Phonomuseum_rome: ecco come la colonizzazione uccide anche le lingue
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Roma, Lazio - Giulia Grechi – È possibile fare breccia all’interno di una istituzione come un museo etnografico, che ha una identità e un patrimonio profondamente legati alla storia coloniale, con un discorso antirazzista e una pratica di decolonizzazione? La poeta e artista Wissal Houbabi ha realizzato un processo partecipativo e una installazione dal titolo phonomuseum_rome, grazie a una residenza presso il Museo delle Civiltà di Roma.
Il progetto di Wissal è stato selezionato come vincitore della call “Care in a World We Share with Others/Caring in a Precarious World”, organizzata nell’ambito del progetto europeo Taking Care – Ethnographic and World Cultures Museums as Spaces of Care, che esplora le connessioni tra le collezioni etnografiche conservate nei musei europei e le questioni più ampie legate alla crisi climatica e all’Antropocene, affrontando temi legati al colonialismo e alle sue conseguenze sociali e ambientali.
L’ultima buona pratica sui processi di decolonizzazione dei nostri spazi e immaginari per Hangar Piemonte è il racconto di questo processo nella voce e con le parole dell’artista. L’installazione phonomuseum_rome è esposta all’interno della mostra Il museo delle opacità, a cura di Matteo Lucchetti, Rosa Anna Di Lella e Gaia Delpino, inaugurata a giugno 2023 presso il Museo delle Civiltà di Roma.
Wissal Houbabi – Due anni fa ho percorso l’esperienza di Scrivere con i piedi insieme alla danzatrice e coreografa Ofelia Balogun, Daniele Poli e Toi Giordani: permettere al mio corpo di farsi narrazione senza interferenze con la ragione. Chiedendo alla mia lingua madre di produrre versi poetici, l’unica reazione è stata fisica e organica: ciò che puoi fare con la tua madrelingua è puramente orale perché è l’unica esperienza che hai sperimentato.
Pensavo a frasi che ritornavano a galla come ricordi sensoriali, pensavo alle mie orecchie come puro registratore che in qualche parte della mia memoria archiviava le voci a “lhadra dyal nass”. Successivamente iniziò il processo che portò questa riflessione, la linguistica è una prospettiva che la poesia deve interrogare, non solo sul piano sonoro e filologico, ma anche sul piano storico e politico. Nacque così il discorso che introduce al phonomuseum_rome.
PHONOMUSEUM_ROME – UN FINTO MUSEO DENTRO UN VERO MUSEO
La scrittura è la nemesi dell’oralità? Il colonialismo e la globalizzazione sono processi di estinzione orale? Una lingua può essere museificata? Conservata, catalogata, esposta come un reperto?
phonomuseum_rome è un’opera multimediale che riflette sulla graduale estinzione delle lingue autoctone di popolazioni colonizzate. Sono lingue domestiche e di comunità, di prossimità, prevalentemente orali. Immaginiamo che nel 2152 – nel totalmente imprevedibile arco di 130 anni – sarà completamente estinto il concetto di lingue madri e si potrà fare solo esperienza delle “lingue padri”, intese come lingue di Stato, istituzionali, scritte e cristallizzate, burocratiche, ad alto valore economico e che, se non lo fossero state già in passato, hanno sicuramente una tendenza coloniale.
La prassi museale, accademica e “decoloniale” si impadronirà del patrimonio immateriale e non quantificabile rappresentato dalle lingue madri in estinzione? Crediamo di sì. Quando locuzioni, parole, grafemi e fonemi delle lingue madri saranno estinti, le Istituzioni utilizzeranno la tecnologia e la ricerca per ricostruire le sintassi e i discorsi, recuperare i reperti e salvarli dall’oblio, inscrivendoli in una cornice museale, espositiva, conservativa.
Sapendo già che il futuro ci riserverà questa feticizzazione e che queste lingue madri assumeranno un valore economico solo diventando oggetto di studio accademico-istituzionale, fondiamo oggi una para-istituzione che cerchi di anticipare questo processo attraverso uno sguardo profondamente critico. Allo stesso tempo, phonomuseum è la costruzione di una futura casa capace di dare la residenza a un insieme di lingue orali: un ambiente che incarni la cura agita dalle lingue madri e il loro mescolamento.
IL PROCESSO COLLETTIVO
Ideato e curato dalla sottoscritta, in collaborazione con gli artisti Ismael Astri Lo (sound design) e Toi Giordani (visual design), con l’aiuto dell’associazione Questa è Roma. Nel mese di ottobre, insieme a parlanti madrelingua di alcune delle lingue più diffuse tra le comunità di Roma – wolof/pular, tashilhit, bengali, tigrinya – abbiamo tenuto lezioni pubbliche di fonetica e grammatica, storia e linguistica dei rispettivi idiomi.
Le stesse parlanti hanno poi prestato la propria voce a esperimenti di narrazione orale, ciascuna nella sua lingua, guidata da me. Le narrazioni che sono scaturite da questi esperimenti narrativi sono state oggetto di registrazione, modulazione e composizione da parte del sound-designer Ismael Astri Lo. Altri appuntamenti pubblici, tra settembre e febbraio, hanno visto la collaborazione del Collettivo Tezeta: passeggiate pubbliche per quartieri e zone di Roma che tutt’oggi significano il colonialismo italiano, attraverso la toponomastica, l’architettura e/o la simbologia urbana.
Nei mesi di febbraio e marzo ho organizzato, con il supporto delle ricercatrici del Museo delle Civiltà, le visite ai depositi della Fiera Campionaria del Museo, i “reperti” ostaggio dell’ex museo coloniale fondato Benito Mussolini nel 1923 al Palazzo della Consulta, sede del Ministero delle Colonie – chiusi al pubblico da decenni. Gruppi di 15-20 persone dalle storie familiari e personali molto varie sono potute entrare in contatto con oggetti, arredi e reperti direttamente legati alla storia coloniale e fascista italiana.
Le visite si sono concluse con la selezione di otto oggetti da parte delle partecipanti, con l’obiettivo di far convivere gli oggetti coloniali selezionati con altri oggetti di uso quotidiano e con i “reperti orali” nel phonomuseum e in una definizione comune e complessa del significato di casa, luogo che poi ha accolto tutto il lavoro.
L’ALBERO DELLE LINGUE
Durante la residenza artistica romana, ho chiesto a una cinquantina di persone di confrontarsi con il questionario “L’albero delle lingue”, pensato per proporre una parziale e immaginifica, personale e intima panoramica sulle lingue, viene chiesto alle partecipanti di tracciare il proprio albero “genealinguistico” attraverso cinque generazioni, a partire dalla persona coinvolta, due indietro nel tempo – genitori e nonne – e due avanti nel tempo – figlie e nipoti, e ciascuna ha descritto l’inventario linguistico della propria famiglia. La linea del tempo, formatasi intrecciando le storie linguistiche di ciascuno, copre un arco temporale che parte dal 1867 con il Pulaar e arriva al 2063 con l’Inglese.
L’INSTALLAZIONE/ESITO
Il phonomuseum è una casa. Ha la forma di un appartamento, ricavato all’interno della sezione Africa del Museo delle Civiltà di Roma. L’appartamento è abitato sia da oggetti esposti all’interno di teche e vetrine, sia da oggetti liberi, arredi e squarci di spazio domestico. Ma soprattutto, l’appartamento è abitato da voci spazializzate nelle varie stanze e sonorizzate, che si rincorrono narrando storie orali parzialmente comprensibili, frammentate: ultimi reperti di lingue orali estinte.
Sulle pareti, un mosaico di “didascalie orali”, interdipendenti e frammentarie, esplodono le possibilità di fruizione ed esplorazione del “museo”, mentre oggetti di uso comune e oggetti di derivazione coloniale coesistono in un metafisico e a-temporale spazio domestico. Sulle pareti esterne dell’appartamento, prima dell’ingresso, la futurealistica Istituzione invita a fare l’esperienza immersiva dei nostri antenati, di immergersi nel proprio passato e lasciarsi trasportare in un tempo altro, ricreato per il bene della conoscenza. A porgere l’invito è Wissal Houbabi, nella veste della futura coordinatrice museale. Il suo discorso di benvenuto è abitato tanto da fiducia, professionalità e buone intenzioni, quanto da spettri e reminiscenze di oralità perdute, che riaffiorano come possessioni.
CHI È WISSAL HOUBABI
Nata nel 1994 a Khouribga, è poeta performer, artista, scrittrice freelance. Si muove su vari ambiti, dalla ricerca sul femminismo hip hop alla scrittura di racconti brevi che esplorano la condizione della cultura diasporica. È tra le autrici di Future (effequ, 2019). È performer e voce dei suoi spettacoli di poesia orale, performativa: Che Razza di Rap (2019), Taroots (2020), Scrivere con i piedi (2021), La Muta (2022). Ha collaborato realizzando workshops, percorsi, progetti di poesia con varie istituzioni culturali e artistiche, di ricerca e formazione, tra i quali IUAV, Goethe Institut, MamBo e molti altri.
È parte del direttivo dell’associazione Il Razzismo è una Brutta Storia (Milano), collabora a progetti ed eventi di poesia con il collettivo di spoken music Zoopalco_ZPL (Bologna) e il Premio di poesia con Musica Alberto Dubito (Milano/Treviso). Ha pubblicato in varie antologie e riviste articoli sulla poesia e la cultura hip hop da un punto di vista decoloniale e intersezionale.
Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.
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