Femminicidio: “Quel mai più dobbiamo praticarlo noi uomini partendo dal linguaggio quotidiano”
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Qualche tempo fa ho scritto, sempre su Italia Che cambia, di quanto la logica del possesso fosse uno dei fattori determinanti dell’atrocità interminabile del femminicidio. Ne sento parlare sempre di più come uno dei fattori più negativi da sconfiggere e mi fa molto piacere. Dopo l’ennesimo femminicidio, quello che ha portato alla morte assurda e violenta della povera Giulia, le voci sembrano alzarsi ancora più forti e quella che mi ha colpito di più, perché giustamente rabbiosa, è quella della brava giornalista e scrittrice Rula Jebreal, attivista in difesa delle donne. Il suo è stato uno scossone, un dire “basta!” a voce alta rivolgendosi soprattutto a noi uomini perché arrivi finalmente anche la nostra di ribellione.
Siamo immersi fino al collo in una cultura maschilista e patriarcale che è dentro quell’ occidente di cui ci sentiamo fieri fino al punto di innalzare la bandiera del progresso da esportare in tutto il mondo. Dovremmo invece accettare, una volta per tutte con umiltà, che non possiamo più essere esempio per nessuna cultura altra da noi. Non lo siamo nel rispetto di alcuni diritti civili, non lo siamo nell’accettazione dell’altro e men che meno nella giustizia sociale. Viviamo con l’illusione di essere i migliori in quanto cittadini di Paesi liberali senza avere coscienza di quanto la democrazia sia forma e sostanza e nel nostro mondo “ civilizzato” questi due aspetti non sempre coincidono.
Ci scandalizziamo, giustamente, per come vengono trattate le donne in alcuni Paesi, ma noi quella violenza non l’abbiamo assolutamente cacciata dalla nostra cultura. Appaiono quasi secondari i numeri della mattanza perché quelli sono solo l’iceberg di una violenza subdola e velata che si nasconde dietro una cultura del possesso e la non accettazione della libertà delle donne di poter decidere liberamente della propria sessualità. C’è bisogno urgente di recuperare una dimensione erotica della sessualità che sfocia nell’atto sublime dell’amore concepito come scambio profondo di anime e corpi e non come consumo pornografico di una fisicità senz’anima.
Il cardinale Ravasi, intervistato sulla vicenda tragica di Giulia, ha parlato della necessità di riscoprire la dimensione della tenerezza e della gentilezza nei rapporti interpersonali e parlando della sessualità ha presentato un immagine molto bella parlando del legame stretto tra quest’ultima, l’eros e l’amore. Sessualità come impulso spontaneo che appartiene a tutto il mondo animale che nella spera umana si arricchisce o dovrebbe arricchirsi della dimensione erotica fatta di scoperta e curiosità verso l’altro nutrita di una passione sana e rispettosa.
A chiudere questo legame, ci ricorda Ravasi, c’è la dimensione dell’amore. Ci sono donne che hanno paura di innamorarsi per non rischiare di rimanere imbrigliate in una spirale di violenza e questo è inaccettabile. Amare, fosse anche solo per un breve periodo, deve essere un atto vissuto con piena libertà perché a incontrarsi sono persone che donano la loro parte più intima e profonda.
Il filosofo Miguel Benasayang nel suo ultimo libro – Dall’insicurezza all’Intraquillità, Un sogno per le nuove generazioni – parla di come toglierci di dosso l’illusione della sicurezza che ci viene propinata ogni giorno su ogni fronte. La vita è fragilità e assenza di una tranquillità effimera, da queste dimensioni dobbiamo ripartire per uscire fuori dal caos, ci dice il filosofo. Questa riflessione vale anche nella sfera dei rapporti interpersonali perché a creare muri e farci vivere una dimensione atomizzata e meno umana è proprio la ricerca di una sicurezza che prova a coprire paure e fragilità che invece andrebbero accettate per conviverci con serenità.
Non accettando i propri limiti e la connaturata fragilità umana si cade nell’ossessione dell’onnipotenza, del possesso e del dominio sull’altro. Non si può uccidere per eccesso d’amore, dobbiamo usare le parole giuste e noi uomini dobbiamo farlo ancor prima delle donne con un bagno d’umiltà senza precedenti. Ad armare la mano violenta che porta al femminicidio è la non accettazione della piena libertà dell’altra/o, quindi è proprio l’assenza di qualsiasi barlume d’amore.
Lo ripeto con forza: non possiamo continuare a sottovalutare il problema pensando che gli episodi più atroci sono tanti ma comunque sempre marginali, perché a essere sconfitta deve essere la sub-cultura strisciante nascosta, troppo spesso, sotto il tappeto di una quotidianità sempre meno attenta alla dimensione di una fragilità umana che richiede solidarietà e rispetto. È sulla la violenza diffusa – quella sottovalutata e sulla quale passiamo sopra con una battuta e un sorriso – che va fatto un grande lavoro iniziando dalle scuole ma soprattutto dentro le quattro mura domestiche.
Il prossimo 25 novembre come uomini dovremmo prendere parte a una battaglia che non può limitarsi all’ennesima sacrosanta manifestazione di rabbia e denuncia. Quel “mai più” dobbiamo prima di tutto gridarlo e praticarlo noi uomini partendo dal linguaggio quotidiano, anche quello che ci fa sentire machi nelle battute al bar. Dobbiamo rieducare i sentimenti e la sessualità cambiando radicalmente il rapporto con i corpi, iniziando dal nostro, maturando la consapevolezza che non siamo macchine fatte per penetrare altre macchine. Siamo corpi resi vivi da spiritualità e sentimenti che incontrano altri corpi liberi d’amare.
Riscopriamo il valore della fisicità, dell’intreccio erotico dei corpi alla ricerca di un amore che è solo ed esclusivamente dono. Un dono che può durare una vita trasformandosi e arricchendosi ma può essere anche leggero e breve come il volo di una farfalla. Dono, solo ed esclusivamente dono da accettare come la cosa più bella che ci può accadere nella vita. Questa è la via per preservare la straordinaria e misteriosa dimensione dell’eros e della passione amorosa e sconfiggere l’ossessione mortifera del possesso e del dominio sull’altra/o.
Ascolta anche il podcast Come vivranno le donne?.
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