Antispecismo Cagliari: pensiero e azione contro la discriminazione degli animali non umani
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Cagliari - Antispecismo Cagliari è un gruppo locale che esiste da oltre dieci anni. Riunisce le persone interessate alla lotta per i diritti animali allo scopo di informare e aprire spazi di confronto, diffondendo la consapevolezza che ciò che è culturalmente accettato “non è necessariamente giusto e moralmente giustificabile”.
Abbiamo intervistato Giulia Ariu e Aurora Frau, due delle sedici attiviste che fanno parte del movimento che opera a contrasto della cultura specista. “Crediamo che una società più giusta debba necessariamente riconoscere i diritti essenziali a tutti gli individui, per questo siamo un gruppo intersezionale. È evidente che la nostra cultura ritenga l’essere umano superiore e – in nome di tale superiorità – legittimato a opprimere altri esseri viventi”.
Che cosa significa “antispecismo”?
L’antispecismo è un movimento filosofico, politico e culturale che si oppone allo specismo. È contrario quindi a ogni forma di discriminazione contro gli animali non umani e all’idea che si possa dare un valore o un’importanza maggiore agli individui basandosi sulla loro specie di appartenenza. Questa convinzione che gli esseri umani abbiano il diritto di sfruttare gli animali non umani è radicata nella nostra società. Non solo si guarda generalmente gli animali non umani come inferiori, ma tra essi si classificano inoltre quelli di serie A e quelli di serie B: lo specismo è mangiare un hamburger di manzo e dopo accarezzare il proprio gatto.
L’antispecismo riconosce che anche gli animali non umani hanno le nostre stesse capacità di provare sensazioni come dolore e piacere, di manifestare una volontà e quindi autodeterminazione. Vien da sè quindi, che l’unica concreta applicazione della filosofia antispecista sia il veganismo.
Avete un esempio di privilegio umano considerato prassi e non oppressione?
Tra i tanti privilegi considerati normalità, quello più grande è quello che legittima l’essere umano a decidere quali altri esseri viventi abbiano il diritto di esistere e quali no, quali siano intelligenti e quali siano meritevoli di cure. Si decide che superato un certo numero di orsi o cinghiali questi vadano uccisi; si decide che il cane non possa essere ucciso ma l’agnello si. L’unico nostro privilegio dovrebbe essere quello di vedere la condizione umana da una prospettiva razionale. Renderci conto che dovremmo usare le nostre capacità al servizio di tutti, animali umani e non, anziché a difesa dei privilegi che ci consentono, sulla base della forza, di opprimere tutti gli esseri viventi.
Fate anche divulgazione sui vostri canali social e di recente avete parlato di una correlazione tra linguaggio, sessismo e specismo. In che termini?
Balena, cagna, oca. Determinati termini abbastanza comuni nella lingua italiana, sono carichi di sessismo ma anche di specismo. Sono parole che vengono utilizzate con accezione negativa sia nei confronti della femmina umana che dell’animale non umano. A volte anche per sessualizzare le donne. Pensiamo al termine toro. Quest’ultimo viene usato per fare complimenti, per evidenziare forza e virilità. Non si può dire lo stesso per il termine vacca.
Questo tipo di linguaggio impatta tutte inevitabilmente, ma il machismo presente nelle nostre parole deriva dalla società in cui viviamo. Una femmina ha più valore se esteticamente piacevole e se il suo corpo può essere utile alla società. Una femmina umana è spesso considerata “incompleta” se non vuole o non può avere figli. Una femmina non umana verrà semplicemente portata al macello nel momento in cui non sarà più possibile sfruttarla da quel punto di vista.
Guardando alla città di Cagliari con la lente dell’antispecismo, quali approcci possono cambiare?
Sicuramente, come ovunque nel mondo, la città non ha un atteggiamento antispecista nei confronti degli animali. Si potrebbe intervenire sulla gestione degli animali che condividono con noi la città: gabbiani, cornacchie, topi ecc. Bisognerebbe pensare a questi animali come conseguenza naturale della nostra presenza nel territorio e quindi, tenendo in mente che hanno il diritto di esistere e di condividere con noi degli spazi, trovare delle soluzioni ai problemi di “convivenza” che siano per loro meno impattanti possibili. Per esempio la sterilizzazione al posto della classica disinfestazione è antispecismo.
Sul territorio ci sono poi tutt’ora tante manifestazioni che prevedono l’uso di animali che, ancora una volta, sono forzati in situazioni che a loro creano disagi fisici e psicologici. Pensiamo alla sagre, al palio, al passaggio di Sant’Efisio. Anche in questo caso potremmo reinventarci, per esempio la statua di Sant’Efisio potrebbe essere trasportata dai sostenitori più fedeli anzi che dai buoi. Purtroppo la maggior parte della popolazione pensa ancora che siano dei “piccoli mali sopportabili dopotutto”. Ma perché mai dovremmo scegliere di infliggere anche la più piccola sofferenza a qualcuna se possiamo scegliere di non farlo e raggiungere comunque i nostri scopi?
Troppo spesso la risposta a chi propone nuove consapevolezze e approcci alla vita comunitaria è: “si è sempre fatto così, perché cambiare?”. Negli ultimi anni però, sono state adottate delle politiche a favore dei diritti animali a dimostrazione del fatto che la sensibilità non solo può cambiare ma forse si deve anche farlo?
Si, è evidente che la sensibilità delle persone stia cambiando. Nelle persone più giovani notiamo maggior interesse verso l’antispecismo e sulle questioni etiche, vediamo anche come nei gruppi che lottano per i diritti si stia aprendo una discussione anche su quelli animali, perché il diritto alla vita e alla libertà non è e non può essere una prerogativa solo di alcune specie. Soprattutto negli ambienti femministi riscontriamo come si stia prendendo coscienza che tutta l’industria zootecnica si basi sulla mercificazione dei corpi femminili e sull’abuso fisico delle femmine non umane.
A testimonianza di questo cambio di sensibilità è emblematica l’evoluzione dei canili: fino a pochi decenni fa i cani venivano sistematicamente radunati e soppressi, oggi non è più così e molti canili vengono finanziati da sostenitori privati, dando ognuno quel che può. Oggi poi è facile trovare l’etichetta benessere animale sui prodotti venduti al supermercato: da un lato è segno di un evidente bias, perché quell’animale è stato ucciso e maltrattato, ma fa capire come l’industria stia cercando di avvicinarsi al consumatore, che inizia a capire la violenza dietro il consumo di prodotti animali.
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