Francesca Andreozzi, nipote di Pippo Fava, vittima di mafia: “Etica e legalità per sconfiggere la cultura mafiosa”
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Catania - Legalità e inclusione sono le direttrici lungo cui la vita della psicologa e psicoterapeuta Francesca Andreozzi si è sempre mossa. Due coordinate tracciate in parte da una propensione personale verso l’impegno civico e dall’altra dal suo dna. Francesca infatti è nipote di Pippo Fava – sua madre Elena, scomparsa nel 2015, era la figlia del giornalista, scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, fondatore de I Siciliani, assassinato a Catania il 5 gennaio del 1984 – e per questo la legalità e l’impegno civico li ha respirati sin da bambina.
Oltre agli insegnamenti del nonno – che le sono rimasti dentro anche se aveva solo 5 anni quando fu ucciso dalla mafia – l’impegno civico e per la legalità si è nutrito negli anni della ricerca di giustizia e delle varie attività di educazione antimafia portati avanti dalla famiglia: dallo zio Claudio, politico e giornalista, e dalla madre Elena, presidente fino alla sua morte della Fondazione Fava nata nel 2002, in particolare. Francesca Andreozzi, oggi 45 anni, è presidente dell’Associazione Centro Koros di Catania nonché della Fondazione Fava.
«Dopo la laurea a Roma e la specializzazione – racconta Francesca – sono tornata a Catania con l’idea di mettere la mia professionalità al servizio di chi non poteva permetterselo e di chi mai avrebbe affrontato un percorso di psicoterapia, tanto che invece di aprire uno studio privato ho aperto una no profit, l’Associazione di Promozione Sociale Centro Koros, che da anni è impegnata nell’ambito della solidarietà sociale con progetti e percorsi che coinvolgono persone, minori e famiglie, in situazioni di particolare fragilità».
L’ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE CENTRO KOROS
«Oggi, in effetti, mi rendo conto di come, sia che parli come psicologa sia nel ruolo di presidente della Fondazione Fava, porto sempre con me il mio bagaglio culturale, personale e professionale che è intriso della storia della mia famiglia. Dopo dieci anni l’ho capito bene e mi trovo comoda in questa posizione che mi permette anche di citare un aneddoto personale – cosa che normalmente lo psicologo non fa – quando mi rendo conto che può essere utile alla causa e soprattutto con i minori a rischio di devianza o devianti», sottolinea.
Francesca Andreozzi ha convogliato questo bagaglio in vari progetti, tra cui quelli in cui ha coniugato alla professione anche la sua passione per la vela. «Dal 2013 – racconta – faccio parte del Consiglio Direttivo dell’Unione Italiana Vela Solidale e il Centro Koros ha attivato una collaborazione con l’Ufficio dei Servizi Sociali per i Minori di Catania, per la realizzazione di un percorso di inclusione sociale in barca a vela rivolto ai minori in regime di messa alla prova. In particolare, il progetto VeLegalmente si è configurato sul territorio catanese come progetto pilota di educazione alla legalità e recupero delle devianze giovanili attraverso esperienze di pratica della navigazione a vela».
«L’obiettivo principale è quello di offrire un’opportunità di crescita basata su valori quali il rispetto dell’altro, la convivenza civile, la scelta di legalità, competenze basilari per poter vivere dignitosamente e cercare il proprio ruolo all’interno della società. Lo strumento per raggiungere l’obiettivo è la barca, il contesto il mare. La vita di bordo rappresenta un luogo privilegiato per la sperimentazione di regole, ruoli, compiti e responsabilità. Far parte di un equipaggio permette di entrare in una nuova dimensione, in cui collaborazione, l’affiatamento, la fiducia reciproca caratterizzano le relazioni».
A SCUOLA PER MARE, PROGETTO NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ EDUCATIVA
Da questa esperienza è nata anche la collaborazione al progetto nazionale che, dopo tre anni, si è concluso da qualche mese: A Scuola per Mare, un progetto nazionale contro la povertà educativa e la dispersione scolastica selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile e che, oltre a varie associazioni italiane, ha visto la partecipazione di Koros con 40 giovani. «In questo percorso – spiega Francesca – mi sono messa in gioco anch’io, durante i cento giorni in barca i giovani esplorano nuovi mondi che ruotano intorno all’etica e ai valori».
L’obiettivo è quello di aiutarli a interiorizzare le storie di chi ha combattuto per contrastare criminalità e ingiustizie «e tutto questo lo hanno fatto con me, con il mio vissuto, la mia storia familiare, i miei ricordi, le mie battaglie, nate dalla volontà di tenere vivo il ricordo di mio nonno. È stata un’esperienza che in molti ragazzi ha acceso quella fiamma che ha spinto al cambiamento. E questo per me, per noi, è il risultato più grande. Considerato l’impatto avuto sul territorio credo che il progetto meriti continuità. Vogliamo fare rete con le altre comunità educanti, per discutere possibili sviluppi futuri».
Questa è solo una delle tante iniziative in cui Francesca Andreozzi è riuscita a mettere insieme “le sue due anime”. «Diventare presidente della Fondazione Fava non era qualcosa di scontato, eppure dopo la morte di mamma è stato molto naturale visto che sono sempre stata coinvolta nel percorso della Fondazione». Un impegno che la accompagna sin da quando ha preso coscienza che il patrimonio morale che suo nonno le stava donando appartiene alla collettività ed è giusto fare la propria parte perché arrivi a tutti.
LA FONDAZIONE FAVA E LE INIZIATIVE PER IL QUARANTENNALE DELL’UCCISIONE DI PIPPO FAVA
«La cultura dell’antimafia l’ho respirata sin da piccola e ovviamente ho raggiunto una certa consapevolezza molto prima degli altri. Poi al Liceo questa consapevolezza ha preso più forma e mi sono resa conto di come la coerenza e l’etica che mi derivavano dal patrimonio familiare potessi metterle a disposizione degli altri». Ecco perché oggi quando va nelle scuole o alle manifestazioni, come presidente della Fondazione e come psicologa Francesca – che una volta si chiedeva se nella platea potesse esserci qualche futuro giornalista – ha compreso che in fondo quei valori vanno trasmessi a tutti, a prescindere dalla aspirazione professionale e di vita.
«Tutti nel proprio lavoro possono, anzi devono, seguire un’etica e dei principi intrisi di legalità. Solo così si sconfigge la cultura mafiosa. Noi con la Fondazione continuiamo a fare la nostra parte, mentre ci prepariamo al quarantennale dall’uccisione del nonno». Il 5 gennaio infatti saranno quarant’anni da quella sera della barbara esecuzione di Pippo Fava, assassinato con cinque proiettili alla nuca mentre, alle 21.30, si trovava in via dello Stadio a Catania per andare a prendere proprio la piccola Francesca che recitava in Pensaci, Giacomino! al teatro Verga.
«Di quella sera non ho ricordi molto diversi da quelli delle altre serate di quel periodo. So solo che non venne nonno a prendermi e stranamente andai a casa di Turi Ferro. Mio padre venne poi a tarda notte». Il resto appartiene alla cronaca e alla memoria collettiva di questa terra e di questo paese. E appartiene ai valori dell’educazione e dell’attivismo antimafia che in questi anni hanno cercato di fare la differenza in Sicilia e in Italia.
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