Scherzando si cantano le cose serie. La ricerca della semplicità di Adriano Modica
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Reggio Calabria - Ci mette tanto, Adriano Modica, per venire allo scoperto. Poi però, ti accorgi sempre che ne è valsa la pena. Il 3 novembre esce Aqua, il suo nuovo album per The Prisoner Records, intanto è possibile saggiare qualcosa con due singoli già fuori. Cantautore, polistrumentista, attore e regista, Modica è una delle voci più originali del panorama indipendente italiano, troppo spesso nascosto dal chiasso della musica commerciale. Vent’anni di carriera musicale, una trilogia e diversi esperimenti all’attivo, per la sua nuova creatura ha scelto l’acqua come filo conduttore che riporta all’unità il nostro mondo interiore, spirituale e biologico con il mondo esteriore, la società.
E noi lo raggiungiamo in riva al mare nell’estremo lembo della Sicilia orientale, dove adesso vive, con il vento forte e il mare calmo ad accompagnarci in una conversazione più o meno surreale, come sempre capita con Adriano che scherzando dice le cose più serie.
Sei un siciliano di Reggio Calabria, che vuol dire?
Rivendico le mie origini siciliane ed è qui che ho deciso di tornare a vivere. Diciamo che sono nato accidentalmente a Reggio Calabria.
Eppure hai uno spiccato senso dell’ironia che è tipico reggino, non trovi?
Ma io non rinnego niente! Sicuramente a Reggio devo tanti disagi e ti dirò che questo spiccato senso dell’ironia di cui parli è l’ennesimo di questi disagi… perché oggi l’ironia non la capisce nessuno. Comincio a perdere l’abitudine di fare certe battute psichedeliche perché la gente mi risponde seriamente e io mi sento frustrato quando devo dire che era una battuta. Ad ogni modo sì, sicuramente Reggio Calabria mi ha ben allenato a un senso tragicomico e surreale.
La tua è una semplicità ricercata, scherzando dici le cose serie. Chi come me conosce quel che fai, sa che semplicità e leggerezza non vogliono dire superficialità, anzi. È un lavoro faticoso essere semplici.
Proprio così. La semplicità non è banalità… apposta hanno inventato due parole diverse per chiamarle (scherza).
Dal tuo esordio con il primo Ep, “Iano” (Bleuaudio, 2003), sono passati vent’anni. Ti senti vecchia guardia?
Sì, non solo per una questione anagrafica ma soprattutto per una questione culturale. Mi rendo conto di essere ancora innamorato di cose che oggi scivolano via e nessuno se ne accorge, come comprare un disco o sentire l’odore di un libro, e una certa lentezza che ti porta ad approfondire e familiarizzare con una qualunque cosa, situazione o posto.
La vecchia guardia si sente tutta con i tuoi compagni di sempre: Tenco, Battisti, Dalla, Battiato, la psichedelia di Beatles e Pink Floyd. Ma c’è anche una forte contaminazione elettronica. Come combini questa specie di nostalgia con lo sforzo per cercare di attualizzare questo sentire?
La mia scelta artistica è restare il più possibile coerente con la mia natura, questo non significa stare fermi, perciò mi sono aperto a contaminazioni elettroniche, cercando di portare il sound ai tempi di oggi. È bene che le culture si contaminino ma arricchendosi a vicenda, non impoverendosi.
Fino a qualche anno fa eri votato completamente all’analogico finché hai detto “butto tutto a mare” e mi immergo nel digitale. Uno sforzo fatto a carte scoperte, pubblicando i tuoi esperimenti. A che punto sei?
Per fortuna mi ricordavo la zona in cui avevo buttato tutto, così sono andato a ripescare tutti i miei marchingegni (ride). Diciamo che partivo dall’analogico, ho fatto un tuffo nell’elettronica e adesso sto rimodulando una formula più centrale, più equilibrata tra i due estremi. Punto alla fusione del vecchissimo con il nuovissimo, anche se l’analogico resta la mia più grande passione.
Ma l’epoca è cambiata. Molti artisti sono diventati schiavi dell’immagine e dei social, il che rischia di corrompere il processo creativo. Tu come ti regoli?
È un discorso delicato. Da una parte c’è l’opera che uno dovrebbe preservare il più possibile, io tengo molto a farlo. Poi, tutto il resto è marketing. Quelli che combattono il sistema si indignano quando nomini questa parola, ma non è altro che una serie di operazioni di comunicazione atte a far circolare l’opera. Non è altro che questo. Si può fare con onestà o con disonestà, perciò il marketing va regolato di conseguenza, si può essere onesti anche nell’immagine.
Veniamo al messaggio di questo album. Perché hai scelto l’acqua come filo conduttore?
Ero partito con l’idea di fare un album sui quattro elementi, come sai sono sempre stato affascinato dai concept album. A un certo punto, da ascoltatore, riascoltando i pezzi mi sono reso conto che ero guidato dall’acqua, che era questa l’ispirazione. E mi sono detto: sarà che devo farne quattro di album? (scherza).
Così hai scelto di cominciare dall’acqua.
Mi sono concentrato sulla magia dell’acqua come elemento primordiale di nascita, di creazione, di trasformazione ma anche di distruzione. Senza voler fare gli altezzosi, non voglio fare un trattato scientifico sulla memoria dell’acqua, mi interessa essere ispirato romanticamente da alcuni valori che possono essere sia biologici che spirituali. Nella tarologia, nell’immaginario mistico ed esoterico le coppe sono il mondo interiore, l’interiorità e i sentimenti, mentre biologicamente è il veicolo numero uno della vita, sia fuori che dentro il corpo. Perciò l’acqua è il primo veicolo del tutto.
Mondo dentro e mondo fuori, si ascolta una chiara denuncia dell’avidità e della superbia del nostro tempo.
Non mi riferisco all’avidità nel senso di volere di più di quel che si ha, quella c’è ma è altro che intendo. Mi torna in mente “La ballata della moda” di Luigi Tenco. La gente insegue cose che crede di volere, è disposta a tutto per averle eppure non è quello che davvero vogliono. Nonostante questo la gente sarà sempre assetata di cose belle, anche se momentaneamente può essere distratta, ha bisogno della musica. Possiamo essere alienati, isolati, ma scambiare vibrazioni è un bisogno primordiale.
Cosa vuoi dire a chi sta leggendo per convincerlo ad ascoltare questo album?
Non so se dire che è bellissimo o che dura poco. Diciamogli che dura poco, una mezz’oretta.
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