Disability Glam, la disabilità svelata: nudi d’autore per sconfiggere i tabù
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Milano - Oggi voglio raccontarvi di Disability Glam, la disabilità svelata un progetto fotografico di Gianfranco Falcone a cui ho partecipato in prima persona. Conoscevo Gianfranco virtualmente, ma ho avuto l’opportunità d’ incontrarlo personalmente durante l’ultima edizione del Disability Pride Bologna. Mi ha subito intercettata proponendomi di prendere parte alla sua idea e io, nonostante sia una persona fondamentalmente timida, non ho esitato un secondo e ho subito accettato, perché raccontare che i corpi di persone con una disabilità sono corpi come quelli di chi una disabilità non ce l’ha – e che a prescindere sono tutti diversi e unici – può sembrare una banalità ma non lo è.
Vi dico questo perché purtroppo, ancora oggi, si accosta troppo frequentemente e con una naturalezza sconcertante la disabilità alla malattia. La disabilità come sinonimo di bruttezza, la disabilità come una perenne infantilizzazione dell’individuo. Invece non è così, queste sono credenze errate che ci portiamo dietro da una cultura passata, la stessa cultura che vedeva le persone con disabilità segregate in casa e automaticamente escluse dalla società.
La disabilità è una cosa che c’è, ci puoi nascere oppure ti può arrivare in seguito a una malattia o a un incidente, ma non ti disabilita in quanto essere umano. È uno zaino importante che si ha sulle spalle da maneggiare con cura e che a volte può essere pesante o stancarti troppo in fretta. Ma ciò che disabilita è il contesto, perché non c’è l’educazione sociale per percepire le persone con una disabilità come pari. Ad esempio, nel mondo della moda, le modelle con una o più disabilità sono ancora troppo poco rappresentate quindi il lavoro di Gianfranco è di fondamentale importanza perché racconta verità, mette a nudo e sensibilizza.
Immaginatevi una qualsiasi persona che indossa un paio di occhiali e riflettete su questo: ha un ausilio che le permette di vedere meglio, allo stesso livello di una carrozzina per chi ha difficoltà motorie, ma perché di un paio di occhiali non abbiamo paura mentre di una carrozzina sì? Perché gli occhiali sono entrati nella società e sono stati accettati come un accessorio oltre che migliorativo per la vita di una persona ma anche per il suo stile.
Se succedesse lo stesso con ogni accessorio non sarebbe bellissimo? Ecco perché il lavoro di Gianfranco è importantissimo: perché scardina tradizioni che non possiamo più permetterci di tramandare. E ora, facciamo una “rotellata” indietro e facciamoci raccontare dal protagonista di questa storia chi è e che cosa lo ha portato fin qui.
Se ti chiedessi di descriverti, come lo faresti?
Sono fondamentalmente un uomo curioso. Lo sono sempre stato e ho continuato a esserlo anche dopo il 2014, quando la Guillain Barré, una malattia auto immune, mi ha lasciato in ospedale per tre anni di fila e mi portato in carrozzina con una tetraplegia. Poi sono tante cose. Sono un uomo di sessantadue anni, non sono sposato, non ho figli e non sono fidanzato. Sono plausibilmente eterosessuale. Sono uno psicologo e sono uno scrittore.
Ho pubblicato di recente il dialogo teatrale Amori a rotelle nella collettiva Ci sedemmo dalla parte del torto con Prospero Editore, il romanzo 21 volte Carmela con Morellini. Di recente ho fornito la mia “consulenza” alla compagnia di danza NoGravity per lo spettacolo Disability Project che sarà al Teatro Menotti di Milano il 3 dicembre. Svolgo attività di conferenziere sui temi della disabilità. Amo il teatro e amo viaggiare e fare reportage di viaggio in carrozzina, le ultime mete sono state Berlino, Oslo, Roma, Volterra, Palermo. Ma il viaggio continua.
Com’è nata l’idea del progetto Disability Glam, la disabilità svelata?
Il progetto Disability Glam, la disabilità svelata nasce dal desiderio di sperimentare più linguaggi. Frequento la scrittura, l’elaborazione teatrale e amo fotografare quindi è nata spontaneamente la necessità di coniugare termini come fotografia e disabilità. Dapprima timidamente poi con sempre maggiore sicurezza ho proposto ad amiche, conoscenti, persone che mi contattavano perché interessate al progetto, di costruire insieme un nuovo linguaggio, dei nuovi codici rispetto al modo di rappresentare la disabilità.
Volevo e cercavo un modo che si allontanasse dallo stereotipo della persona disabile limitata, in cerca di diritti, schiacciata sui bisogni. Volevo raccontare, elaborare un linguaggio che consentisse alle persone disabili di mostrare la loro bellezza, la loro energia, il loro empowerment. Anche perché molto spesso i servizi fotografici che vedevo in giro, a parte alcune splendide eccezioni, quando non erano scialbi parlavano un linguaggio mainstream che cercava il morboso, l’erotizzazione dei corpi o la perfezione imperfetta dei corpi degli atleti paralimpici. Molto spesso trovavo questi lavori privi di anima. Ecco, più che corpi cercavo l’anima dei soggetti, la loro energia, la loro bellezza, la loro normalità.
Com’è stata accolta l’idea del progetto “la disabilità svelata”?
Diversi artisti hanno apprezzato questo lavoro. Lo hanno fatto tra gli altri Emiliano Pellisari e Mariana P. della NoGravity, Renato Sarti del Teatro della Cooperativa, Pietro Masturzo vincitore nel 2010 del World Press Photo, Ivana Trettel della compagnia teatrale Opera Liquida, la soprano Silvia Colombini. Insomma chi fa vera arte capisce l’intento del progetto.
Non è stato complicato trovare l’adesione delle modelle che hanno colto la delicatezza e l’armonia degli scatti fotografici, anche quando questi diventavano duri senza lasciare facili concessioni al lettore. Altri soggetti sono stati più di tiepidi nel giudizio. Ma che importa? Io mi definisco il signore del dubbio, posso dubitare di tutto ma non del Disability Glam. È un progetto potente. È un progetto che attraverso il corpo evoca immaginari, produce suggestioni, fa pensare.
Secondo te perché, in particolare i corpi delle persone con disabilità, sono ancora così tabù nella nostra società?
La risposta a una domanda del genere meriterebbe un’intera enciclopedia. Cercando di essere estremamente sintetici, credo che i corpi, la sessualità e comunque la verità delle persone disabili siano tabù perché fanno paura. Siamo in una società estremamente ipocrita, che ha paura di tutto ciò che non corrisponde a un canone fittizio.
La nostra società persegue un modello iperliberista, che persegue a sua volta il canone e il mito della perfezione, della performance. Se i corpi e le anime che non corrispondono a questo canone dovessero trovare veramente spazio costringerebbero tutti noi a interrogarci sul tipo di società e di etica che vogliamo costruire e tramandare. Non credo stiamo facendo dei reali passi avanti sulla disabilità e sulla sua rappresentazione. È un continuo andare avanti e tornare indietro.
Sono passati quasi cinquant’anni dal bellissimo servizio fotografico di Carla Cerati e Gianni Barengo Gardin Morire di classe, con prefazione di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia. È un libro duro, spietato, che mostra ciò che accadeva all’interno dei manicomi, il luogo in cui viveva la disabilità psichica e fisica. Ma oggi le cose non sono molto diverse. Cambiano le categorie che vengono internate nei lager. Oggi possono essere i migranti nel CPR o i 400mila anziani che ogni notte vengono legati nei letti di contenzione nelle RSA. È per questo che bisogna continuare essere vigili, bisogna continuare a raccontare, a fotografare e a esserci in una continua ammissione di responsabilità e di testimonianza.
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