I Comitati sardi, baluardo di resistenza contro la speculazione energetica
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Cosa serve alla Sardegna? Cosa dobbiamo produrre? Cosa dobbiamo dismettere? Le domande che riguardano l’aspetto energetico nell’isola sono essenzialmente queste. Qui i Comitati «nascono perché non c’è la politica». Ne è convinto Marco Pau, coordinatore del comitato Su Entu Nostru, una delle organizzazioni spontanee di cittadini più numerose, partecipata da oltre 200 persone. Sono una decina i comitati sardi, ma crescono di settimana in settimana. Punti di riferimento per le comunità che vivono ogni giorno le conseguenze della speculazione energetica.
I COMITATI SARDI SI MOBILITANO
Secondo un report Terna, la Sardegna produce molta più energia di quella che consuma. Da dove viene questa energia? «Per il 73% dai combustibili fossili, il resto da impianti di energia rinnovabile. Questo dato non ci rassicura, il fossile è superato, le rinnovabili sono la strada giusta, ma a una serie di condizioni». L’assalto per l’installazione di nuovi impianti infatti non si ferma. Le proposte che arrivano in Regione da parte di aziende d’oltremare e multinazionali, per immettere parchi eolici, anche offshore, e impianti fotovoltaici, sono all’ordine del giorno. I progetti presentati sono in grado di produrre 56mila megawatt, un fabbisogno energetico per 50 milioni di abitanti.
Perché produrre una quantità di energia tale? A chi interessa se a un milione e 600mila sardi non serve? Anche perché, dice Pau, «l’attuale rete sarda non sopporta più nulla. Se si producono nuovi impianti, con la rete già occupata, e le comunità energetiche si moltiplicano, scoppia un cortocircuito. La rete deve essere potenziata, così come le rinnovabili di cui già disponiamo; oltre all’idroelettrico, di cui nessuno parla». Mentre i privati si appropriano di spazi pubblici: «Edison ha presentato un progetto di sbarramento per il fiume Flumendosa, ma perché la Regione non costituisce una società regionale? Perché lo devo fare un privato?».
LE PROPOSTE DAI TERRITORI E LA POLITICA
I Comitati hanno chiaro il da farsi: «C’è bisogno di distretti energetici, di programmazione e pianificazione, quindi di elaborare un piano energetico regionale. Per questo a ottobre abbiamo inviato ai consiglieri regionali, al presidente della Giunta e agli assessori della Regione autonoma della Sardegna la nostra proposta di legge di moratoria e atto di indirizzo politico sulla realizzazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili (F.E.R.) di grande taglia. Il piano energetico della Sardegna è fermo al 2015 e mai aggiornato nelle sue parti più significative, vista anche la mancata attuazione dei contenuti della legge delega nazionale n. 53 del 22 aprile 2021 e del D.lvo 199/2021 che impongono l’individuazione dei siti idonei e non idonei».
Sono due le questioni importanti: «Procedere a un piano di organizzazione di impianti nuovi da fonti rinnovabili e a un piano di dismissioni con un crono-programma preciso. Basta poco: sui consumi effettivi siamo già al 40% della produzione di rinnovabili. Possiamo arrivare anche al 65% se c’è una condivisione e un progetto serio». A un passo quindi dagli obiettivi che l’UE ha posto per l’Italia con il piano Fit for 55, da raggiungere entro il 2030: installare circa 70mila megawatt di nuova capacità rinnovabile col 65% di copertura da energia pulita.
Decarbonizzazione e transizione energetica quindi dovrebbero andare di pari passo. Ma cosa è successo dopo la presentazione della moratoria? «La V commissione si è riunita con un nulla di fatto, rimandando a un nuovo incontro e a una risoluzione, invece di portare l’istruttoria in Consiglio. Insomma, c’è una chiara volontà di non approvare una norma sulla moratoria. Il Consiglio non si vuole assumere nessuna responsabilità», sostiene Pau.
Mentre è iniziata la corsa alle elezioni regionali, che si terranno tra qualche mese, anche le parole del governatore sardo, Christian Solinas, appaiono alquanto generiche: «Il presidente del parlamento dei sardi deve intervenire con le leggi. Bisogna contrattare con lo Stato, far nascere in Sardegna aziende che creino reddito e occupazione, non è possibile che un privato faccia espropri a un altro privato per finalità pubbliche. Siamo alla follia». Il petrolio della Sardegna è il sole, l’acqua e il vento. «Non possiamo svendere queste risorse», continua Pau.
A breve sono previste nuove e più corpose manifestazioni, anche perché la Regione ha siglato, proprio in questi giorni, l’intesa con il ministero per l’Ambiente che dà il via alla realizzazione di rigassificatori di grande taglia con annessa dorsale: «L’accordo apre a una massiccia dotazione di metano, una fonte energetica fossile costosissima, fuorilegge secondo le norme UE recepite dallo Stato italiano. La spregiudicata operazione verrà pagata dagli utenti ai quali sarà addebitato il costo delle reti urbane realizzate nei vari comuni dell’isola. Ma se le fonti fossili devono essere progressivamente superate a favore delle rinnovabili qual è il senso di questa operazione? Aumentando la produzione fossile aumentano, di conseguenza, i Gw di installazione rinnovabile.
Solo venerdì 10 novembre al convegno che ha riunito i vari comitati, l’assessora regionale all’industria Pili ci ha proposto un tavolo tecnico per affrontare il problema. Peccato che solo due giorni dopo si sia approvata l’intesa con lo Stato per la metanizzazione forzata dell’isola. Già oggi il metano è aumentato del 30% a causa dell’instabilità geopolitica. Questo accordo è antieconomico, antiscientifico e antistorico. A chi giova? A quali logiche risponde un’operazione del genere? Con questo patto, tra l’altro, la Regione ha rinunciato al ricorso contro il decreto Draghi. Non si svende così il territorio, abbiamo davvero bisogno di un’altra servitù? Ai politici sardi chiediamo di chiarire se stiano lavorando nell’interesse dei sardi».
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