2 Ott 2023

Empatia non è mettersi nei panni degli altri, ma “allungarsi” verso di loro

A volte può succedere che l'empatia venga canalizzata in un approccio non corretto, che consiste nel farsi totalmente carico delle sofferenze del prossimo per provare ad alleviarle. Luisita Fattori, dell'associazione Spiritualità del Creato, ci propone il suo punto di vista in un breve viaggio che tocca tappe come la comunicazione nonviolenta e la clown terapia.

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Negli ultimi anni si parla molto di empatia e di come possa favorire i processi relazionali in famiglia, a scuola, al lavoro. Vari studiosi hanno scritto su questo. Io desidero portare attenzione all’empatia dal punto di vista della mia esperienza nella Comunicazione Nonviolenta (CNV) dello psicologo Marshall Rosenberg. Ma cos’è l’empatia? La radice etimologica greca en dentro pathos sentimento/patimento, ci parla di sentire dentro.

E anche io comincio da lontano. Quando ero un’ adolescente pensavo che l’empatia fosse saper mettersi nei panni degli altri e il desiderio di aiutare mi portava a fare volontariato con bambini, diversabili, anziani. Se vedevo una persona in difficoltà tendevo a caricarmela sulle spalle come dovessi tirarla fuori di lì, sentivo una grande responsabilità. Dopo molti anni mi sono accorta che proprio il pensiero di “dover fare o dire qualcosa” di efficace per l’altra persona mi faceva perdere di vista me stessa, perché immaginativamente posso dire che era come “mi tuffassi” nell’altra persona, volendola sollevare da dove era.

rosenberg comunicazione nonviolenta
Marshall Rosenberg

Tutto il mio buon cuore e il desiderio di contribuire non  aiutavano realmente, anzi spesso mi ritrovavo frustrata, con poche forze perché sovraccarica. L’università mi regalò “ognuno ha in sé le risorse per risolvere i propri problemi”: il pedagogista può facilitare la persona a vedere le proprie risorse; questo un po’ mi sollevò e sentii anche un maggior rispetto verso l’altro e verso me stessa.

Ascoltai Laura Boella dire che l’empatia non è saper mettersi nei panni degli altri perché è impossibile farlo al 100% ma è simile a un esercizio di allungamento: provare ad allungarsi/allargarsi fino a sentire qualcosa del mondo dell’altro. Mi piacque questa pratica e sentii onestà, perché davvero tutta nei panni degli altri non riuscivo a mettermi!

Per sette anni ho fatto servizio come volontaria clown in ospedale e l’empatia portata con la forza genuina del naso rosso e con la leggerezza mi ha regalato stupendi incontri con sconosciute/i. La più piccola maschera del mondo – il naso rosso – mi proteggeva dal “dover essere” e mi regalava uno spazio di presenza viva, libera, fresca, ricca di possibilità e comicità, uno spazio in cui il cuore poteva giocare e delicatamente, spontaneamente incontrare.

mani cuore emapatia

Ma quando nel quotidiano amici o conoscenti mi aprivano il cuore ferito, sentivo ancora dentro me quella spinta: “Devi aiutarli! Tu devi fare qualcosa!”, sentendo inadeguatezza e impotenza. Nel 2013 incontrai la CNV e l’arcano cominciò a dipanarsi. Rosenberg scrive: “L’empatia è la rispettosa comprensione del vissuto dell’altro; è la capacità di ascoltare e di accogliere l’altro, i suoi sentimenti e bisogni, senza volerlo condurre da qualche parte e senza ricordo del passato”, “dare empatia significa esserci pienamente, non c’è nient’altro che l’istante presente e il dono della mia completa attenzione”.

Rimasi molto colpita dal fatto che per lui non è importante risolvere bensì creare connessione, le situazioni non hanno bisogno di soluzioni ma di ascolto e di empatia, poi saranno le stesse soluzioni a trovare noi! Prima connettiti – dallo spazio del cuore, dal contatto della “cuorprensione” – e poi risolvi, è come se dalla connessione alla vita – attraverso il sentire quali sentimenti e bisogni mi abitano o ipotizzare quali potrebbero abitare l’altro in questo istante – posso attingere ad un altro luogo, vivo, dentro me collegato al qui ed ora, al vivente e da lì potesse agire qualcosa di nuovo.

Pochi anni dopo incontrai Marianne Gothlin:“Nell’empatia non c’è niente da fare, c’è solo da essere”. In lei gustavo empatia in formato umano, sia verso sé stessa che verso gli altri, e ne rimasi folgorata e ispirata! Da allora pratico con tanti compagne/i di viaggio perché la qualità dell’empatia è come un muscolo del cuore e va allenata insieme. Spesso non nasciamo in ambienti empatici, non ci viene insegnato fin da piccoli ad ascoltare come ci sentiamo, a dare un nome alle nostre emozioni, ad accoglierle come aiutanti e messaggere di un qualcosa di più profondo come i nostri bisogni. Le nostre emozioni sono un genuino sentiero verso la consapevolezza.

l’empatia non è saper mettersi nei panni degli altri, ma è simile a un esercizio di allungamento: provare ad allungarsi/allargarsi fino a sentire qualcosa del mondo dell’altro

Come posso incontrare essendo in connessione empatica sia con me che con l’altra persona? Il primo passo forse è proprio lasciare andare l’idea che si debba dire o fare qualcosa. La presenza è ripiena di silenzio, ascolto e  cura all’intento di essere attenta a ciò che vive nell’altro senza al contempo perdere me.

Quando condivido l’ascolto empatico coi bambini porto con me un vaso di terracotta, e facciamo il gioco del “VasAscolto”: io ascolto te come se io fossi un vaso vuoto che può accogliere con la sua capienza quello che è vivo in te. Ho solo da essere come il vaso e se mi partono i pensieri semplicemente porto la mia attenzione al respiro e torno con te. Dopo qualche minuto: cambio! Adesso tu diventi come il vaso e io chi parla. Siamo in due, ci facciamo una silenziosa compagnia lasciandoci reciprocamente, semplicemente, essere. E lì magicamente qualcosa può avvenire…

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