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Palermo - «I consumi in tutto il mondo sono cambiati. La pandemia ha contribuito molto: la era gente rinchiusa in casa e non potendo più uscire ha aumentato l’utilizzo di sostanze e sono cambiate anche le tecniche dei venditori, che effettuano una sorta di Glovo della droga a domicilio. Io ho 41 anni e conosco il mercato locale della droga così come i comportamenti sociali da almeno vent’anni. Sono cambiate parecchie cose». A raccontarlo è Antonino Napoli, rappresentante della Rete Regionale Diffusa sulle Dipendenze in Sicilia, operatore di strada de La Casa di Giulio e attivista di SOS Ballarò.
«A Palermo il mercato nero della droga non riguarda più solo cannabis, hashish e marijuna – prosegue Antonino –, ma anche e soprattutto cocaina ed eroina. Fino a dieci anni fa queste sostanze si trovavano solo nei quartieri popolari di periferia, oggi sono arrivate anche nei quartieri popolari del centro storico. All’Albergheria, nel mercato di Ballarò, basta fermarsi per strada, proprio lì dove girano i turisti, per rendersene conto. Sotto gli occhi di tutti, giovani e meno giovani che si bucano o fumano».
Mentre lo ascolto mi ritornano in mente le immagini di uomini e donne “strafatti” di eroina che si bucavano sotto gli occhi di tutti in un quartiere in pieno centro ad Atene. Rimasi sconvolta non solo per la solitudine, il malessere e il disagio che mi trasmettevano queste persone, ma anche per l’apparente e imbarazzante indifferenza nella quale avveniva tutto ciò. Palermo come Atene e come chissà quante altre città del mondo. E non solo città.
Antonino, prima come operatore dell’unità mobile “Prenditi cura di te” dell’ASP di Palermo con il progetto “In & OUT” rivolto a tutta la popolazione e alle cosiddette “popolazioni nascoste” – giovani e adulti che vivono per strada con dipendenze da sostanze – e adesso come volontario de La Casa di Giulio, passa molte ore della sua giornata in giro a dare supporto alle persone che incontra. In genere inizia alle 9 di mattina e non sa quando finisce. Scende in strada in modo autonomo nei luoghi del consumo portando acqua, cornetti e soprattutto ascolto e conforto. Si instaura così una sorta di relazione di fiducia che, a poco a poco, sta portando a tanti piccoli successi.
Sono parecchie le persone del quartiere, spesso giovanissime – la fascia si è abbassata drasticamente e include anche giovani ragazzini e ragazzine dai 12 anni in su – che vengono prese in carico, quando è possibile insieme alle famiglie. Spesso si tratta di individui che non hanno nemmeno una casa, un posto dove andare, e per questo vivono in strada. Grazie al passaparola e alla Rete, il telefono e gli sportelli attivati sono sempre funzionanti e con una continuità terapeutica per nulla scontata.
Una delle associazioni che offre questi servizi porta il nome di Giulio Zavatteri, un ragazzo di Palermo di 19 anni stroncato da un’overdose l’anno scorso. Una sua frase – “Papà, devi capire che i tossicodipendenti non sono persone sbagliate, è che sono più fragili e sensibili degli altri” – è stata la spinta per i suoi genitori a trasformare il dolore per la perdita del proprio figlio in amore e salvezza per tutte le altre persone vittime di dipendenza.
Nasce così l’associazione, un modo e uno spazio per dare un po’ di ascolto, accoglienza, cura e spazi sociali. Anche per Antonino è una missione, una scelta fatta con amore e servizio. Una richiesta dell’anima, un restituire quanto gli è stato dato in passato nei suoi momenti di difficoltà. «Il cosiddetto “tossico” è una persona che fa paura e spesso viene stigmatizzato come delinquente, sporco, infetto, pazzo, che può fare del male. In passato se ti vedevano con una siringa in mano ti prendevano a legnate».
«Oggi non è più così, c’è un narcotraffico e un consumo sotto gli occhi di tutti», prosegue Antonino. «Alcuni, anche giovanissimi, se non hanno i soldi necessari per comprarsi la “roba” sono instradati alla delinquenza e le ragazze, anche minori, alla prostituzione. A me stupisce questa sorta di connivenza, non so definirla in altro modo, che si sta diffondendo. È vero, è molto difficile, soprattutto dall’esterno, capire come interagire e rapportarsi di fronte a drammi del genere. Ma qui non è solo emergenza crack, come spesso si sente dire, è un’emergenza che riguarda anche l’eroina e interessa tutti noi», continua Antonino.
Da poco prima della pandemia ad oggi sono morti diversi ragazzi e diverse ragazze; Giulio e Noemi sono i nomi più noti, ma in questo elenco ci sono molte altre persone che hanno perso la vita vivendo difficoltà all’interno delle loro famiglie e degli spazi abitativi. Noemi, che è stata una delle prime a morire, viveva per strada, chiedeva aiuto. È morta quasi nell’indifferenza. Per tutta la Rete Regionale Diffusa sulle Dipendenze in Sicilia, La Casa di Giulio e SOS Ballarò non è più tempo dell’indifferenza e per questo è nato un tavolo tecnico sulle dipendenze che interagisce anche con il Comune di Palermo.
Inoltre, in collaborazione con l’Università di Giurisprudenza di Palermo, ha redatto una proposta di legge in attesa di essere approvata dall’Assemblea Regionale Siciliana. Antonino e altri ragazzi hanno documentato e mappato i vuoti normativi e le interferenze nel sistema delle cure, in particolare della salute mentale e delle dipendenze, che la regione detiene. In Sicilia manca la normativa che permette di recepire i livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti LEA, in linea con gli standard nazionali e internazionali, perdendo i sovvenzionamenti specifici per affrontare adeguatamente le dipendenze.
«Stiamo cercando di trasformare quello che non va in qualcosa di bello. Stiamo cercando di costruire centri diurni, l’unità mobile di strada, sospesa a causa del Covid, è ripartita da un mese. Con lo sportello de La Casa di Giulio forniamo ascolto, assistenza e i peer educator, gente che come me ha avuto un‘esperienza di diretta e/o per la vicinanza di un familiare, diventano uno strumento di aggancio e riconoscimento per chi fa uso di droghe, riuscendo a veicolare messaggi sulla riduzione del danno e sugli effetti delle sostanze assunte», continua Antonino.
Sì, perché molto spesso quello che viene venduto come crack, ad esempio, è un prodotto di scarto, adulterato, pieno di eccipienti che si trovano in ferramenta o nei detersivi e non contiene quasi mai grosse percentuali di cocaina. Molti ragazzi non sanno cosa assumono e gli effetti avversi. «Ballarò fa scalpore perché è a due passi dalla Cattedrale di Palermo, ma la vendita nei quartieri periferici non ha mai smesso. Questa emergenza è presente anche in altre città della Sicilia e non solo. L’uso di sostanze è massificato, siamo nell’era della dopamina e di tante dipendenze comportamentali che prescindono dalle sostanze».
«Al nostro sportello arrivano persone da tutta l’isola, ecco perché abbiamo voluto che la Rete Diffusa sulle Dipendenze fosse regionale. Siamo chiamati a essere cittadini attivi, servono modelli culturali nuovi e altri punti di riferimento. Anche gli esempi musicali di oggi, dalla trap al rap, includono nei testi comportamenti in cui si elogia lo stupro, la promiscuità, l’ uso di sostanze, e la povertà educativa di alcune famiglie che non hanno strumenti non aiuta. Ai giovanissimi mancano esempi virtuosi», conclude Antonino.
Le sue parole non sono frutto del caso, le usa contestualizzandole, facendo attenzione a non ferire, a essere più delicato possibile e non giudicante. Provo a immaginare le sue giornate, le emozioni vissute in strada e gli incontri con quelle persone che spesso stigmatizziamo senza conoscere il dolore che si portano dentro. Tanto, a volte troppo. Gli chiedo se, nonostante tutto, ha ancora speranza… la sua risposta mi fa tornare il sorriso e, in cuor mio, penso che abbia proprio ragione. La speranza ci fa vivere e agire, ci porta avanti, proprio come il desiderio. Ed è quella forza che non dovremmo perdere mai. Proprio come Antonino.
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