Orsa Amarena: ascoltiamo gli esperti, basta con la “pornografia” degli animali selvaggi
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L'Aquila, Abruzzo - Ho accolto con molta soddisfazione la proposta della redazione di Italia che Cambia di scrivere un approfondimento sulla morte dell’orsa Amarena. Coincidenza vuole che proprio questa mattina avevo inviato sempre alla redazione un altro articolo in cui riflettevo sulla necessità di riscoprire il valore della contemplazione nel nostro rapporto con il mondo.
Di contemplazione della natura in fondo parla Daniela d’Amico, la storica responsabile comunicazione del PNALM – Parco d’Abruzzo Lazio e Molise, in linea con la bravissima biologa dello stesso Parco Roberta Latini, con la quale mi sono confrontato lungamente prima di accingermi a scrivere questa riflessione. Riflessione profonda e laica, non certo l’ennesima cronaca dell’accaduto spesso accompagnata da commenti fuorvianti che contribuiscono a innalzare il muro di incomunicabilità tra gli opposti estremismi che danno fiato ai sempre più numerosi nemici veri della conservazione.
Alla rabbia e al dolore del primo momento – sentimento che abbiamo condiviso in tantissimi – deve poi subentrare una riflessione accurata che da quando l’orso è al centro del dibattito pubblico, soprattutto con la questione trentina ma non solo, non è stata mai fatta. Bisogna avere il coraggio di affrontare il tema della conservazione nella sua complessità e non possiamo farlo sulla spinta di un’emotività che alla violenza inaudita dell’uccisione di Amarena fa seguire la gogna mediatica, in alcuni casi altrettanto violenta, nei confronti del colpevole.
Bisogna cogliere l’occasione, una volta per tutte, per mettersi in umile ascolto di tutti gli operatori che da decenni lavorano in difesa dell’orso dentro e fuori gli uffici del Parco e comprendere il valore fondamentale del rispetto che va oltre la pura sensibilità. Ha ragione da vendere Daniela d’Amico quando, nella sua bella video intervista, sottolinea il valore di un amore verso l’orso e la natura in genere che non c’entra nulla con la logica del selfie e con il desiderio superficiale e quasi pornografico – questo lo dico io – di possedere quell’immagine.
Racconta Daniela che in quarant’anni di lavoro nel Parco ha visto l’orso solo quattro volte, mentre oggi a San Sebastiano o Villalago ci sono turisti e residenti che lo vedono continuamente passeggiare tra le vie dei paesi. Fanno addirittura gli appostamenti nei luoghi più frequentati per coglierli nei momenti più accattivanti dal punto di vista della comunicazione social che ci omologa a quella infocrazia di cui ci parla il filosofo coreano Byung Chul Han. La mia esperienza personale di frequentatore assiduo del Parco d’Abruzzo da più di 35 anni mi porta alle stesse considerazione di Daniela, Roberta e degli altri naturalisti storici presenti anche in altre aree protette dell’Appennino.
La mia ricerca di profonda esperienza spirituale ed emozionale non è mai stata legata alla necessità di vedere l’orso, ma all’idea che il mio camminare esplorativo e contemplativo potesse avvenire dentro ambienti naturali unici che proprio per la loro naturalità ancora incontaminata rappresentavano l’habitat ideale per il meraviglioso e misterioso plantigrado. Amavo portarmi dietro durante le escursioni solitarie o con i gruppi il bellissimo libro edito dal Parco, Orso Vivrai. In quelle pagine, che leggevo in un qualche radura durante le pause del nostro camminare lento, c’era tutto l’incanto che l’orso con la sua presenza in ombra, immagine poetica rubata a Roberta, poteva suscitare nei nostri cuori.
Ricordo ancora la grande emozione che mi suscitava il rispetto le aree integrali come quella del Monte Petroso o della Valle Orsara. Una notte salimmo con un amico in Val di Rose in bassa stagione e appena usciti dal bosco fummo accolti dai camosci incuriositi. Venne spontaneo il nostro camminare in silenzio per rispettare quella che era la loro heimat. Salimmo ancora e all’alba giunti a Forca Resuni rimanemmo per più di un’ora in silenzio ad ammirare il Monte Petroso senza avere nessuna voglia di venire meno al rispetto quasi sacrale verso quella vetta inviolata. Ci bastava il pensiero che sul Petroso potesse nidificare e volteggiare in piena libertà l’aquila per donarci una gioia indescrivibile.
La discesa in Valle Jannanghera fu accompagnata dalle stesse emozioni. Camminavamo in quella valle selvaggia, una delle più amate dal mio spirito libero, immaginando che forse l’orso ci potesse osservare da dietro qualche faggio secolare e che magari poteva nutrire la nostra ricerca di contatto profondo con la natura attraverso un qualche piccolo rumore. Ci bastavano appunto le presenze “ombra” quelle capaci di incantare il rapporto con la natura selvaggia.
Oggi quell’incanto sembra sempre più svanire con il successo omologante del turismo da selfie che annulla la dimensione del rispetto, del valore intrinseco della natura a vantaggio del desiderio narcisistico di volere tutto senza limiti. In modo spesso inconsapevole ci accodiamo alla volontà di addomesticare tutto non comprendendo, nel caso della fauna selvatica, che un orso non è animale di compagnia.
Se vogliamo davvero dimostrare di amare l’orso e qualsiasi altra specie selvatica non dobbiamo fare altro che fare un passo indietro e ascoltare le indicazioni che arrivano dagli esperti impegnati con passione competenza da anni nei progetti di conservazione. Accogliamo l’appello di Daniela, Roberta e tutti gli altri biologi e naturalisti a non dare da mangiare agli animali “confidenti”, seguiamo come un vero decalogo tutte le altre indicazioni perché la presenza degli orsi nei luoghi abitati è pericolosa proprio per la loro incolumità.
Oggi la politiche della conservazione sono a forte rischio perché se da una parte crescono i veri nemici che vorrebbero dichiarare guerra agli orsi e ai lupi, dall’altra parte esiste una sensibilità forse anche sinceramente amorosa ma che non sa più cogliere la necessità del rispetto. L’amore sincero verso la natura ha al centro il rispetto dei suoi equilibri che devono andare oltre il nostro desiderio di voler per forza vedere e toccare con mano tutto senza porre nessun limite.
Proprio dalla consapevolezza di come, al di là delle belle parole, le politiche per la conservazione e la comunicazione che ne deriva denotano un preoccupante arretramento, ho lanciato il progetto di un viaggio trai parchi per la prossima primavera. Dal 24 maggio 2024 partiremo con una carovana a piedi dal parco dei Sibillini fino a Pescasseroli per rilanciare con forza quella che dovrebbe essere la vera missione delle aree protette definita da una legge quadro ormai disattesa e dalle norme internazionali sulla tutela della biodiversità. Su questo progetto tornerò.
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