Open Campus, imprenditoria femminile e innovazione tecnologica dalla Sardegna
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Cagliari - Alice Soru è uno dei volti dell’imprenditoria femminile in Sardegna. Quando ha fondato Open Campus, dieci anni fa, insieme a Stefano Casu, l’ha fatto perché si è innamorata del digitale. Laureata in archeologia classica, Soru è la prova che la trasformazione digitale ha bisogno del fattore umano e di competenze non solo tecniche, ma anche umanistiche. Infatti lei parla del bisogno sempre più crescente di filosofia digitale, viste le sfide poste ogni giorno dai progressi esorbitanti dell’intelligenza artificiale, uno strumento con cui è necessario convivere, ma soprattutto che bisogna comprendere per poterlo governare.
OPEN CAMPUS, LO SPAZIO PER I CREATIVI DIGITALI
Open Campus è lo spazio di coworking dedicato alle startup digitali. Le linee di business col tempo sono diventate tre: «Il coworking, quindi l’affitto di scrivanie e uffici, la formazione – aiutiamo studenti, professionisti e aziende ad affrontare i cambiamenti del mondo del lavoro – e progetti di open innovation con privati e imprese». L’azienda ha subito un’evoluzione importante: «Open Campus è diventato un ambiente strutturato. Ormai il nostro cliente tipo è più una società. Spaziamo tra spin-off dell’Università di Cagliari come GreenShare a Peaxy, startup californiana con tutt’altri numeri rispetto a quelle italiane. Rispetto a prima ci sono più opportunità per i giovani che vogliono fare startup».
Open Campus fa parte di un ecosistema dell’innovazione come quello cagliaritano, che è stato definito l’ottavo miglior ecosistema startup italiano. Sono dati del “Global startup ecosystem report” di StartupBlink, elaborati in base a tre parametri: la quantità degli attori coinvolti, la qualità dell’ecosistema in base ad attrattività, eventi e finanziamenti, e l’ambiente favorevole.
«Noi dentro l’ecosistema siamo dei facilitatori, un osservatore che ha creato una community inclusiva. Abbiamo clienti fissi e temporanei, quasi ogni giorno ci chiamano persone nuove, dall’Italia o dall’estero, che vogliono fare un periodo di vacanza abbinato allo smart-working (lavoro agile) o direttamente fare l’esperienza di remote-working (lavoro da remoto). Abbiamo 150 scrivanie a disposizione. Facilitiamo la trasformazione del lavoro e delle competenze».
Dopo il Covid il mondo è cambiato per sempre, soprattutto quello del lavoro: «Nei nostri spazi si sono avvicinate aziende che prima avevano un ufficio ma ora vogliono essere più agili. Aziende come Webranking, modenese, ha una sede distaccata qui. Poi tanti nomadi digitali». I vantaggi? «La contaminazione, la possibilità di intraprendere nuove collaborazioni e trovare clienti, una migliore qualità della vita. Credo molto nel nostro lifestyle: Cagliari è la destinazione perfetta per vivere e lavorare in un ambiente sano e stimolante. Il costo della vita e del lavoro è inferiore rispetto a centri più blasonati. Ci sono il sole e il mare a due passi, una rete ormai seria e strutturata, un concentrato di competenze e di vantaggi».
Tra le iniziative più recenti, Open Campus ha collaborato con Sardegna Ricerche che ha organizzato il corso Artificial Intelligence for Developers, rivolto a sviluppatori e professionisti del mondo IT, aperto a tutti e gratuito ma previa selezione. «L’altra notizia è che il 28 e 29 novembre parteciperemo alla conferenza europea dei coworking a Porto, che mette insieme gli operatori del settore. Un’occasione importante per trovare nuovi spunti e confrontarci con i colleghi europei. Tra l’altro stiamo per aprire una nuova ala di Open Campus, ben 1500 metri quadri, e siamo a caccia di suggestioni sempre più disruptive».
La Sardegna si conferma una terra pioniera del cambiamento e a impronta femminile: «Lo scorso ottobre abbiamo organizzato il festival LeaderShe Camp, sempre a Open Campus. Una giornata dedicata alla leadership femminile e all’innovazione tra talks, interviste, workshop, momenti d’ispirazione e stand-up comedy. Abbiamo aperto uno spazio di riflessione e confronto invitando imprenditrici, ricercatrici, attiviste, donne e uomini per aiutarci a comprendere quella che per noi è davvero una delle grandi sfide della contemporaneità: perché le donne sono ancora così poco rappresentate?».
Secondo uno studio di Bcg X, la divisione di Boston Consulting Group dedicata alle sfide tecnologiche, nei settori Stem – dall’inglese science, technology, engineering and mathematics – la quota rosa rappresenta solo il 33% della forza lavoro. In Italia invece solo il 22% delle imprese è a conduzione femminile. «Neanche la tecnologia è neutra. Sempre secondo uno studio, chi sviluppa la tecnologia, e in particolare chi sta lavorando sull’intelligenza artificiale, è essenzialmente uomo e di razza bianca. C’è una grossa esclusione». Nessun piagnisteo, anzi. La storia di Alice Soru dimostra che c’è spazio per chi ha visione e competenza, anche nel mare magnum del digitale. Basta prenderselo.
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