Frenesia e consumismo ci hanno tolto il piacere della contemplazione del mondo
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In questa contemporaneità in cui le crisi ambientali, culturali e sociali si sovrappongono scatenando un effetto domino che rende sempre più complessa la costruzione di inedite visioni di futuro, abbiamo un importante appuntamento con la storia. Nella polarizzazione del dibattito generale dominato dalla fede cieca nei miracoli della tecnologia che tutto può, superando anche il concetto di limite, sfugge la necessità di rivedere il nostro rapporto con il mondo.
Ho parlato spesso nei miei articoli e anche nel mio ultimo libro della necessità di re-incantare il mondo. Non sono solo se penso ad esempio al bellissimo libro dell’antropologa Stefania Consigliere – intitolato Favole del Reincanto. Molteplicità, immaginario, rivoluzione – solo per citare un testo molto attuale e finemente eretico. Alla necessità dei reincanto è legata la scoperta di nuove forme della contemplazione.
Merton sosteneva che la contemplazione è il più alto livello dell’intelletto umano. Le forme della contemplazione hanno attraversato e ancora oggi si intrecciano nei mille mondi possibili costruiti da religioni, filosofie e culture. A noi occidentali, se ancora ha un senso definirsi tali, farebbe molto bene iniziare un nuovo cammino per smorzare le attuali centralità e certezze sempre meno solide e cambiare lo sguardo sul mondo se vogliamo costruire un nuovo umanesimo.
In uno dei mie ultimi articoli per Italia che Cambia ho affrontato il tema del possesso come una delle principali cause della violenza sulle donne. In questi giorni c’è una recrudescenza di femminicidi o comunque di violenze subite da ragazze da parte del “branco”. Ho l’impressione che stiamo andando verso un vero e proprio disvalore e quasi affossamento della dimensione affettiva e del rispetto dell’altro.
Da una parte l’idea patologica del possesso e dall’altra un deficit sempre più grave della dimensione affettiva compongono una miscela esplosiva a danno, in primis, delle vittime, ma anche degli stessi carnefici. La scuola sta cercando di svolgere un ruolo propositivo attraverso l’educazione all’affettività, ma forse vanno create maggiori sinergie con le famiglie e gli altri operatori sociali e culturali presenti nel territorio di riferimento.
A questi percorsi, indispensabili per affrontare alla radice le cause della violenza, provo ad affiancare un cammino lento e profondo legato alla pratica della contemplazione. Per contemplare abbiamo bisogno di tempo e provare a vivere secondo il qui e ora della spiritualità Zen. Pensate alla bellezza della cerimonia del tè, la sua lentezza e ritualità che dona armonia e pace se ci lasciamo trasportare dall’ammirazione per il più piccolo gesto.
Il nostro rapporto con il mondo fatto di persone, natura e oggetti inanimati è sempre più dettato dalla velocità, non abbiamo tempo da dedicare all’osservazione lenta e accurata. Il mondo senza la cura del tempo scivola via e accentua il nostro essere consumatori senz’anima. Dovremmo riprenderci il tempo, rallentare la corsa continua che ci allontana dalla contemplazione e la meditazione. Mentre scrivo osservo il movimento delle mie mani e quando mi fermo ascolto la profondità del silenzio: tutto questo dona pace.
Se vado oltre e penso alla bellezza di contemplare una pianta o all’emozione che proviamo nell’ammirare una persona che ci piace, rifletto su quanto lo sguardo superficiale toglie spessore alla vita. Non solo toglie profondità al nostro stare al mondo ma rende tutto levigato e senz’anima o addirittura, come ci dice il filosofo Byung Chul Han, lascia spazio a un rapporto pornografico con il mondo dopo aver soppiantato la virtù della dimensione erotica.
Secondo il filosofo coreano, il narcisismo sempre più spinto e l’individualismo hanno annullato il vero amore che prevede l’accoglimento dell’altro arrivando ad annullare una parte di sé. L’eros è agli antipodi delle logiche del possesso e all’esaltazione del narcisismo che tutto consuma solo per esaltare l’IO e questo porta, come estrema conseguenza, all’aridità della sfera sessuale vissuta solo come soddisfazione animalesca del proprio desiderio di possesso. La frase choc di uno dei violentatori di Palermo che dice “ la carne è carne” da la misura esatta del portato di violenza e del completo annullamento della dimensione dell’altro. La ragazza non esiste se non nel suo essere carne di cui godere sena limiti contro ogni sua minima volontà di desiderio.
Se si provasse ad accompagnare l’educazione all’affettività con un percorso di riscoperta della contemplazione dell’altro forse potremmo ottenere, nel lungo periodo, risultati più duraturi. La riscoperta dell’alterità come valore essenziale del nostro essere al mondo e che riguarda non solo le persone ma ogni cosa che ci circonda. Certo non è facile insegnare ai giovani se poi nel concreto non siamo, spesso, dei buoni testimoni di una vita non violenta.
Non possiamo essere buoni maestri se non capiamo che la ricchezza della vita non è nell’essere uguali e omologati ma risiede nella diversità. Ecco perché la contemplazione, che presuppone uno sguardo profondo e lento sul mondo, può aiutarci a smontare con gioia il nostro individualismo e narcisismo. Proviamoci a rallentare i nostri ritmi e dedichiamo il tempo recuperato alla contemplazione, credo a trarne vantaggio sarà la nostra dimensione personale e quella comunitaria. Ci tornerò sopra.
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