3 Nov 2023

In Calabria il terzo settore supplisce ai vuoti istituzionali, ma manca ancora una legge regionale

Scritto da: Tiziana Barillà

I cittadini calabresi auto-organizzati nel terzo settore suppliscono spesso alle non poche assenze della pubblica amministrazione. Ci sono intere aree dove i cittadini possono contare solo sul no-profit. Eppure non c’è ancora una legge regionale che disciplini e armonizzi quanto stabilito dall’ultima riforma del 2018.

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Nella Calabria maglia nera in quanto a servizi alle persone – qui abitano 132.000 minori e 800.000 adulti a rischio povertà ed esclusione sociale –, spesso è il no-profit a colmare il vuoto delle istituzioni. Dall’assistenza alle persone con disabilità alla tutela dell’ambiente, dai servizi sanitari e socio-assistenziali all’animazione culturale, migliaia di volontari sopperiscono alle mancanze della pubblica amministrazione, ogni giorno e tra non poche difficoltà

Tra associazioni e cooperative, gli ultimi dati Istat contano più di 10000 enti no profit in Calabria e oltre 25000 persone coinvolte. Qui il terzo settore copre una fetta non trascurabile dei servizi erogati sul territorio. «In un territorio come il nostro abbiamo alcuni paesi e aree coperte in maniera sostanzialmente quasi esclusiva dal terzo settore», ci racconta Luciano Squillaci che è il portavoce del Forum calabrese del terzo settore. «E questo non è un bene, è sempre un male quando ci vuole il terzo settore per supplire l’assenza della pubblica amministrazione».

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Ambiente, cultura, sanità, sociale, educazione. Sono molti i settori in cui la comunità può affidarsi al no-profit: dalle associazioni di volontariato ai grandi enti, la protezione civile, i servizi alla persona, i servizi sanitari e socio-assistenziali, che senza finalità di lucro si occupano delle fragilità più complesse. E ancora le esperienze che lavorano nelle comunità territoriali per sviluppare cultura. Eppure, nonostante il peso del no profit nella vita dei cittadini, non c’è ancora una legge regionale che disciplini i rapporti tra i soggetti no profit e le istituzioni.

«Di fatto il terzo settore sono i cittadini che si auto-organizzano, perciò è una risorsa straordinaria, un patrimonio del territorio e di questa regione, allora perché non costruire una norma che ci consenta di utilizzarla al meglio?», si chiede Squillaci. E se lo sono chiesto in molti alla fine di settembre quando, a Mendicino, si sono tenuti gli Stati generali del terzo settore per la prima volta in Calabria. Del resto è questa la direzione indicata dalla riforma del settore e ribadita recentemente (nel 2020) dalla Corte costituzionale.

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«Chiediamo alle istituzioni di aprire un percorso, possibilmente partecipato», prosegue Luciano. «Il terzo settore non può essere considerato né alla stregua di un privato né un soggetto a cui rivolgersi quando ci sono buchi per cercare di farglieli tappare, quindi come “soggetto delega”. Ma è una risorsa del Paese che può e deve essere coinvolta più generalmente nell’amministrazione della cosa pubblica».

Co-programmazione e co-progettazione sono gli strumenti introdotti dalla riforma del 2018 che ha stravolto il passato con l’obiettivo di ri-disciplinare il no profit e l’impresa sociale. Questi strumenti rimarranno però armi spuntate finché non verranno definiti all’interno di una norma regionale che stabilisca modalità, procedure e regole. Solo così amministrazioni e terzo settore potranno lavorare insieme in termini di crescita comune. È andata così, per esempio, negli ultimi sei anni, negli ultimi tre in particolare, con la costruzione del nuovo regolamento per quanto riguarda i servizi sociali e socio-assistenziali, di cui proprio in questo momento si sta portando a termine il processo di riforma. 

Nonostante il peso del no profit nella vita dei cittadini, non c’è ancora una legge regionale che disciplini i rapporti tra i soggetti no profit e le istituzioni

Da parte della Regione, ad ogni modo, si registra un certo interesse, ci rassicurano dal Forum: «Le difficoltà relazioni sono sempre condivise, quando non si fanno le cose insieme la responsabilità non è solo della pubblica amministrazione ma anche nostra», ammette Luciano. «Ma sia noi sia la Regione abbiamo capito che alla fine è interesse di tutti strutturare dei percorsi partecipati. Anche perché il terzo settore ha una specificità: non è privato pur essendo privato, non è pubblica amministrazione ma svolge una funzione pubblica, di interesse generale. Quindi si colloca in un’area di mezzo estremamente interessante perché ci consente di ragionare come se fosse un soggetto pubblico ma senza la rigidità burocratica tipica di una pubblica amministrazione». 

Il terzo settore calabrese è un mondo variegato e capillare ma deve ancora crescere anche in termini di formazione e capacità relazionali, ci mette in guardia Squillaci. Occorre farsi trovare pronti davanti alla complessità di un mondo che cambia. E per esserlo è necessario che «l’azione sociale passi dai bisogni ai sogni», piace ripetere a Luciano. «Un Terzo settore che agisce solo per rispondere ai bisogni si chiude nella gabbia dell’emergenza, dobbiamo passare da un sistema di welfare fondato solo sui servizi, peraltro insufficienti, a una visione di “politiche” sociali che abbiano un orizzonte davanti».

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