Insopportabile, tra vita vera e online. Il ruolo dei social visto dal re di X
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Sassari - Gianluigi Tiddia è diventato Insopportabile appena ha conosciuto Internet. «A 13 anni ho iniziato a smanettare con i primi computer». Così inizia la sua storia, quella di un nativo digitale d’altri tempi. Premiato come miglior account Twitter italiano per due anni di fila, abita il mondo di Internet e dei social media con eleganza, scrivendo spesso in maniera critica e ironica, dando un contributo importante alla crescita digitale delle persone. Lo dimostra il progetto Allerta meteo Sardegna, nato in una situazione di estrema criticità. L’abbiamo intervistato, anche per provare a capire cosa ci aspetterà, online e offline, nei prossimi anni.
Come hai iniziato a comunicare su Internet?
Il blog è stato il mio primo strumento di comunicazione digitale. Ne avevo uno su Tiscali. Se ci pensiamo, il blog è stato lo strumento che dopo la mail ha attivato relazioni digitali. Da quel momento lì ci si rese conto di quanto la possibilità di potersi esprimere oltre la comunicazione tradizionale fosse una cosa potente. L’anonimato in rete era un modo per esprimersi ancora di più liberamente, si potevano avere più identità – penso ai forum, alle prime chat –, senza retro-pensieri. Adesso tutto nasce in funzione di uno scopo e ci si perde nei meandri della monetizzazione: è la tristezza di questi tempi.
Il primo computer?
Il Commodore 64, che ho ancora. Da lì ho avviato una serie di progetti: un blog di scambio di disegni e una comunità negli anni ’90 con 80mila persone iscritte. Li cedevi gratuitamente, guadagnavi dei crediti, praticamente un’anteprima di sharing economy. Poi sono arrivate le prime piattaforma social aperte, Facebook e Twitter in particolare. Ho sempre voluto imparare nuovi strumenti, per esempio adesso sto giocando con l’intelligenza artificiale per capire quale mestiere dovrò inventarmi. Il mio account Twitter l’ho aperto nel 2009 e ho imparato tanto da un altro social a cui ero affezionato, FriendFeed, utilizzato da veri mostri della comunicazione, poi comprato da Facebook e chiuso per acquisire le funzionalità che aveva.
Com’era il Twitter degli albori?
Una palestra di sintesi della parola, da utilizzare con ironia ed efficacia insieme a una rete di persone che stava sperimentando come me. Ricordo i primi tweet con Sergio Caputo, un mio mito. Twitter era più autentico, c’era un’educazione auto-moderata degli utenti, potevi interagire con personaggi pubblici. Poi sono arrivati i vip, i giornalisti e infine i politici, il segno del declino. I social hanno attirato utenti non preparati a utilizzare lo strumento. Io sono cresciuto digitalmente anche grazie a persone come Vera Gheno, la quale è stata il mio “terrore” per anni perché era social media manager dell’Accademia della Crusca e aveva estrema cura del testo e della forma.
Sono arrivati anche due Twitter Awards…
Sì, sono stato premiato come miglior account Twitter italiano nel 2010 e 2011 per il mio essere presente, adeguato, con uno stile educato. Il mio claim è: “Ne ho le scatole piene, con eleganza”. Mi sono divertito a promuovere iniziative digitali, era un periodo di sperimentazioni. Il primo esperimento è stata la Notte Bianca Digitale insieme a Invasioni Digitali. In quegli anni non si potevano fotografare le opere dentro i musei e questo evento nasceva appunto per liberare i musei. Ma la svolta ancora più importante è stata in un’occasione sfortunata: l’alluvione di Olbia, il 18 novembre 2013.
Perché?
Twitter è diventato, da strumento di svago, un mezzo utile e di lavoro. Avevo già un bel po’ di seguaci, quindi persone come me hanno sentito addosso una responsabilità collettiva. Ho provato a disciplinare le conversazioni, ma soprattutto, grazie a un team di persone, si era riusciti a codificare le allerte meteo sarde. Diventare un punto di riferimento nella gestione della comunicazione d’emergenza è stato un passo importante in mezzo a quel triste fatto di cronaca. I social sono diventati degli strumenti attivi, le notizie arrivavano prima su Twitter che al Tg.
Cosa ha significato quell’esperienza?
All’epoca il mio account Twitter faceva 7 milioni di impression al mese. Nel momento in cui scopri di avere una capacità di ricevere attenzione non puoi più girarti dall’altra parte. Avevamo aperto anche la pagina Facebook dedicata, abbiamo ottenuto poi che la procedura venisse codificata dalla Protezione civile delle regioni – a parte la Sardegna –, ma è risultata anche oggetto di studio e approfondimento universitario. In sintesi, è stato il primo esperimento di gestione di un’allerta meteo su social. In quel momento, forse, la rete è diventata adulta.
La Sardegna è sempre stata centrale nella sua comunicazione?
Sì, ho sempre cercato di promuoverla, per esempio col termine sardolicesimo, un tentativo di raccontare l’isola oltre gli stereotipi. I tweet mi hanno permesso di fare esperienze reali, come partecipare al social media team della Fiera BTO di Firenze, punto di riferimento in Italia sul turismo digitale. L’altro progetto è Parole Ostili, che ha avuto il merito di intercettare l’esigenza di cambiare dinamiche ostili che stavano iniziando a maturare dentro la rete, iniziativa che è valsa tra le altre cose due medaglie dalla presidenza della Repubblica.
Qual è l’aspetto più importante?
La connessione, le relazioni. Io senza i social non avrei incontrato le persone che hanno aggiunto valore alla mia vita, è questo il grande potere. Siamo persone che vivono in un mondo sempre più impregnato dal digitale e dobbiamo imparare a stare in questo mondo. E mi costerebbe molto uscire da queste piattaforme, perché le relazioni che ho trovato dentro non voglio perderle.
Adesso affrontiamo uno scatto ulteriore, quasi evolutivo: l’intelligenza artificiale.
Non voglio immaginare cosa sarà capace di fare tra neanche un anno. L’IA è uno strumento che risolverà una marea di problemi, la cosa positiva è che ancora non è intelligente. Quindi sempre di più le persone dovranno maturare competenze a monte nel processo. Dobbiamo essere bravi a dargli le istruzioni in maniera completa, dettagliata, a dire all’intelligenza artificiale dove arrivare. Per ora è come un’assistente intelligente, poi avrà una propria autonomia.
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