è articolato ma quando in Italia si parla di concessioni demaniali a rendere più comprensibile il quadro generale arrivano in soccorso alcune certezze difficilmente smentibili. La prima: nella maggior parte dei casi, i canoni annuali richiesti dalle pubbliche amministrazioni sono scandalosamente bassi. Non è raro, infatti, che società con fatturati milionari versino all’erario qualche migliaio di euro l’anno. La Sardegna chiaramente non fa eccezione. Seconda certezza: in Italia il legislatore ha inventato la figura dell’imperatore balneare, vero padrone delle spiagge attrezzate.
Questo perché una volta assegnate le aree demaniali, spesso decenni orsono, nessun governo ha mai pensato di indire nuove gare. E questo nonostante fin dal 2006, con la direttiva Bolkenstein, l’Unione europea abbia imposto agli Stati membri di indire gare ad evidenza pubblica e, soprattutto, prevedere concessioni a scadenza e non, come oggi, sine die. E, si sa, eludere le decisioni della Ue comporta pesanti sanzioni che peseranno sulle tasche dei contribuenti.
Al contrario, ogni esecutivo ha puntualmente deciso di non decidere. Parola d’ordine: proroghe su proroghe. L’ultimo tentativo risale al primo governo Conte, con la pubblicazione dei bandi rinviata al 2033. Di diverso avviso il Consiglio di Stato. Con sentenza del 9 novembre 2021, il termine ultimo per la riassegnazione delle concessioni è stato fissato al 31 dicembre 2023. Chissà se questa ulteriore scadenza si rivelerà utile a riordinare una situazione oggettivamente iniqua.
SULL’ESIGENZA DI METTERE A BANDO LE CONCESSIONI
«Non si capisce perché l’Italia debba accollarsi una procedura di infrazione con la conseguente messa in mora e l’irrogazione delle sanzioni – aggiunge Deliperi – per le pressioni di una categoria che per lo sfruttamento economico di beni pubblici, paga canoni irrisori. La Bolkenstein va applicata. Punto. Le concessioni devono essere messe a bando. E magari non sarebbe male se il legislatore pensasse a rendere più equa la parametrazione dei canoni, magari ancorandoli ai fatturati delle società concessionarie».
Di diverso avviso la neoministra del Turismo Daniela Garnero già coniugata Santanchè, che il tema lo conosce abbastanza bene. Risulta tra i fondatori del Twiga, lo stabilimento balneare extra lusso in quel di Marina di Pietrasanta, provincia di Lucca, aperto con l’imprenditore Flavio Briatore. «Prima di pubblicare nuovi bandi di concessione, sarebbe bene assegnare le cosiddette spiagge libere che ora non sono assolutamente servite, dove ci sono tossicodipendenti e rifiuti, senza nessuno che pensi a tenerle in ordine», ha dichiarato.
Un piccolo conflitto di interessi? Proprio no, visto che la ministra ha recentemente venduto le quote societarie del Twiga. Al compagno. Un grande affare, a naso, visto che nel 2021 la società che gestisce l’esclusivo stabilimento toscano ha fatturato circa 6 milioni a fronte di un canone di concessione demaniale poco superiore ai 17mila €. Annui, ça va sans dire.
DAL DEMANIO AI PADRONI DELLA COSTA SMERALDA
Quando si parla di canoni sulle concessioni demaniali per così dire inadeguati, una premessa è d’obbligo: gli imprenditori fanno il loro lavoro, vale a dire ottenere da un’intrapresa il massimo profitto possibile. A dover tutelare l’interesse pubblico dovrebbe essere invece lo Stato, che sul versante concessioni non si è dimostrato propriamente all’altezza del compito. Per semplificare: nessun inquilino si lamenterà mai con il locatore che chiede 50 € all’anno per un attico in piazza di Spagna.
Si prendano i canoni che la società Sardegna resorts ha versato all’erario nel 2020: ben 29.757 € per 12 concessioni demaniali tra punti di ormeggio dei natanti e finalità turistico-ricreative, dicono i documenti riservati in possesso di Indip. Siamo in Costa Smeralda. O meglio, Sardegna resorts è la Costa Smeralda. Controllata dalla cassaforte qatariota Smeralda holding, Sardegna resorts è «proprietaria degli alberghi di lusso Romazzino, Cala di volpe, Pitrizza, Hotel Cervo e controlla Pevero golf club, Marina di Porto Cervo srl e Cantiere di Porto Cervo srl», si legge in una nota interna.
Nel 2020, complice il Covid, il fatturato è calato a 30 milioni, a fronte degli 88 del 2019. Nel 2021 la risalita a 70 milioni. Insomma, onorare il debito con il demanio non dev’essere stato difficoltoso. E ci mancherebbe, visto che siamo nel regno del lusso dove per l’affitto giornaliero di due lettini e un ombrellone all’hotel Romazzino partono 400 €, come riporta Legambiente nel Report spiagge 2021. Sarà dunque solo per sbadataggine che nel 2021 Sardegna resorts ha dimenticato di pagare la bellezza di 361,9 € per la concessione di un punto di ormeggio. Non è escluso che l’importo sia stato poi saldato, visto che la lista dei morosi risale ad agosto 2021.
BRICIOLE E MILIONI
Conto un po’ più salato per le casse di una controllata di Sardegna resorts, la società Porto Cervo marina srl, che gestisce il Porto vecchio e il Porto nuovo della perla smeraldina. Importo dei canoni demaniali per il 2020: 413.553 €. Che si ripagano con appena due abbonamenti estivi per il periodo tra il primo giugno e il 30 settembre per natanti tra i 40 e i 55 metri. I quali, come si sa, a Porto Cervo non scarseggiano. Costo del singolo abbonamento: 214.200 €, ai quali vanno aggiunti i costi per l’acqua, l’elettricità e il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti.
Un poco più a sud il Grand hotel Abi d’oru, cinque stelle sorto nel 1963 sulla candida spiaggia di Marinella nel territorio di Olbia. Il proprietario è l’imprenditore ed editore dell’Unione sarda Sergio Zuncheddu. Tra i servizi dell’albergo di lusso: suite, tre ristoranti e altrettanti bar, centro benessere, punto di ormeggio e chiaramente spiaggia attrezzata con un centinaio di ombrelloni e gazebo. Dicono le carte che nel 2020 l’albergo ha pagato 23.942 € per il punto di ormeggio e 41.102 per uso «turistico-ricreativo». In totale, 65.044 €.
Anche in questo caso viene parecchio difficile pensare che la spesa per le concessioni demaniali abbia costituito un problema per le finanze dell’Abi d’oru: con quasi 10 milioni di fatturato, si possono dormire sonni più che tranquilli. Ai privati i milioni, allo Stato le briciole. La mole di materiale in possesso di Indip è però molto più ampia di così, a dimostrazione del fatto che il problema è una prassi radicata e diffusa. Questa è solo una parte di un’articolata inchiesta sulle concessioni demaniali che puoi leggere sul periodico indipendente di approfondimento.
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