25 Ott 2023

Mar Ligure, Mar Mediterraneo, un mare di problemi. E di possibilità

Scritto da: Daniel Tarozzi

Nel nostro indagare le questioni degli altri animali questa settimana ci soffermiamo sui fratelli marini. Tra oggi e domani, infatti, vi proponiamo due articoli che approfondiscono lo stato dei mari, dei cetacei e degli altri esseri viventi che li abitano, partendo dalle nostre pratiche dannose e dalle possibili soluzioni. Iniziamo oggi con il Mar Ligure e approfondiamo il discorso con la dottoressa Sabina Airoldi dell'Istituto Tethys.

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Quando si pensa agli animali, la nostra fantasia corre ai mammiferi: lupi, orsi, cani, gatti, leoni, volpi, cervi. Qualcuno si innalza nel cielo e pensa ad aquile, gabbiani, pellicani, corvi. Altri, pochi, si inabissano nel blu e immaginano i pesci che scorrazzano nel mare. Genericamente pesci, perché – a parte quando li mangiamo – facciamo fatica a distinguere una specie dell’altra e molto spesso dimentichiamo che in mezzo ai “pesci” vivono anche molte specie di cetacei, tra cui i più noti sono quelli spesso chiamati impropriamente e genericamente delfini e balene. 

Eppure questi meravigliosi animali emozionano come poche altre creature e in Liguria – più precisamente nel mar Ligure – è molto più frequente che da altre parti incontrarli. Sì perché qui è stato istituto nel 1991 un santuario dei cetacei, proprio per la straordinaria presenza di questi esemplari. All’epoca in realtà essi arrivavano da una vera e propria decimazione causata dalle spadare, in seguito vietate

Mi spiega tutto ciò la dottoressa Sabina Airoldi, biologa e ricercatrice, capo missione di Tethys nel Santuario Pelagos e massima esperta dei cetacei nell’area protetta. L’avevamo già intervistata per un precedente articolo, ma siamo tornati da lei in occasione dello speciale che stiamo curando in queste settimane sugli altri animali. Per ricostruire la storia del santuario e le principali attività del Tethys Research Institute, vi invito a leggere l’articolo precedente. Qui mi preme solo ricordare che il santuario è stato istituito proprio grazie alle attività di questo istituto che è stato quindi pioniere nello studio dei cetacei e nelle azioni pioniere necessarie alla loro protezione.

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UN SANTUARIO CHE FA ACQUA

Il Santuario, come anticipato, ha segnato un importante risultato ottenuto anche grazie a Thetys, ma l’ambizione era creare una riserva che avrebbe comportato delle limitazioni concrete alla pesca e a molte altre attività antropiche. Al contrario, i tre governi coinvolti hanno mantenuto la libertà di legiferare in modo autonomo e senz a grosse restrizioni. «Per vent’anni – mi spiega Airoldi – è stato fatto poco o niente. Per fortuna negli ultimi anni qualcosa è cambiato ed è finalmente stato definito un piano di gestione che prevede degli obiettivi importanti e concreti nella direzione della conservazione».

Questo è particolarmente importante se pensiamo che oggi – nel mar Ligure come in tutto il Mediterraneo – i cetacei sono sottoposti a forte inquinamento chimico, inquinamento acustico, depauperamento delle risorse ittiche con la conseguente diminuzione della presenza di “cibo” per i cetacei stessi e collisioni con le imbarcazioni. 

I “QUATTRO NEMICI” DEI CETACEI

«Con inquinamento chimico – mi spiega la dottoressa Airoldi esaminando una per una le minacce sopra citate– ci si riferisce a tutte le sostanze antropiche che riversiamo nei mari attraverso i fiumi e i nostri scarichi di abitazioni e fabbriche». Non solo plastiche e micro-plastiche quindi, ma anche tantissime altri elementi inquinanti purtroppo invisibili ma molto presenti nelle nostre acque che danneggiano e fanno morire pesci e mammiferi marini. «Ogni tanto Unione Europea e organismi nazionali o regionali alzano qualche limite, ma in pratica fanno ancora troppo poco. I depuratori non fermano i rifiuti industriali. Non dimentichiamo poi che il Mediterraneo è un bacino semi-chiuso e quindi, anche a causa delle correnti, le sostanze inquinanti tendenzialmente restano qui».

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Questo essere bacino quasi chiuso fa anche sì che arrivi anche da noi tutto quello che “si butta in Africa”. E per quanto in Europa, con tutti i nostri limiti, ci siano delle restrizioni crescenti all’inquinamento dei mari, in molte parti del Nord Africa o della Turchia tutto ciò deve ancora avvenire e si butta in mare letteralmente di tutto. In generale comunque la situazione dell’inquinamento chimico è molto migliorata negli ultimi anni, ma in mare si vedo i risultati dei decenni precedenti…

L’inquinamento acustico poi, particolarmente dannoso per animali sensibili come i cetacei, è continuo e onnipresente. «Si pensa che il mare sia silenzioso, ma è esattamente l’opposto. Abbiamo un traffico pazzesco di natanti e i cetacei vivono di suoni». I natanti sono alla base degli altri due problemi principali vissuti dai cetacei: la pesca eccessiva – il cosiddetto over fishing, che sta portando ad un vero e proprio depauperamento dei mari – e gli incidenti prodotti dalle grandi navi e dalle piccole imbarcazioni che uccidono o “affettano” i cetacei. 

Il sovra-sfruttamento della pesca purtroppo è un fenomeno che riguarda ancora gran parte dei nostri mari. Questo fenomeno è veramente “folle” e tra l’altro mostra in modo chiaro la nostra totale mancanza di lungimiranza. Ogni anno si pescano più pesci, facendo diminuire le popolazioni ittiche. Ciò comporta che i pescatori debbano lavorare di più per pescare di meno. Le “leggi del mercato” inoltre fanno sì che molto del pesce pescato – anche commestibile – venga rigettato in mare, ormai morto, ma non vendibile per le varie “mode del momento”.

Più i mari si svuotano più si aumenta la pesca. Occorre una moratoria immediata, trovando qualche forma di aiuto per i pescatori. Ma nonostante tutto ciò sia noto da anni si tarda a intervenire. Sempre legato alla pesca c’è poi il problema del cosiddetto bycatch, ovvero la cattura accidentale delle specie durante l’attività di pesca, che ogni anno miete vittime tra delfini, tartarughe marine, squali e razze, uccelli e molti altri animali.

Sperm whale E. Lodigiani Tethys

Veniamo poi alle collisioni con le grandi navi che sono la prima causa di morte per origine antropica di balenottere comuni e capodogli. «Stiamo lavorando con governi e compagnie di imbarcazioni e si stanno muovendo varie cose, ma nel frattempo non dobbiamo dimenticare che  gli animali che ci troviamo affettati ancora vivi sono feriti dai diportisti che magari se ne vanno in giro inseguendo delfini per vederli da vicino o fare qualche foto». La dottoressa Airoldi mi spiega che negli anni sono state fatte molte campagne di sensibilizzazione, inclusa la diffusione in tutti i porti di un codice di condotta con le regole necessarie a evitare questi scempi, ma purtroppo con scarsi risultati. 

«Manca totalmente una consapevolezza dei danni che si possono fare; più in generale in Italia manca una cultura ambientale. Da noi la cultura è solo umanistica: se non sai chi sono i poeti ermetici sei ignorante ma se non sai cosa sono le balene è normale. È una questione culturale. Quando la gente capisce si sensibilizza anche, ma non è semplice farsi capire. Per questo sono convinta che se vogliamo salvarci dobbiamo cambiare il paradigma. La conservazione è necessariamente un atto politico. Senza le opportune normative non risolviamo i problemi purtroppo».

In questo quadro già difficile i cambiamenti climatici hanno creato ulteriori difficoltà. Se infatti è meraviglioso vedere crescere la popolazione di cetacei che frequenta il mar Ligure, dall’altra parte questo aumento potrebbe essere legato alla progressiva distruzione degli ecosistemi turchi e all’aumento della temperatura del mare. «Ai cetacei la temperatura del mare non interessa granché. Loro vivono a diverse latitudini e con diversi climi. Ma la temperatura interessa le loro prede. Se si spostano quest’ultime loro le seguono. Va anche ricordato che in mare si spostano intere masse d’acqua e che quindi con il cambiare delle correnti, può cambiare tutto».

Stenella striata S. Airoldi Tethys mod2
COSA POSSIAMO FARE?

Nonostante la situazione difficile ci sono anche molti segnali positivi. Sta crescendo la sensibilità delle persone verso il benessere animale e verso la presenza di cetacei nei nostri mari e attività come il whale watching, ovvero le classiche gite di avvistamento cetacei, vanno in questa direzione. Anche qui però la normativa non aiuta: al momento non esiste una legge che regoli modi e tempi del whale watching, ma per fortuna per ora è contenuto il numero delle imbarcazioni che fanno questa attività e nello svolgerla ricoprono uno strumento importantissimo di sensibilizzazione.

«Tu porti 200 persone al giorno a vivere l’esperienza e queste tornano a casa sensibilizzate. Se non fai conoscere le risorse straordinarie che abbiamo nei nostri mari, non puoi aspettarti che poi questi vengano tutelati. Con queste escursioni, chi partecipa rimane meravigliato e ha un motivo poi per fare la differenziata, usare meno la plastica, meno detersivi inquinanti e così via. Non dovrei dirlo, perché sono nostri concorrenti, ma i miei colleghi di Cima – che sono bravissimi – tengono corsi per far ottenere a chi fa whale watcing un label di qualità».

Non dobbiamo dimenticare che  gli animali che ci troviamo affettati ancora vivi sono feriti dai diportisti che magari se ne vanno in giro inseguendo delfini

Parlando di turismo in Liguria il pensiero va all’Acquario di Genova. Anche qui, un po’ di buon senso aiuterebbe. Se infatti la sensibilizzazione, come abbiamo visto, è fondamentale, ci vorrebbe un po’ di discernimento nelle creature ospitate nelle vasche:  «Se tu hai una vasca enorme dedicata alla barriera corallina che ospita quindi animali che sono di per sé stanziali, non vedo grossi problemi a patto che questi si siano riprodotti in situ e non siano stati catturati in giro. Ma diverso è quando trattieni in spazi limitati animali che hanno decisamente altre esigenze, come squali, tartarughe, pinguini, cetacei. Per fortuna oggi in Europa non si possono più acquistare o importare cetacei che non siano nati in cattività, quindi pian piano».

Saluto la dottoressa Airoldi grato per tutte le informazioni e la passione che mi ha trasmesso. Da oggi avrò un motivo in più per cercare di fare scelte consapevoli quando decido cosa mangiare, cosa buttare nella spazzatura o cosa scaricare in un lavandino. E – come giornalista – un’attenzione in più alle evoluzioni della legislazione e delle pratiche inerenti pesca, diportisti, grandi navi. Come specie stiamo davvero facendo danni ovunque. Sulla terra ferma, in aria e nei mari. È ora di cambiare le cose. Qui, in Liguria, in Italia, in Europa, nel mondo. Facciamolo.

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