Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole: si insegni la pace, non la guerra
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L’umanità necessita della smilitarizzazione dei conflitti, del disarmo, della pace e sono necessarie l’accoglienza e l’assistenza di tutti i profughi e i migranti, vittime della guerra. La diffusione di una cultura di pace può iniziare nelle interazioni e nelle attività quotidiane: negli affetti, nel confronto costruttivo nelle relazioni, nell’interscambio positivo negli ambiti di lavoro, nelle istituzioni e soprattutto nella scuola.
Già, la scuola, spesso terra di conquista per una cultura bellicista che vuole normalizzare la guerra. Affinché ciò avvenga è nato l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e università; della sua preziosa attività abbiamo parlato con Fausto Pascali, docente di scuola di un istituto superiore di Pisa, RSU Cobas, da sempre impegnato nelle lotte pacifiste – ultima quella contro la previsione di una nuova Base a Coltano – e tra i primi sottoscrittori dell’appello contro la militarizzazione della scuola.
Perché nasce l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole?
L’osservatorio nasce per resistere alla crescente pressione delle forze armate finalizzate a entrare nel sistema educativo del paese. Una incursione sempre più invasiva volta ad affermare un paradigma culturale in cui le forze armate sono necessarie tanto quanto la guerra è ineludibile ed inevitabile. Abbiamo deciso di sistematizzare quella che era una percezione diffusa tra tanti docenti che vedevano una presenza sempre più ingombrante all’interno delle scuole di militari, così come sempre più insistenti erano le indicazioni delle Ministero a partecipare ad attività extra curriculari e integrativi nelle strutture militari.
É evidente se ripercorriamo i protocolli sottoscritti dal MIUR – oggi del Merito – la strategia messa in atto. Le porte delle scuole sono state spalancate ai militari nel 2014 con il protocollo tra ministeri dell’istruzione e della difesa “per agevolare la sensibilizzazione e l’approfondimento dei principi della carta Costituzionale”, come se i docenti formati e abilitati all’insegnamento non fossero sufficienti. Nel 2017 si è allargata la prospettiva coinvolgendo anche il Ministero del Lavoro con una nuova intesa sulla carta per “coniugare le finalità educative del sistema dell’istruzione con le esigenze del mondo produttivo” e nella pratica per favorire il reclutamento delle forze armate a partire dall’invio degli studenti a fare stage direttamente nelle strutture militari.
Negli ultimi anni addirittura l’ufficio scolastico della Toscana propone l’Istituto Geografico Militare come esperto dell’insegnamento della storia, invitando esplicitamente le scuole a farsi guidare nella conoscenza delle “svariate attività che l’Esercito realizza in Italia e all’estero”. Sono solo alcuni esempi paradigmatici tra le centinaia che dalla nascita dell’osservatorio a marzo 2022 stiamo raccogliendo da tutta Italia.
L’Osservatorio è aperto alla partecipazione di studenti e genitori?
L’osservatorio è aperto a tutti e tutte coloro che riconoscono il clima bellicista che sta ammantando l’opinione pubblica e che hanno voglia di fare concretamente qualcosa per invertire questa tendenza. Le componenti studentesca e dei genitori sono già il cuore pulsante dell’osservatorio, proprio da questi arrivano la maggior parte delle segnalazioni che riceviamo, pubblichiamo e archiviamo. Ci chiedono a gran voce un supporto per tutelarsi e per poter evitare di essere coinvolti in attività di esaltazione della guerra e dei valori di violenza, comando, prevaricazione ad essa connessi.
Per rispondere a questo bisogno abbiamo prodotto un vademecum che contiene una serie di istruzioni operative per prevenire l’ingresso dei militari nelle scuole, ma anche per sottrarsi ad eventuali attività già programmate e a richiedere, come la Costituzione prevede, attività alternative. Genitori e studenti che insieme ai docenti partecipano agli organi collegiali della scuola possono svolgere un ruolo determinante per vigilare sul funzionamento democratico della Scuola e per orientarne le scelte.
L’Osservatorio verrà esteso anche alle facoltà universitarie?
L’appello che ha dato vita formalmente all’Osservatorio è stato da subito sottoscritto da numerosi accademici e i lavori dell’osservatorio hanno già coinvolto professori e studenti universitari. In particolare l’attenzione si è rivolta alla ricerca accademica finanziata proprio dall’industria bellica per lo sviluppo di nuove, devastanti e mortali tecnologie militari, che spesso si velano dietro flebili ricadute civili.
Abbiamo sostenuto la lotta degli studenti dell’Orientale di Napoli contro i cicli di seminari tenuti da ex ufficiali della Nato. Stiamo lavorando per un’azione che possa mettere in discussione la presenza di numerosi rettori delle università italiane all’interno del comitato scientifico della fondazione Med-Or, promossa dalla Leonardo, leader mondiale nel settore bellico. Proprio nell’ultima assemblea nazionale, svoltasi online lo scorso 31 agosto e che ha visto la partecipazione di oltre 120 persone da tutt’Italia, è stata ratificata l’estensione del nome dell’Osservatorio contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università.
A Bruxelles, al meeting delle donne per la pace contro la Nato, si è saputo di osservatori analoghi in Europa e nel mondo?
Dall’incontro internazionale di Bruxelles è emersa la volontà del network Global Women di occuparsi anche della crescente militarizzazione delle scuole in moltissimi paesi del mondo: è nato un piccolo gruppo che ha cominciato a raccogliere informazioni e contatti e che collaborerà con l’Osservatorio. Ad oggi abbiamo notizie – che raccogliamo in un’apposita sezione del sito – di realtà che lavorano specificamente sul tema in Germania, Regno Unito, Austria e Australia.
Cosa dovrebbe fare la scuola per essere, in quanto agenzia educativa, anche laboratorio di pace?
La scuola dovrebbe essere ripensata e ricostituita; negli ultimi decenni è stato fatto un attacco a 360 gradi al sistema scolastico, che ha visto da un lato un progressivo definanziamento e dall’altro un aumento della burocratizzazione. Il fallimento dell’autonomia scolastica è evidente se si guardano ai piani triennali dell’offerta formativa, che sono ormai omologati se non fotocopiati in molti istituti. Oggi un ulteriore attacco viene dal tentativo di digitalizzare la scuola, che prevede di proiettare sempre più le nuove generazioni in mondi virtuali, finanziando l’acquisto di tecnologie avanzate mentre l’attività tradizionale è relegata in ambienti spesso fatiscenti e non adeguati.
Un tentativo di controtendenza è stato fatto con l’organizzazione dei corsi di formazione promossi dal Cesp, intitolati proprio “La scuola: laboratorio di pace. Gestire i conflitti. Prevenire la Guerra”, in cui si è cercato sia di affrontare in maniera critica la situazione internazionale, fuori dalle logiche di schieramento binario pro o contro una determinata fazione del conflitti, sia di coinvolgere associazioni ed esponenti della società civile che da decenni lavorano sull’educazione alla pace.
Non è solo una questione di contenuti, ma anche di metodo che dovrebbe essere affrontato per affermare i principi del dialogo, della tolleranza e dell’inclusione. Anche le associazioni pacifiste oggi partecipano all’osservatorio e con loro stiamo elaborando una serie di unità didattiche che possano diventare un ulteriore strumento nelle mani dei docenti per arginare il dilagare della cultura bellicista.
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