A bordo della Sea Eagle, la nave che protegge il Mediterraneo e i suoi abitanti
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La Spezia - La Sea Eagle è una nave di 40 metri del 1986, acquistata da Sea Shepherd nel 2020 grazie a una donazione ricevuta da Allianz SE, insieme ad Allianz Technology e Allianz Italia come parte della nuova partnership sancita proprio per affrontare il problema dei detriti marini in plastica. L’intento dell’imbarcazione, infatti, è stato sin dall’inizio quello di contrastare l’enorme quantità di rifiuti che inquinano il Mediterraneo e combattere la pesca di frodo, il tutto in costante collaborazione con la Guardia Costiera e la Guardia di Finanza.
Questo particolare focus sul Mediterraneo è motivato dal fatto che il nostro è il mare con un triste primato, perché è il più sovrasfruttato al mondo. Oltre il 70% delle specie presenti infatti è sovrapescato, in alcune zone il 40% del pescato è illegale e il 30% è frutto di pesca accidentale. Oltre a questo il Mediterraneo è anche pieno di micro e nano plastiche, il che rende la vita sott’acqua pericolosa, cosa che non è solamente triste di per sé: non dobbiamo dimenticare che noi interdipendiamo dal mare per continuare a vivere come specie.
LA VISITA A BORDO
Ad accompagnarmi nel tour sulla Sea Eagle c’è Lauren, una giovane donna neozelandese che mi racconta che l’equipaggio di volontari – provenienti da tutto il mondo – cambia spesso, in base soprattutto alle responsabilità di ciascuno. I deckhand – marinai di coperta – per esempio, si imbarcano dalle due settimane ai due/tre mesi circa, mentre capitani, ufficiali e ingegneri di solito restano a bordo almeno un mese.
Il motivo è semplice: per gestire la complessità delle operazioni – anche solo tirare su una rete sembra facile, ma per farlo in sicurezza serve esperienza, soprattutto quando si incontrano animali vivi – occorrono persone esperte che rimangano a supporto del gruppo. A seconda delle mansioni, quindi, tanti ragazzi hanno la possibilità di poter fare una preziosa esperienza a bordo. Entro e salgo le scalette – «Infila il piede fino in fondo al piolo!», mi suggeriscono, un buon consiglio per non scivolare – per andare sul ponte di coperta. Qui Lauren e un volontario mi raccontano che la prima campagna portata avanti dall’”aquila del mare“ è stata alle isole Eolie, contro i pescatori di frodo di palamiti.
«Quando viene individuato qualcosa di sospetto in mare, si agganciano questi galleggianti e si tirano su per analizzarli», spiega Lauren. «Comunichiamo poi l’avvistamento alle forze dell’ordine per chiarirne l’illegalità o meno. A quel punto, se gli oggetti risultano abusivi, vengono recuperati, per poi essere smaltiti in un secondo momento».
LE TRAPPOLE PER POLPI
Guardandomi intorno resto colpita da una trappola per polpi, fatta di plastica e cemento, estratta dalle coste toscane. Come funziona? Il polpo, quando vede quest’oggetto cilindrico dalle sembianze di una sorta di anfora, prende familiarità e la fa diventare la sua casa. All’incirca ogni due settimane i pescatori di frodo controllano le trappole per verificare che siano abitate: se sì estraggono il polpo e poi le ributtano in mare.
Il metodo funziona perché l’animale tende a farla diventare la propria tana, quindi quando la fune con le trappole – ce ne sono in genere 250 in fila – viene issata e tirata fuori dall’acqua, gli sventurati vengono catturati. Un volontario mi spiega che davanti a una superficie come questa, così raccolta, i polpi trovano sicurezza e, convinti di proteggere la loro piccola casa, vi restano molto tempo all’interno.
Come agisce Sea Shepherd in questi casi, avendo a che fare per lo più con animali vivi? Innanzitutto rimuove le trappole – lo scorso anno i volontari ne hanno sequestrate oltre 7600 – e per farlo lo staff si fa affiancare da un biologo marino per valutare, caso per caso, il modo più sicuro e meno dannoso per liberare i polpi e farli tornare in mare. Oltre alla rimozione, l’operazione è servita da disincentivante per ulteriori posizionamenti: rispetto al 2022, dai sopralluoghi effettuati, risulta che ad oggi le trappole per polpi collocate al momento siano numericamente meno.
LE ALTRE MISSIONI
In Sicilia e Calabria invece, a essere nell’occhio del mirino per la Sea Eagle sono le trappole per granchi e aragoste, le long line illegali per la pesca del tonno rosso e le spadare – quelle sefquestrate durante l’operazione SISO –, tutte attrezzature devastanti per l’ecosistema marino. Sull’isola di Montecristo, nell’arcipelago toscano (LI) a essere posizionate illegalmente sono le reti per la cattura di polpi e crostacei. Lo scorso agosto sono state sequestrate dalla Guardia Costiera complessivamente sei reti da posta, per una lunghezza totale di circa 2,5 chilometri, 64 boe e 47 nasse collegate tra di loro da oltre 550 metri di cima, per un volume complessivo di circa 11 metri cubi di materiale.
Durante l’operazione sono stati salvati anche diversi animali marini, tra polpi, granchi, scorfani e murene. «Ora il materiale sequestrato non potrà più avvelenare il nostro mare, già soffocato dalla plastica e sfruttato oltre i limiti della sopravvivenza», hanno spiegato.
Per difendere gli ecosistemi marini ci sono tanti modi per contribuire: oltre a diventare membro dell’equipaggio, buona parte del lavoro si svolge a terra, grazie a migliaia di volontari che allestiscono e prendono parte a conferenze, proiezioni, eventi di beneficenza e molto altro allo scopo di consapevolizzare più persone possibili. Per vedere i prossimi appuntamenti, seguite la pagina Sea Shepherd Global: potrete salire a bordo di una delle navi della flotta di Nettuno, incontrare i volontari e conoscere le operazioni in Italia e nel mondo dei “pirati buoni”.
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