Ama-La, la sartoria sociale che dà lavoro alle donne in difficoltà e fa rinascere il borgo
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Reggio Calabria - Tessere, trasformare, rinascere. È questo il ciclo produttivo di Ama-La, un laboratorio tessile eco-sostenibile che accompagna le donne migranti verso l’autonomia. Si trova nel piccolo centro di Camini, a Reggio Calabria, a due passi da Riace. Ed è proprio dal vicino paese dell’accoglienza – oggi sotto processo – che trae ninfa e ispirazione: accoglie e fa bene tutti.
Innanzitutto fa bene alle donne migranti che possono ricominciare una vita quaggiù, in Calabria, alle pendici dell’Aspromonte, rendendosi indipendenti attraverso una professione. Ma ne trae vantaggio anche il territorio che accoglie, dove le materie prime e le attrezzature trovano nuova vita. Poi la cultura locale, che le tessitrici mantengono in vita e arricchiscono con le esperienze che hanno portato fin qui dai loro Paesi di provenienza: Eritrea, Senegal, Yemen, Siria, Nigeria, Afghanistan, Libia, Marocco. E, infine, la piccola economia del paese che rinasce grazie ai nuovi flussi migratori.
Un’esplosione di colori e forme che valica ogni frontiera, nel tempo e nello spazio. Qui, nell’arte di tessere al telaio, la tradizione locale incontra tecniche moderne e rispettose dell’ambiente come l’eco printing. Materiali a km0 vengono trasformati in prodotti venduti nel negozio online: borse, abiti e cinture, coprispalle, borsellini, cappelli, collane ma anche tappeti e tovaglie per la tavola. Il ricavato si redistribuisce tra le tessitrici, il laboratorio stesso e l’accoglienza di nuove apprendiste.
Ama-La è uno dei progetti della cooperativa sociale Eurocoop Servizi “Jungi mundu”, che in dialetto locale significa “unisci il Mondo”. Dal 2011 la cooperativa guidata da Rosario Zurzolo pratica l’obiettivo di garantire indipendenza e integrazione a richiedenti asilo e rifugiati. In centinaia sono passati da qui grazie ai progetti un tempo chiamati Sprar, poi Siproimi e oggi Sai.
Progetti a cui si lavora con non poche difficoltà, tra i meandri della burocrazia che fanno il buio pesto e la volontà dei caminesi che fa luce. E questo laboratorio, di questa luce, è un bell’esempio, perché punta e riesce nell’integrazione lavorativa e nell’autonomia delle donne migranti e vittime di violenza. «Ed è anche un luogo di conforto e di cura», aggiunge Rosario Zurzolo, presidente della cooperativa, «dove le donne possono bere un tè e condividere i propri dolorosi percorsi, tra loro o con la psicologa, l’educatrice, l’assistente sociale».
Sono due parole tibetane a dare il nome a questa impresa: “Ama” significa donna e madre, “La” comunica un senso di rispetto e affetto. Non a caso, questo laboratorio tessile eco-solidale è nato grazie ai fondi 8×1000 dell’Unione Buddhista Italiana, sulla spinta dell’idea, alla base del pensiero buddhista, dell’interdipendenza e del prendersi cura. «Perché ogni essere senziente, umano o animale che sia, è interconnesso e quando ci si prende cura di qualcuno si agisce a favore dell’intera collettività», dicono. Dal 2016, grazie ai fondi 8×1000, l’Ubi sostiene progetti umanitari e sociali in Italia e all’estero, solo nel 2022 ha sostenuto più di 150 progetti umanitari e raggiunto almeno 40mila beneficiari. Ama-La, dunque.
E il riferimento è alla definizione di “madre” dello psicanalista Carl Gustav Jung, intesa come “magica autorità di ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita”. «Una scelta – dicono i fondatori di Ama-La – che è anche un appello, un’esortazione a rispettare le donne e le madri di tutto il mondo, specialmente quelle in condizioni di fragilità come le migranti con figli e quelle che hanno subito violenze».
Da tempo il laboratorio Ama-La accompagna donne rifugiate da diversi Paesi, «vittime di violenza di genere o migranti con storie diverse, in un processo di formazione e di crescita dell’autostima, con l’obiettivo di appropriarsi del proprio potenziale creativo, imparare un mestiere e raggiungere l’autonomia», racconta Rosario.
Un lavorio quotidiano fatto di cura e apprendimento, creazione e tecnica. Durante i corsi, che hanno la durata media di sei mesi, la mattina si impara a usare il telaio e i vari sistemi di tessitura del baco da seta e della ginestra, mentre il pomeriggio si studiano le tecniche di eco printing, e cioè la pittura con prodotti naturali, come ad esempio foglie, ferro, ruggine. «Spieghiamo le tecniche di base della tessitura e tramandiamo saperi tradizionali calabresi come la pezzàra, ottenuta da stoffe di scarto» racconta Giuliano Ienco, il maestro artigiano che insegna alle donne di Ama-La l’arte del telaio.
Mentre in Calabria – e non solo – si attende di conoscere l’esito del processo di appello a Mimmo Lucano, altre esperienze riescono con fatica a difendere la propria rinascita. A Camini – 750 abitanti –- grazie ai progetti di ospitalità si continua a tenere alla larga lo spopolamento tra nuovi arrivi, ritorni e nuove nascite. «È un paese aperto dove differenze culturali e religiose passano in secondo piano e tra le persone c’è fratellanza», sottolinea Rosario con orgoglio. «Il paese è ancora vivo».
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