Barbagia, femminismo, intersezionalità: nasce il collettivo AvvoLotadoras
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Nuoro - “Avvolotadoras” è un termine della lingua sarda che rimanda alla sovversione. Ha una doppia valenza: significa “agitatrici”, indica coloro che creano scompiglio ma allo stesso tempo, in alcune zone viene utilizzata anche per dire di “essere nauseate da qualcosa”. Come accade con moltissimi altri termini, la declinazione femminile ha una connotazione negativa: “avvolotadoras” è spesso il dito puntato contro (presunte) donne che mettono zizzania. «Noi abbiamo scelto di riappropriarci di questo termine e dargli un significato positivo: facciamo rumore e creiamo scompiglio perché vogliamo dare una risposta alle discriminazioni di genere. E la risposta è Basta!».
Caterina Brundu e Mariangela Deligia sono rispettivamente presidente e vicepresidente del Collettivo AvvoLotadoras. Femminista, intersezionale e barbaricino: i tre pilastri su cui si fonda il collettivo nato a Sorgono parlano dell’urgenza di sensibilizzare sulle tematiche di genere radicando parole, argomentazioni e lotte alle peculiarità del territorio.
Caterina Brundu, a settembre avete annunciato sui social la presenza del vostro collettivo sul territorio, quando e perché avete deciso di costituirvi ufficialmente?
Il declino della condizione della donna durante e dopo la pandemia mi ha fatto riflettere. Dovevo fare qualcosa. Da allora poi mi è parso che in diversi ambiti (soprattutto politico) ci fosse un lento ripristino al ruolo tradizionale della famiglia e donna, madre e angelo del focolare. Alzare la voce e fare rete con le altre donne era la risposta migliore che potessimo dare. Ho preparato e distribuito per Sorgono un volantino che invitava a una prima riunione sui temi della violenza di genere. L’ho fatto con molti timori perché vivo a Sorgono ma sono maddalenina, ma a guidarmi è stata una frase di Michela Murgia: «Pagate il prezzo di essere impopolari». E allora sono andata avanti.
Com’è andato il primo incontro?
Alla chiamata hanno risposto in venticinque. Ѐ stato bellissimo, abbiamo scelto di parlare delle nostre esperienze personali, delle discriminazioni vissute, ma anche del perché ci definiamo femministe. Avevamo bisogno di rivendicarla quella parola. Insieme abbiamo deciso di organizzarci come gruppo, femminista e intersezionale, ovvero che considera la sovrapposizione di diverse identità e di conseguenza anche delle relative possibili particolari discriminazioni e oppressioni. Da allora ci incontriamo una volta al mese dopo prima aver scelto un tema, e insieme lo snoccioliamo.
Un esempio di approccio intersezionale?
Lo sguardo sul territorio, il nostro campo di battaglia. Non possiamo non considerare da dove proveniamo: qua una rete femminista manca forse da quarant’anni, e non da poco viviamo problematiche che ahinoi sono peculiari, dai tagli alla sanità ai pochi di stimoli culturali. Rispetto a Cagliari, la nostra zona è marginale sia geograficamente che dal punto di vista delle spinte culturali. Qua le necessità sono altre e anche il linguaggio che scegliamo è diverso: parte da noi, da quello che viviamo. Con l’autocoscienza femminista rafforziamo la nostra consapevolezza per preparare a partire da noi il territorio al cambiamento. Spesso pensiamo che alcune esperienze negative dipendano da noi, ma nel fare rete emerge la discriminazione sistemica.
Molto spesso si parla della Sardegna come matriarcale, ma è davvero così?
Non è corretto. Non solo perché il machismo è radicato nell’identità del territorio sardo, ma anche perché questa idea opprime due volte le donne. Possiamo parlare di un controllo della casa e dell’economia domestica, ma al di fuori le donne non sono mai state libere, a meno che non avessero il potere economico per emanciparsi. Questa narrazione della Sardegna come popolata da matriarche discrimina due volte. All’oppressione in quanto donne somma quella data dall’idea di una libertà e di un potere sugli uomini (perché questo significa matriarcato) che non in realtà esiste. Ed è un motivo in più per lottare, raccontare la nostra esperienza e alzare la voce.
Parlate spesso di “lotta”, è un termine contenuto anche in AvvoLotadoras. Per cosa bisogna lottare oggi?
Contro un sistema e una piramide della cultura patriarcale dove il femminicidio è solo l’apice. Lavoriamo per una società plurale, il femminismo non è fatto per essere comodo a tutti, pone dei temi e fa sentire a disagio chi sente di doverli decostruire. Crediamo che questa lotta debba partire dal piccolo ed estendersi. Il nostro fine è cercare di compattare il femminismo sardo: unite, attente ai bisogni dei territori, siamo molto più forti e possiamo raggiungere obiettivi molto più grandi.
Abbiamo deciso di muoverci avviando una riflessione collettiva a partire dal linguaggio. A volte sentiamo dire che “il femminismo si è ridotto alle diatribe sul linguaggio” ma ci sembra un voler semplificare qualcosa di molto più complesso. Il linguaggio è pensiero e azione, le parole fanno il mondo e iniziare a usare termini corretti è la base per iniziare a guardare il mondo diversamente. In maniera inclusiva, senza invisibilizzare nessuna. L’ultimo passo di questo processo, sarà spazzare via la cultura patriarcale che ci invischia con un grande soffio: siamo parte di una marea che si muove da tempo, impossibile fermarci.
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