30 Ott 2023

Otto cose che non sapevo dell’Afghanistan e avrei voluto conoscere prima di venirci

Scritto da: Guglielmo Rapino

Tra i paesi al mondo che soffrono di più l’appiattimento della narrativa esterna, sicuramente l’Afghanistan occupa i primi posti. Guerra, fondamentalismo religioso e povertà sono gli unici paradigmi con cui viene costantemente descritto nella comunicazione di massa. Guglielmo, program manager con la ong INTERSOS nel paese, ci racconta otto cose che avrebbe voluto conoscere di questa terra prima di andarci a vivere.

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L’Afghanistan è uno di quei luoghi che più al mondo viene sistematicamente raccontato per grandi immagini, sbiadite e tendenzialmente piatte. Fondamentalismo religioso, conflitti e mancanza di diritti sono tra i concetti che ricorrono più spesso quando se ne parla. Dipingono negli occhi dell’occidentale medio il panorama di una terra malandata dove la vita è una gara a ostacoli e le esistenze irrimediabilmente schiacciate da una costante esigenza di fuga.

Questo è il modo più semplice di ridurre un turbinio di storie, tradizioni millenarie e lacci culturali preziosi a una cartastraccia buona per giustificare una sorta di implicita superiorità. Viverci è una occasione unica per fare esperienza della immensa profondità che abita questi spazi e di quanto noi, dall’altro capo, potremmo impararne quotidianamente. Ecco allora otto cose che ho scoperto dell’Afghanistan vivendoci e che mi sarebbe piaciuto ascoltare da chi ne parla prima di venirci:

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Al centro, Guglielmo Rapino, program manager di INTERSOS

1.  Il senso dei legami familiari: in Afghanistan, soprattutto per la tribù pashtun, famiglia non è solo mamma, papà, fratello e sorella. Famiglia è una comunità intera intrecciata intorno a relazioni di appartenenza, capaci di arrivare ad abbracciare cugini lontani persi nell’albero genealogico. Vivere tutti insieme è una benedizione e la vecchiaia mai un peso. Un giorno ho chiesto a un amico se avessero ospizi per genitori anziani, mi ha guardato come se gli avessi chiesto se praticano il cannibalismo.

2.  Domani non è un posto da cui scappare: alla domanda “Come stai?” non ho mai sentito una risposta negativa. Quando le cose vanno davvero male si azzarda un vago “Andrà meglio domani se Allah vorrà”. Cinquant’anni di conflitti e pesi indicibili hanno scavato nelle persone una leggera e placida fiducia verso il domani che lascia esterrefatti.

3.  L’obbligo di aiutarsi: uno dei principi fondamentali dell’Islam stabilisce che ogni persona debba devolvere ogni anno almeno il 2,5% di tutto il proprio patrimonio a persone in difficoltà. Nel sud del paese questa regola è mantra. Nei giorni di Eid, la fine del Ramadan, ho visto persone comprare vestiti e viveri per decine di conoscenti e spedirli ovunque in Afghanistan. Nelle ristrettezze, c’è l’essenza ancestrale di farsi prossimi. A Kandahar non esistono persone “senza dimora”.

4.  L’ospitalità: aprire la propria casa allo straniero è un dovere morale per qualsiasi afgano. Nei villaggi se la visita è attesa le donne colorano le proprie mani di rosso con l’henné in segno di omaggio sin dal giorno prima. Gli uomini cercano carne rossa da mangiare insieme. Se ci fosse il mare nessun porto sarebbe chiuso.

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5.  Il miracolo della frutta: nonostante sia immersa nel deserto, i cocomeri di Kandahr sono spaziali. Nessuna idea su come sia possibile.

6.  L’artigianato: per secoli l’Afghanistan è stata la culla del commercio nel Medioriente e città come Herat, Kandahar e Sha Joy, tra le tappe obbligate delle carovane della seta. Ancora oggi basta una passeggiata in alcuni bazar di antiquariato per scoprire attraverso tappeti, cappelli di tessuto e abiti ricamati una storia intrecciata attorno all’estro artigiano.

7.  Salutarsi per davvero: due afgani che si incontrano, fosse anche se dopo poco più di un giorno, passano tra i venti e i quaranta secondi ad omaggiarsi reciprocamente con i saluti. Si passa dal Come stai? al Come sta la famiglia? a Ti senti bene di salute oggi? e Hai sognato cose belle?. È un rituale quotidiano che trascende la forma e abbraccia l’essenza del sentirsi coinvolto dalla vita di chi sta di fronte. Ogni giorno. L’importante è non avere fretta.

8.  La spiritualità: pregare cinque volte al giorno è un esercizio mentale che il nostro fare occidentale perennemente proiettato sul ritmo utilitaristico delle cose difficilmente concepisce. È un modo di rallentare, focalizzare i pensieri e dirigerli verso uno spazio più elevato. In più, inginocchiarsi e sollevarsi così tante volte al giorno aiuta a mantenersi in forma e attivi. Doppio beneficio.

Cinquant’anni di conflitti e pesi indicibili hanno scavato nelle persone una leggera e placida fiducia verso il domani che lascia esterrefatti

Potrei continuare per qualche decine di pagine enumerando le gemme di una cultura tanto ricca quanto oppressa. La speranza è che questa finestra lasciata aperta aiuti a intuirne la profondità e le miriadi sfumature che si nascondono oltre i brevi titoli di giornale che siamo abituati a leggere costantemente. Riconoscere questa profondità e ricchezza non significa nascondere i macigni che la schiacciano, anzi. Vuol dire imparare ad apprezzarne il valore appunto perché capace di mantenersi vivo nonostante il peso circostante.

Solo interessandoci, aprendo lo sguardo, possiamo far sgretolare il senso di superiorità con cui sistematicamente facciamo naufragare qualsiasi possibile interazione. Da qui nasce la contaminazione di culture capace di far scoprire a noi lontani qualche migliaio di chilometri modi di vivere antichi e indissolubilmente comunitari, in cui trovare il riflesso di un fare profondamente accogliente. In breve, un pezzo in più di quello che serve alla felicità.

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