Dal Sushi al Shinrin Yoku: ecco come il Giappone ci insegna la felicità
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Da un ventennio il cibo giapponese – soprattutto il sushi ormai variegato in molte modalità – è diventato parte della nostra alimentazione, sia nelle case tradizionali italiane, sia nei pranzi “veloci” consumati in ufficio o in aule accademiche. Abbiamo tutti capito che è molto meglio di un panino al bar o del “trash food”. Chi tra di noi invece in questi ultimissimi tempi, ha sentito parlare o letto, di termini come Ikigai, Wabi Sabi, Kitsungi o Shinrin Yoku e si è chi è chiesto di cosa si tratta?
Questi concetti sono stati trasmessi in Italia dal Giappone grazie a una serie di personaggi che pensano in termini olistici e spirituali e che ci propongono dei concetti semplici ma efficaci per risolvere – o almeno provarci – i nostri problemi esistenziali, ovvero quelli della nostra società, del nostro individualismo, del nostro correre senza sapere dove, del nostro essere “hyper” in tutto. Nonostante i raggiungimenti materiali, spesso, non riusciamo a cogliere realmente come raggiungere la nostra felicità.
L’Ikigai, ad esempio, è un metodo per trovare il proprio scopo nella vita e viverla con felicità, ovvero “quale sia la ragione per cui alzarsi al mattino”. In questa visione non c’è qualcosa di particolare da raggiungere in modo veloce ed efficiente, ma gli obiettivi sono quelli soggettivi e non quelli indicati dalla società.
Si pensa al momento, al breve termine, con un occhio al risultato futuro. Si parte dalle priorità individuali e si raggiunge il punto centrale delle nostre personali aree vitali. Mettendo insieme passione, missione, vocazione e professione, si arriva al focus che è proprio quello per cui ti alzi al mattino, possibilmente felice di farlo.
Il concetto di Kitsungi è addirittura fenomenale: è l’arte di “rimettere insieme i cocci”. In Giappone, quando si rompe un oggetto, vecchio, nuovo, di valore o meno che sia, non lo si butta via, ma lo si rincolla grazie a una lacca dorata chiamata “urushi” e l’oggetto acquista valore e bellezza proprio grazie al fatto che si è rotto. Il Kitsungi è una profonda lezione in quei momenti della vita in cui si cade e ci si rialza, ancora più forti di prima, permettendoci di accettare ed accogliere le nostre ferite anziché rimuoverle, trasformandole in punti di forza ricoperti d’oro.
Il Wabi Sabi è una filosofia antica, del XIV secolo basata sul concetto di transitorietà e semplicità. Wabi significa “semplice” e Sabi significa “bellezza”. È l’arte di vivere in modo semplice, gustando la bellezza, il silenzio, la lentezza della terra e della natura. Si riferisce anche agli oggetti che si sbeccano, che sono incompleti, ma che restano belli nella loro intrinseca essenza. Come la vita, che è naturalmente imperfetta, che invecchia, ma che resta inesorabilmente bella e per la quale vale sempre la pena di vivere.
Infine lo Shinrin Yoku, “il bagno di bosco”, una delle terapie olistiche create dagli scienziati giapponesi negli anni ’80 per curare il “burn out” dei managers, è diventata una tecnica di medicina complementare che cura grazie all’immersione nei boschi, alla lentezza degli alberi, al respiro dei terpeni – molecole curative che riconoscono i nostri ricettori cellulari –, al sentirsi tutt’uno con la Natura e la Madre Terra.
In Italia esistono scuole per diventare operatori di medicina forestale che operano in tutta Italia con tante attività per far conoscere questa terapia contro lo stress, le infiammazioni, l’aumento delle cellule killer, l’equilibrio dell’omeostasi e un generale miglioramento nella qualità della vita. Ci ricorda anche quanto noi abbiamo bisogno della Natura per vivere e quanto dovremmo tutti impegnarci per salvaguardarla se vogliamo che i nostri discendenti possano continuare a vivere sul nostro amato Pianeta.
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